Perché il Subappennino è rimasto “sub”

Qualche anno fa, dalla brillante e compianta penna di Lello Vecchiarino venne lanciata una campagna per cambiare il tradizionale toponimo “Subappennino Dauno” in “Monti Dauni”.
Il prefisso Sub – questa la tesi sostenuta dall’allora capo della redazione foggiana della Gazzetta del Mezzogiorno – suggerisce in sé qualcosa di inferiore. Inizialmente Lello propose di cambiarne la denominazione in “Preappennino” e la cosa suscitò un appassionato dibattito, addirittura un movimento d’opinione. Erano anni in cui attorno ai temi dello sviluppo ci si confrontava, non era soltanto – come purtroppo accade oggi – questione per tecnocrati ed addetti ai lavori. Alla fine prevalse l’idea del toponimo geografico”Monti Dauni” o “Monti della Daunia” che indica effettivamente qualcosa di identitario, addita una prospettiva di ripresa, di riscatto.
La campagna sortì gli effetti sperati, facendo diventare obsoleta la vecchia denominazione. Più o meno trent’anni dopo, è giusto porsi la domanda: è riuscito il Subappennino a diventare Monti Dauni, ovvero a superare la dimensione di isolamento e di sottosviluppo che quel toponimo tradiva? I dati che abbiamo pubblicato nella prima puntata del nostro viaggio ci dicono di no.
La decrescita demografica, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della esposizione demografica mostrano che lo spettro della desertificazione sta diventando sempre più concreto, e che solo una inversione di tendenza che riguardi l’intero territorio subappenninico, e non singoli comuni più o meno virtuosi, può scongiurarlo. La sfida si vince o si perde tutti insieme, a cominciare dalla Regione Puglia.
Non che siano mancati, in questi decenni, progetti e tentativi di avviare una nuova dimensione dello sviluppo.
Lello Vecchiarino amava molto il Subappennino Dauno, ed in particolare Faeto, che riteneva una sorta di isola felice, un laboratorio in cui sperimentare nuove strategie di crescita e riscatto sociale. Scelse perfino di viverci.
Ma proprio Faeto racconta una storia amaramente esemplare. Di occasioni perdute, progetti inceppati, danaro pubblico speso malamente.
Ci sono tornato qualche domenica fa, e il primo colpo al cuore è stato il dover constatare lo stato di degrado in cui versa l’albergo rifugio di Pian delle Noci, immerso nel verde del bosco. Di proprietà comunale, una volta era un polo di aggregazione. