11 gennaio 1921 – Incidenti “sovversivi” al Consiglio Comunale di San Severo
Il 1921 è un anno cruciale della storia d’Italia. Il cosiddetto biennio rosso, scandito dalle occupazioni di terre e di fabbriche è ormai quasi alle spalle. La risposta dei conservatori è dura e pesante. Vanno moltiplicandosi i fasci, che avviano un sistematico smantellamento delle organizzazioni di classe dei lavoratori, assaltando e incendiando Case del Popolo, Leghe, Sezioni Socialiste.
L’11 gennaio del 1921, proprio mentre a Bari viene avviata la costruzione della Casa del Proletariato, a San Severo, in provincia di Foggia si registra un episodio, per fortuna incruento, ma sintomatico dell’arroventato clima dell’epoca.
“Una dimostrazione sovversiva al Consiglio Comunale di San Severo“, titola il Corriere delle Puglie dell’11 gennaio 1921. Cos’accade di così grave? L’amministrazione a guida socialista, che si era insediata da qualche mese, aveva disposto la rimozione dei busti del Re e della Regina dalla sala consiliare e la loro sostituzione con un quadro di Lenin e il simbolo della falce e del martello.
Durante i lavori consiliari, un consigliere della minoranza popolare, La Pietra, aveva presentato un’interpellanza in cui chiedeva le ragioni della rimozione delle due statue. L’intervento era stato interrotto dai consiglieri della maggioranza socialista, che avevano sostanzialmente impedito a La Pietra di concludere, al grido di “Viva Lenin” e “Abbasso il Re”. I disordini avevano portato alla denuncia dei due consiglieri socialisti Clemente e Martino. “I combattenti hanno formulato vibrate proteste ed il fascio è deciso a tutto per non subire provocazioni” annota il cronista che aggiunge: “Quel che avverrà non si sa. Giungono in città rinforzi di truppe che non lasciano prevedere nulla di buono.” In realtà tornò la calma. La cronaca non registrò particolari sviluppi, nel giorni successivi.
9 gennaio 1921 – Cambio di guardia al Consorzio Granario Provinciale
Il cav. Amerigo De Bonis sostituisce l’avv. Domenico Fioritto al vertice del Consorzio Granario Provinciale, importante organismo che all’epoca sovrintendeva all’approvvigionamento del grano a beneficio dei comuni. L’avvicendamento ha luogo durante la riunione del consiglio di amministrazione del Consorzio, di cui fanno parte, oltre a De Bonis e a Fioritto, il duca Giovanni Barone, il comm. Alfonso Scala, l’avv. Vincenzo La Medica, il cav. Gustavo Nannarone, l’ing. Luigi Petruccelli, il cav. Giuseppe Rubino, Giuseppe Zagariello ed Ernesto De Maio, tutti nuovi eletti, e gli uscenti Matteo De Matteis e cav. Raffaele Cavalli.
Subito dopo il passaggio delle consegne, il neo presidente De Bonis si è impegnato ad assecondare le richieste di tutti i comuni della provincia di Foggia per “un equo razionale e graduale approvvigionamento”, in modo da scongiurare reclami e malcontento da parte degli stessi Comuni.
Nell’articolo del Corriere delle Puglie che riferisce del cambio al vertice del Consorzio, viene dato atto al presidente uscente, Domenico Fioritto, di aver saputo “nel tempo difficile della guerra, con la sua fenomenale attività e imparzialità, equilibrare la sua amministrazione con la scarsezza dell’assegnamento (di grano, nd.r.) da parte del governo.”
8 gennaio 1921 – Scarseggia la carne d’agnello la rabbia dei foggiani
Foggiani in agitazione per la mancanza di carne di agnello nelle macellerie. Sembra un paradosso, visto che il Tavoliere forniva nutrimento alle greggi transumanti che venivano dall’Abruzzo, e vi era dunque ampia disponibilità di carne ovina. Solo che gli allevatori preferivano avviarla verso i mercati del Nord, evidentemente più remunerativi. Lo si legge in una corrispondenza del Corriere delle Puglie (la testata antenata della Gazzetta del Mezzogiorno), il cui cronista, dopo aver dato notizia del “vivissimo malcontento” che la penuria della carne di agnello provocava nei consumatori foggiani, aggiunge che “periodicamente parte da Foggia, diretto a Milano, un carro contenente da 650 a 700 agnelli macellati”.
Il paradosso è che, come annota il solerte cronista, “a sfregio della popolazione” nei giorni successivi alla spedizione, “si espongono in vendita le budella degli animali macellati”. Insomma, a Milano la carne nobile, ai foggiani le frattaglie. “Ciò irrita la popolazione, la quale chiede un energico provvedimento”, chiosa il giornale.
7 gennaio 1921 – S’insedia la commissione per combattere il carovita
Si dà attuazione, in provincia di Foggia, alle disposizione della legge 30 settembre 1920, n. 1349, contro gli aumenti eccessivi dei prezzi. Il provvedimento, che cercava di mettere ordine tra un regime di prezzi ereditato dalla situazione bellica, e le necessità del libero mercato, prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di Commissioni arbitrali provinciali per la revisione dei prezzi dei generi alimentari e delle merci di uso popolare.
Il 7 gennaio 1921, il Prefetto convoca i rappresentanti delle categorie interessate a nominare i loro rappresentanti in seno all’organismo: le cooperative di produzione e consumo e le organizzazioni operaie. (Nell’immagine sopra, una stampa di fine Ottocento che raffigura Palazzo Dogana, all’epoca denominato Palazzo della Prefettura in quanto ospitava gli uffici prefettizi.)
6 gennaio 1921 – Preoccupazione in Capitanata per la penuria di grano
I produttori di pasta e farina sono preoccupati per la mancanza del grano, nonostante le disposizioni del Commissariato Approvvigionamenti e Consumi, che aveva assegnato ai comuni della provincia di Foggia le quote loro spettanti.
Da tempo era stato segnalato l’arrivo da Napoli del grano assegnato, ma fino ai primi di gennaio ancora nulla era arrivato. Di qui la viva preoccupazione dei produttori.
“La mancanza di grano in Capitanata, terra produttrice – scrive il Corriere delle Puglia – sarebbe addirittura un disastro”.
5 gennaio 1921 – Conflitto a fuoco alla Stazione di Foggia: i Carabinieri arrestano banda di ladri
Scene da Far West alla Stazione Ferroviaria tra una pattuglia dei Carabinieri ed una banda di ladri. I militari erano stati allertati dalle segnalazioni di commercianti e privati cittadini che avevano denunciato ripetuti furti ai loro danni, perpretati da ignoti malviventi, nella zona del binario morto dello scalo ferroviario.
Il Brigadiere dei Regi Carabinieri Giacomo Pezzolla, assieme agli appuntati Antonio Gagliulo e Giuseppe Fergola aveva così disposto un appostamento, aiutato dal caposquadra dei guardiani, Girolamo Di Modugno, e dall’agente investigativo Erminio Ariano. Alle prime ore della sera, un gruppo di una decina di persone scavalcava il muro di cinta e si dirigeva verso i vagoni in sosta sul binario morto, carichi di merci e di derrate alimentari.
I Carabinieri intimavano di fermarsi, ma per tutta risposta i malviventi sparavano diversi colpi di pistola verso i militari, che rispondevano a loro volta. Alcuni ladri riuscirono a fuggire, altri, feriti dai proiettili esplosi dalle armi dei militari caddero al suolo e vennero arrestati.
A finire dietro le sbarre furono in tre. Tra di loro un manovale avventizio presso la scalo ferroviario, che venne identificato come il capo della banda di malfattori.
1 dicembre 1920 – Interrogazione della camera del deputato socialista di Troia, Michele Maitilasso sull caso Sacco-Vanzetti
L’1 dicembre del 1920, la Camera si occupò per la prima volta del caso dei due anarchici italiani emigrati in America, Nicola Sacco di Torremaggiore e il piemontese Bartolomeo Vanzetti, ingiustamente accusati di una rapina sfociata in omicidio.
A sensibilizzare l’aula parlamentare sul dramma che stavano vivendo i due, fu un’interrogazione presentata dal deputato socialista di Troia, Michele Maitilasso. Qualche giorno prima il Consiglio Provinciale di Foggia aveva approvato, all’unanimità, un ordine del giorno di solidarietà ai due emigrati.
