Monti Dauni, il futuro nelle radici / 3 (di Lello Vecchiarino)

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Concludiamo la pubblicazione della bella relazione-saggio che Lello Vecchiarino, allora capo della redazione foggiana della Gazzetta del Mezzogiorno, presentò agli Amici del Museo. L’iniziativa era stata promossa dall’allora presidente della qualificata associazione culturale foggiana, Carmine Tavano, che due anni prima era stato sindaco democristiano di Foggia ed ancora prima vicepresidente della Giunta Provinciale guidata dal socialista Michele Protano, che si era particolarmente spesa per le aree interne. 
Nella parte conclusiva della sua lectio magistralis, che aveva per tema Monti Dauni, il futuro nelle radici, la riflessione del giornalista-scrittore di Lucera si fa più amara. Vecchiarino torna ad indossare i panni del cronista di razza, per passare in rassegna le tante ragioni che impedivano al Subappennino di imboccare la strada del riscatto.  
Un particolare (che, confesso, mi era sfuggito) consente di datare con certezza l’evento: era il 1994. In quell’anno, infatti, uscì per i tipi de Il Rosone, il racconto lungo di Maria Marcone, Il rifugio nel bosco, cui Vecchiarino fa riferimento. Eravamo dunque in piena tangentopoli, e cominciavano ad affievolirmi gli entusiasmi che avevano accompagnato alcuni grandi investimenti nell’area, come il villaggio Castiglione a Faeto, l’ippodromo di Castelluccio dei Sauri e le Terme di Castelnuovo. Ecco cosa disse Vecchiarino parlando agli Amici del Museo, concludendo la sua relazione. Al termine i riferimenti alle due puntate precedenti 
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BISOGNA PUR CHIEDERSI COSA RENDE PESANTE IL MESTIERE DI VIVERE nel Subappennino. 
È il fatto che da solo il senso delle radici non aiuta a vivere. Certo, la coralità paesana, i sinceri collegamenti con i CLUB sparsi nel mondo e per l’italico suolo,la filosofia della speranza che aiuta a trascorrere la giornata, i musei etnografici nati qua e là ad iniziativa di volenterosi e amanti della tradizione: ma ancora una volta bisogna purtroppo constatare che il Subappennino, quanto a modello di sviluppo, è ancora alla ricerca di se stesso.
E oggi è ancora più drammatico il constatarlo. Voi vi chiederete il perché.
Gli è che adesso bisogna fare i conti con quella che si può definire LA SINDROME DELL’ORFANO: le traversie tangentizie hanno messo allo scoperto un sistema che pure reggeva, tra ipocrisie e menzogne, un falansterio fatto di promesse, favori e clienti.
Prima il paradiso del Subappennino era abitato da santi amici.
Ora in giro si sentono discorsi dello stesso tipo che farebbe un povero zoppo a cui avessero rubate le stampelle. Ora c’è maggiore disincanto per questi nostri paesi, e finiti i soldi del terremoto non ci sarà la corsa alla candidatura a sindaco, perché ora c’è soltanto la miseria da amministrare, A meno che… A MENO CHE in agguato si intravede – e in alcuni casi è così – una nuova foga cementizia di chi illudendosi di sfruttare una drogata domanda turistica ha permesso di individuare i posti desertici di nuove cattedrali.

