Limosani fugge da Foggia, e la città perde la faccia

I tralicci con i «cuori pulsanti» di Felice Limosani ai Campi Diomedei non si faranno più, i «cuori pulsanti» sono presto diventati «cuori infranti».

Devo confessarvi che la conclusione di quest’amara, sconcertante vicenda non mi meraviglia più di tanto. Come tanti, come troppi, alla fine l’artista è fuggito da Foggia, dopo aver tentato e sperato di ritornarvi. È rimasto anche lui vittima di quel marchio d’infamia che ci portiamo dietro, che è ormai diventato una triste verità: «Fuggi da Foggia.»

Non ho seguito molto la vicenda che ha portato il grande artista a far marcia indietro rispetto alla sua intenzione di donare alla città, alla sua città natale, una installazione artistica che ne avrebbe rappresentato un qualificato attrattore.

Odio il cicaleccio del social: inutile, nella migliore della ipotesi, più spesso dannoso e nichilista, come nel nostro caso.

Non so (e a dirla tutta neanche mi interessa saperlo) chi abbia sollevato i distinguo, avanzato dubbi, proposto improbabili commissioni scientifiche o concorsi di idee, alimentato perplessità, cosparso veleni, secondo quel collaudato copione, che richiama un altro antico proverbio che beffardamente scandisce la nostra identità collettiva: «Il foggiano non vuole fare, e non vuole far fare.»

So però chi è Felice Limosani: uno degli artisti più grandi ed innovativi presenti oggi sulla scena internazionale. Uno dei più grandi interpreti della «umanistica digitale», ovvero di quella disciplina e forma artistica che combina l’approccio umanistico tradizionale con le tecnologie digitali. Un artista le cui opere ed installazioni sono state esposte al Louvre di Parigi, all’Art Basel a Miami, a Palazzo Strozzi a Firenze, al Mies Van der Rohe Pavilion a Barcellona. Un genio che tiene lezioni nelle università di mezzo mondo, non nuovo ad iniziative benefiche come quella che aveva proposto a Foggia, nella convinzione che l’arte debba contribuire al bene comune. La città dovrebbe menar vanto di aver dato i natali a uno come lui, e invece…

L’opera non sarebbe costata neanche un euro alla cittadinanza, in quanto l’avrebbe finanziata e donata (i costi vivi, perché comunque Limosani non avrebbe messo in tasca un centesimo) un gruppo di imprenditori locali che volevano mantenere l’anonimato per ragioni che vanno rispettate, e condivise. Primo perché se qualcuno dona qualcosa e non vuole che si sappia in giro bisogna accettarlo, secondo perché la riservatezza è quanto meno auspicabile, vista la particolare vocazione estorsiva della criminalità locale.

Enrico Ciccarelli, in un memorabile articolo che vi suggerisco caldamente di leggere (lo trovate qui) suggerisce che questa poco edificante storia rappresenta un capitolo esemplare di quel foggianesimo, che impedisce alla città di crescere, di emanciparsi da quella dimensione provinciale e provincialistica cui la condannano quegli abitanti che non si decidono a diventare cittadini. Hai ragione, Enrico.

Non solo la città ha perduto una grande opportunità di bellezza. Questa volta ha perduto la faccia.

Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

2 thoughts on “Limosani fugge da Foggia, e la città perde la faccia

  1. Buon giorno ,mi spiace moltissimo per quest’ accaduto, avrebbe dato lustro alla nostra città, sembra quasi che ci sia qualcuno che remi contro per far sì che Foggia salga alla ribalta solo per la delinquenza ,opinione personale…buon proseguimento

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