L’iniziativa dell’on. Maitilasso ebbe l’indubbio merito di porre all’attenzione del Governo e della Camera sul caso, che si sarebbe purtroppo concluso tragicamente.
Ecco il testo dell’interrogazione, discussa quel giorno alla Camera: «Il sottoscritto chiede d’ interrogare il ministro degli affari esteri, sul modo come vengono giudicati e condannati i nostri connazionali nell’America dei Nord, e più specialmente sul caso degli imputati Sacco Nicola di Torremaggiore (Foggia) e Vanzetti Bartolomeo, piemontese – onesti e laboriosi operai – contro dei quali si è montato un grave processo di assassinio, in cui vengono escluse le testimonianze degli italiani, come non degni di fede, ed il relativo dibattimento sarà celebrato, con non plausibile fretta, ai primi di dicembre, per evitare che si facesse piena luce e che si propagasse maggiormente il movimento pro- vittime politiche, già intensificato in tutti
gli Stati dell’America del Nord, dando alla causa una nota politica che tende ad oscurare la verità, togliendo così ogni probabilità di giustizia imparziale; e per sapere se il Governo intenda intervenire prima della celebrazione del dibattimento, ed in che modo, perché giustizia venga fatta con garanzia e con parità di trattamento, ascoltando e tenendo nel debito conto anche le testimonianze dei nostri connazionali, alcuni dei quali ora residenti in Italia. Maitilasso».
All’on. Maitilasso rispose, nel corso della seduta, il sottosegretario di stato per gli affari esteri Marco Di Saluzzo. Ecco la risposta così come viene riportata nel resoconto stenografico: «Dichiarando all’onorevole Maitilasso che non condivido menomamente i suoi apprezzamenti circa il modo con cui si amministra la giustizia negli Stati Uniti di America, gli dirò che non è una risposta vera e propria che io intendo dargli in questo momento, bensì una semplice notizia sul caso Sacco e Vanzetti, caso che fino a due o tre giorni fa non era a conoscenza del Ministero. E la notizia che io posso dare è che in seguito a premure di onorevoli deputati il Ministero ha telegrafato al nostro ambasciatore a Washington ed al console a Boston, Massachusetts, facendo loro presenti le ragioni accennate nella interrogazione, che giustificherebbero una dilazione della causa per supplemento di istruttoria.
Non mancherò di comunicare all’onorevole interrogante le ulteriori notizie che mi pervenissero sul caso di cui trattasi.»
Replicando al sottosegretario, l’on. Maitilasso affermò: «Prendo atto della notizia fornitami dall’onorevole sottosegretario di Stato per gli esteri, e mantengo la mia interrogazione, in attesa della ulteriore risposta che egli potrà darmi. Invito intanto l’onorevole sottosegretario di Stato a tutelare energicamente i diritti dei nostri connazionali, e che non si verifichi lo scandalo che non vengano intesi i testimoni italiani, perché dichiarati non degni di fede.» La risposta fu salutata da “approvazioni” dall’estrema sinistra.
Purtroppo furono vane le iniziative per salvare la vita dei due anarchici che vennero promosse dall’opinione pubblica internazionale e, a diversi livelli, dal Governo italiano. Sacco e Vanzetti vennero giustiziati il 25 luglio 1927. Lo stesso Benito Mussolini, che riteneva il tribunale statunitense «pregiudizialmente prevenuto», cercò di evitare l’esecuzione, senza successo.
Solo il 23 agosto 1977, esattamente 50 anni dopo l’esecuzione, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis avrebbe emanato un proclama che assolveva i due uomini dal crimine.
30 novembre 1920 – L’on. Michele Maitilasso, socialista di Troia, interviene alla Camera per chiedere che le date delle elezioni si svolgano in modo da non impedire la partecipazione dei lavoratori agricoli
Michele Maitilasso e Leone Mucci furono due deputati della provincia di Foggia, particolarmente attivi nelle aule parlamentari, a difesa dei lavoratori e del territorio.