ECCO PERCHÉ BISOGNA FARE ATTENZIONE AL MERCATO DELLE RADICI: mi spiego. Da un po’ di tempo vedo girare troppi depliant illustrativi sul Subappennino, mentre il numero delle stalle che chiudono è in aumento. Per attirare turisti si dà spazio alle propagande che parlano di radici e vecchi merletti, mentre le strade della provincia continuano a costituire un pericolo incombente. C’è stato un momento in cui anche il mercato immobiliare da queste parti aveva preso il volo: ora si assiste ad una ritrazione preoccupante e c’è chi svende le casette acquistate sulla scia di un entusiasmo cartaceo e qualche bugia di troppo. QUESTO È IL SUBAPPENNINO DEI TRADIMENTI, delle megalomanie.
MA QUESTO È ANCHE IL FRUTTO DEI TANTI SQUILIBRI DEL NOSTRO PAESE. Già, gli squilibri italiani – i vecchi e i nuovi – : essi sono infatti tutti riconducibili ad uno squilibrio degli squilibri: quello fra il Nord europeo e il Sud mediterraneo; fra il Nord più umido e il Sud più secco; fra il Nord più pianeggiante e il Sud più impervio; fra il Nord più cittadino e il Sud più contadino.
Un diversificato processo di sviluppo, animato ed alimentato dalle città, facilitato dalle più agevoli comunicazioni, ha avvicinato il Nord all’Europa anche più di quanto già non l’avesse avvicinato la geografia.
Correlativamente, un ritardo non facilmente recuperabile nella industrializzazione tiene lontano il Sud dall’Europa anche più di quanto non lo sarebbe geograficamente.
Ora il Subappennino, da questo punto di vista, rappresenta uno squilibrio nello squilibrio; e né valgono ad addolcirlo progettazioni di strade come la famosa PEDESUBAPPENNINICA che avrebbe dovuto avvicinare ancor più i paesi montani alla Piana per mezzo delle bretelle di collegamento: e intanto le strade dove viaggiano i pullman di linea non hanno neanche le strisce per difendersi dalla nebbia.
C’è stato, insomma, chi ci ha marciato su quello squilibrio.
Per questo penso che il Subappennino abbia bisogno, soprattutto in questo momento storico, di maggiore attenzione e rispetto.
Rispetto per le sue contraddizioni, per i suoi misteri, per le sue specificità, per i dialetti, le etnìe, le culture paesane: insomma .per un panorama di sensazioni che si intrecciano con le esperienze degli uomini e la poesia dei luoghi.
Mi sono sempre chiesto perché mai – fatte le debite eccezioni per i cultori di cose patrie – il Subappennino non abbia ispirato scrittori, come è invece avvenuto mirabilmente per il Gargano.
Però è di queste ore una notizia confortante: la scrittrice MARIA MARCONE sta per pubblicare il suo sedicesimo romanzo, che stavolta – per la prima volta – è un giallo (IL RIFUGIO NEL BOSCO) ambientato in un paese del Subappennino.
Gli è che il Subappennino per sua natura è schivo, non si mette in mostra: bisogna sondarlo, capirlo, amarlo; e quando tutte queste tappe ognuno per sè le ha raggiunte, allora nasce una sorta di ritrosia della comunicazione a causa del timore che altri potrebbero non capire. Allora è meglio tacere? Forse è giusto. Forse no. Forse il futuro da queste parti se lo sono giocati al tavolo della perenne attesa. O forse il futuro è già cominciato, e soltanto a pochi è dato di percepirlo,
E penso a chi in questi giorni va realizzando pionieristicamente iniziative culturali come quelle teatrali che hanno già ottenuto successo per il sol fatto di essere state realizzate. Penso ai giovani parroci che coraggiosamente distaccatisi dalle paturnie municipali ispirano aperture sociali innestate sulle problematiche giovanili. Penso alle timide iniziative editoriali che utilizzano il comune sentire per propiziare una stagione di riscatto.
E pare che anche le Pro Loco stiano subendo un salutare cambiamento: non più caratterizzate da un dannoso collateralismo municipale, ma sentinelle delle tradizioni. Le stesse tradizioni che in molti casi e in diversi paesi subappenninici vengono difese dai giovani,
SI DICE CHE LA MEMORIA SIA IL SALVADANAIO DELLO SPIRITO e che per capire il futuro non bisogna distogliere l’attenzione dal presente. Penso che in questo momento la gente del Subappennino stia vivendo una delicata condizione: fra le pene umane la più dolorosa è quella di prevedere molte cose e di non poterci far nulla. MA NON È PESSIMISMO: è la condizione di chi si sente in balia dei mutevoli sentimenti legati all’esercizio di chi tenta di dipanate i meandri della verità, della conoscenza di questa gente che sa pagare con la moneta della verità quel che col soldo del rispetto e attenzione riceve.
E VOGLIO INSIEME A VOI SVOLGERE UNA RIFLESSIONE: una delle regole della MUSEOLOGIA riguarda l’intangibilità del reperto; ma ci sono reperti che non possono rimanere nel luogo dove sono stati rinvenuti. Occorre portarli al Museo. E questa operazione che cos’è? È mettere in mostra le radici per ricreare in certo qual modo sensazioni, schegge di situazioni che attraverso cultura, memoria ed esperienze consentono al significato del reperto di coniugarsi al presente. E se il direttore del MUSEO non è semplice CUSTODE, il significato di quel reperto si può coniugare al FUTURO. Operazioni del genere vuole il Subappennino.
So di essere in buona compagnia quando mi ritrovo a sperare che una nuova stagione riesca a schiudersi alla ricerca di verità nascoste, ALLO STESSO MODO di come son certo che per me finisce bene questa giornata perché la vostra pazienza e la vostra attenzione hanno il sapore di un risarcimento dei danni che per colpe altrui il Subappennino sta pagando.
Lello Vecchiarino
(3. fine)
  • La prima parte è stata pubblicata, il 22 ottobre 2016, per leggerla cliccare qui
  • La seconda parte è stata pubblicata il 25 ottobre 2016, per leggerla cliccare qui.

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Author: Geppe Inserra

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