Il 30 novembre del 1920, Michele Maitilasso, avvocato originario di Troia, fu protagonista di un appassionato intervento nell’aula di Montecitorio, nel quale sostenne la necessità di fissare la data delle elezioni in modo da favorire la partecipazioni dei lavoratori agricoli, spesso impossibilitati a recarsi alle urne in quanto impegnati nei lavori nei campi.
“Ho presentato un emendamento – affermò l’on. Maitilasso nel suo intervento – nel senso che le elezioni non si debbano fare nel mese di giugno e luglio.
Non ho mai compreso perché la legge comunale provinciale abbia indicato proprio quei mesi in cui sono più intensi i lavori agricoli, specialmente per la mietitura, che nelle regioni meridionali poi determina anche una forte emigrazione interna da provincia a provincia.
Ora, quando si indicono le elezioni (e molte volte lo si fa di proposito per impedire che i contadini vadano a votare) spesso una forte massa di elettori è assente per l’emigrazione in altre Provincie, o dalla montagna al piano, ove la mietitura viene anticipata, o viceversa.
Chiedo pertanto che si stabilisca che le elezioni si indicano nei mesi di maggio e giugno. Avrei anzi preferito i mesi di aprile e maggio nei quali tutti si trovano al proprio paese.
Credo poi che la mia proposta si adatti anche alle condizioni dell’Italia centrale e settentrionale, ed insisto quindi su questo emendamento che potrà dare l’esercizio del diritto elettorale a tutti coloro che nel mese di luglio fossero costretti ad assentarsi dai centri abitati.”
L’emendamento proposto dall’on.Maitilasso non venne approvato, però contribuì a creare l’humus culturale e la sensibilità necessarie affinché, nel dopo guerra, la data delle elezioni venisse stabilita secondo le modalità invocato dall’esponente socialista troiano.
29 novembre 1920 – Baruffa a San Severo per il sospetto di brogli alle elezioni comunali
Ricorso contro l’esito delle urne e querela alla Procura della Repubblica di Lucera contro i funzionari dell’ufficio elettorale comunale e di tutti gli scrutatori, accusati di aver commesso brogli e di aver consentito che votassero morti, emigrati falliti e carcerati.
Questa la pesante motivazione addotta dall’elettore Francesco Tommaso Russi alla richiesta di annullamento del risultato elettorale che aveva visto prevalere nella cittadina dell’Alto Tavoliere le liste socialista.
Secondo il ricorrente, “i seggi elettorali sono stati composti tutti da individui notoriamente socialisti, “i quali hanno impunemente indiziato tutti gli elettori”, le liste elettorali non erano aggiornate da parecchi mesi e, infine, che hanno votato numerosi dazieri, in contrasto con quanto disposto dalla legge comunale e provinciale.
Accluso alla denuncia, un dossier che, secondo Russi, fornirebbe le prove che “hanno votato ben 83 morti, 3 falliti, 13 emigrati e 8 carcerati.”
28 novembre 1920 – Tra sventolii di bandiere rosse e tricolori, movimentata seduta d’insediamento del nuovo Consiglio Provinciale
Domenica 28 novembre 1920, si insedia a Foggia il nuovo Consiglio Provinciale, eletto nelle tornate del precedente mese di ottobre. Le urne avevano visto prevalere di poco il Fascio sul Partito Socialista.
La turbolenta seduta di insediamento fornisce un efficace spaccato della passione politica dell’epoca.
L’assise provinciale fu chiamata a pronunciarsi, all’inizio della seduta, del caso di Serracapriola, il cui seggio provinciale, spettante ai Socialisti era rimasto vacante, in quanto il consigliere Mucci era stato eletto anche a San Severo, ed aveva optato per quest’ultimo collegio. Non senza una vivace discussione, il Consiglio approvò una sospensiva sulla questione, affidandone l’esame alla commissione incaricata di esaminare i ricorsi elettorali.
Si procedette quindi all’elezione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, che con 25 voti (quelli del Fascio) elesse presidente Ettore Valentini, vicepresidente Domenico Turchi, segretario Giuseppe Palmieri, vicesegretario Giovanni Pedone.
Gli animi si infiammarono durante il successivo intervento del socialista Mucci, che pur accettando la votazione numerica, sottolineò come il numero dei socialisti fosse virtualmente pari a quello della parte avversaria “in cui si vedono uomini di ogni colore politico e di tutte le gradazioni, ed uomini che non hanno addirittura alcun colore.”
Tanto bastò a scatenare un putiferio nel folto pubblico presente. Tra i banchi riservati al pubblico qualcuno innalzò una bandiera rossa, cui venne opposto il tricolore. Intervenne la forza pubblica con il classico squillo di tromba. Ritornò la calma quando il presidente Valentini dichiarò di non aver chiamato la forza pubblica, ottenendo in cambio l’applauso dei socialisti.
Tanta tensione e tanta passione non impedì al Consiglio Provinciale di prendere in esame questioni importanti e di approvare atti importanti, proposti per lo più dai consiglieri socialisti.
Vennero approvati, ed all’unanimità, ordini del giorno di solidarietà alle vittime dell’eccidio di San Giovanni Rotondo, che si era verificato il mese prima, di sostegno agli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, detenuti nelle carceri americane, in cui sarebbero stati giustiziati. E ancora, e sempre all’unanimità, il Consiglio approvò voti per l’Acquedotto Pugliese e per impedire l’aumento del prezzo del pane.
Si passò quindi alla elezione del presidente e della Deputazione Provinciale, che era la Giunta dell’epoca. Alla presidenza venne eletto, con 25 voti, Giacomo Cavallucci, avvocato, che sopravanzò di due voti Domenico Fioritto, che ne ottenne 23. Nella Deputazione Provinciale vennero eletti invece, con 25 voti (i socialisti votarono scheda bianca) Michele De Meo, Achille Della Torre, Sabino Piazzolla, Ponziano Pirro, Ercole Rainone, Gennaro Capobianco, Vincenzo Caione, Giovanni Bilancia.
Altri incidenti nel pubblico scoppiarono durante la vivacissima discussione su chi dovesse approvare il verbale della seduta, se la Deputazione o lo stesso Consiglio. Si decise, ancora una volta all’unanimità, di affidare l’incarico ad una commissione eletta ad hoc, di cui faceva parte anche la minoranza socialista.
Così, La Gazzetta delle Puglie raccontò il movimentato finale: “Il pubblico rumoreggia di nuovo. Da qualche consigliere di sinistra si mette fuori una bandiera rossa. Il baccano si riprende, mentre si vuota l’aula. Si canta Bandiera Rossa. I combattenti, venuti in gran numero, sventolano il tricolore gridando Viva l’Italia! Viva il Re!”
27 novembre 1920 – Si insedia a Foggia la nuova Giunta Municipale
Riunitasi sotto la presidenza del Sindaco, Giuseppe Mandara, la Giunta Comunale di Foggia, il 27 novembre 1920, ha deliberato l’assegnazione delle deleghe ai diversi assessori. Gli incarichi risultano così distribuiti: al Sindaco, Finanze Comunali, Opere Pie, Contenzioso; Domenico Santoro, Istruzione Pubblica; Vincenzo Gaito, Lavori Pubblici; Nicola Carella, Annona e Dazii; Gaetano Barone, Pulizia Urbana, Guardie Municipali, Pompieri e Campestri, Personale, Corso Pubblico; Alfredo De Biase, Igiene e Sanità Pubblica; Michele Nigri, Stato Civile, Villa, Giardini Pubblici, Cimitero; Vittorio Barone, Patrimonio, Tasse e Ufficio elettorale.
26 novembre 1920 – Telefoni in tilt a Foggia per un ingente furto di rame sulla linea Foggia-Troia
Ha radici antiche, la piaga dei furti dei cavi di rame, che ancora oggi angustia Foggia e la sua provincia, provocando sensibili danni anche alle attività produttive.
Il 26 novembre del 1920, i telefoni della rete urbana di Foggia andarono in tilt per una serie di furti di cavi che si era verificata lungo la linea telegrafica Foggia-Troia. I giornali dell’epoca parlano di danni ingentissimi: 10.000 lire che oggi equivarrebbero a circa 12.000 euro.
L’episodio suscitò scalpore nella cittadinanza e preoccupazione nelle forze dell’ordine. La polizia effettuò alcuni arresti. I giornali sollecitarono azioni preventive, con una sorveglianza mirata nelle campagne “per evitare che simili furti abbiano ancora a lamentarsi”.
Un secolo dopo, purtroppo, simili furti vengono ancora lamentati. (Nella foto sopra, l’ex Palazzo della Banca d’Italia, attuale sede dell’Accademia di Belle Arti, che una volta ospitava il telegrafo).
25 novembre 1920 – IN AGITAZIONE I MAGISTRATI LUCERINI: “STIPENDI TROPPO BASSI”
Il carovita che stringeva l’Italia dopo la fine della Grande Guerra non risparmiava neanche i magistrati. A Lucera, il 25 novembre 1020, i magistrati che lavorava presso il Palazzo di Giustizia della cittadina aveva si riunirono, sotto la presidenza dell’allora procuratore del Re, Alfonso Passante.
Al termine dell’incontro, al quale presero parte tutti i giudici lucerini, venne approvato un “lungo e circostanziato ordine del giorno” che sarebbe stato inviato al Ministro Guardasigilli e all’intero Governo, nel quale venivano sottolineati “le superiori doglianza e i pericoli che i magistrati e la Giustizia corrono se continuano ad essere abbandonati dallo Stato”. Il documento conteneva anche diverse richieste: “l’elevamento non indifferente degli attuali stipendi, la concessione di una indennità di carica per tutti i magistrati, la creazione di una commissione centrale la quale, tenendo presente mensilmente o trimestralmente il fluttuare del mercato, deliberi volta per volta la percentuale che in rapporto allo stipendio bisogna concedere quale indennità di caroviveri.”
24 novembre 1920 – Giura il nuovo sindaco di Foggia, Giuseppe Mandara, e avvisa i concittadini: “In cassa non c’è una lira”
Il 24 novembre del 1920, il nuovo sindaco di Foggia , cavaliere ed avvocato Giuseppe Mandara, prestò il giuramento di rito davanti al Prefetto comm. Regani. Il primo cittadino era in compagnia del Segretario generale del Comune avv. Luigi Accettulli, che svolse le funzioni di testimone, assieme al Regio Commissario Zazo. Dopo la formalità dei giuramento il Sindaco si intrattenne col Prefetto per circa mezz’ora in cordiale colloquio.
La stampa dell’epoca non ci informa circa il contenuto del colloquio tra le due autorità, ma è verosimile supporre che i due si siano intrattenuti a riflettere sulla gravissima crisi finanziaria in cui si dibattevano le casse comunali.
Assumendo la carica, il nuovo sindaco Mandara fece affiggere un manifesto in cui rendeva nota alla cittadinanza la tutt’altro che florida situazione del bilancio comunale. Il documento offre un interessante e dettagliato spaccato della vita cittadina dell’epoca. Eccone il testo.
“Chiamato dalla fiducia del Consiglio alla carica di Sindaco sento il bisogno e il dovere di rivolgervi, col mio saluto, poche, franche parole.
Voi sapete che assumo il potere in momenti assai difficili, sia per le condizioni di disagio generale, sia per quelle
particolari della nostra città; dove tutti i servizi pubblici, cauti nell’abbandono, reclamerebbero opera ardita e lauti mezzi, mentre le condizioni del bilancio sono tali da soffocare ogni buona iniziativa. Vi basti supere che in cassa non vi è un soldo; che il Tesoriere della Banca Italiana di Sconto, è creditore del Comune, per somme anticipate, di L. 1.699.997 e che le Officine del Gas e Luce Elettrica hanno pochi giorni di vita per mancanza
di carbone.
In queste condizioni assumere l’amministrazione può sembrare follia o temerarietà: e tale sarebbe per chi non avesse almeno la speranza che il paese, conscio della gravità della situazione, sia disposto a sostenere e ad incoraggiare in tutti i modi e con tutti i mezzi necessari l’opera dei suoi amministratori.
A quest’opera lenta e faticosa di ricostruzione, irta di difficoltà materiali e piena di responsabilità morali, i miei collaboratori ed io siamo pronti a dedicare tutte le nostre energie, sacrificando gli interessi privati al pubblico bene: ma ad una condizione, di avere dietro di noi il paese concorde o fermo in un mutamento radicale di indirizzo.
A questo patto potrà forse un giorno essere coronata dal successo l’aspirazione potente, che anima i nostri cuori verso il progresso di questa città, che vorremmo strappare all apatia e portare a quel livello di civiltà e di bellezza, a cui sono giunte le altre città capoluoghi della Puglia.
Occorre in tutti un forte senso di disciplina e di sacrificio, se vogliamo ricondurre le funzioni del Comune a tradizioni di onestà e correttezza, e se vogliamo sfruttare il favore di leggi speciali per risolvere i problemi più gravi, che travagliano la cittadinanza: la mancanza di acqua, di scuole, di case.
È con questi sentimenti, o miei concittadini, che vi porgo il saluto della nuova Amministrazione”.
Giuseppe Mandara restò in carica per quasi tre anni, fino al 2 novembre del 1923. Fu l’ultimo sindaco eletto dal consiglio, prima dell’avvento del fascismo. Dopo di lui, si sarebbero avvicendate infatti alla guida del comune tre commissari prefettizi, prima della designazione del primo podestà di Foggia, nella persona dell’avv. Alberto Perrone. (Nelle foto, l’antica sede municipale, dove sorge attualmente il Conservatorio Musicale Giordano, e, sulla sinistra, l’avv. Giuseppe Mandara).
23 novembre 1920 – AGITAZIONE A FOGGIA PER LA MANCANZA DI AVENA
Agricoltori ed allevatori foggiani in agitazione per la crisi di produzione dell’avena, che aveva fatto lievitare il prezzo del cereale utilizzato per l’alimentazione degli animali. I prezzi avevano raggiunto quotazioni da capogiro: 220 lire al quintale. In aumento anche il costo del trasporto. La situazione aveva spinto numerosi agricoltori a sostituire il mangime con il grano. I produttori agricoli, per il tramite del presidente del Consorzio Agrario, avv. Enzo Fioritto, avevano sollecitato il Ministero ad inviare a Foggia quantitativi sufficienti di avena per soddisfare il fabbisogno degli allevatori.
Soltanto 5mila dei 14mila quintali di aveva promessi erano però stati effettivamente consegnati. Di qui l’inasprimento dell’agitazione, e la richiesta di provvedimenti “urgenti e seri” per aiutare il comparto agricolo a uscire dalla crisi.
22 novembre 1920 – UN MORTO E DUE FERITI PER UN SEGRETO NON MANTENUTO A CERIGNOLA
Non mantiene il segreto e finisce freddato. È successo a Cerignola il 22 novembre del 1920. A un possidente del luogo, erano stati rubati un cavallo e un calesse, ad opera di tre pregiudicati. Uno di questi aveva confidato il furto ad un parente del derubato, raccomandandogli di mantenere il segreto. Questi aveva però spifferato la notizia. Mentre si trovava in compagnia di suo fratello e di un’altra persona veniva raggiunto e affrontato dai tre ladri che, rimproverandogli di non avere mantenuto il segreto, sparavano diversi colpi di pistola, uccidendolo all’istante. Nella sparatoria sono rimasti gravemente feriti il fratello dell’uomo, ed un ragazzo che si trovava nei paraggi. Dopo l’agguato, gli assassini sono fuggiti, facendo perdere le loro tracce.
21 novembre 1920 – TAFFERUGLI A FOGGIA DURANTE UNA MANIFESTAZIONE SINDACALE
L’inaugurazione del vessillo rosso della sezione “Dazieri” della Camera del Lavoro è stata turbata ad alcuni incidenti. Dopo la manifestazione in piazza Teatro, durante la quale avevano parlato l’esponente socialista Pontone, l’on. Maitilasso e il sindaco di Cerignola, Salmini, preceduto dalla banda cittadina si è formato un corteo che stava percorrendo le vie del centro. Mentre i musicisti eseguivano L’Internazionale, dal corteo si è levata il grido “Abbasso il Re”. Le autorità di polizia presenti hanno ordinato allora lo sgombero, con il rituale squillo di tromba. Durante la carica dei carabinieri sono andati in frantumi i vetri di alcuni negozi, all’interno dei quali si erano rifugiati i manifestanti per proteggere i propri vessilli.
Tornata la calma, il corteo ha proseguito fino alla Camera del Lavoro, dove si è sciolto senza ulteriori incidenti.
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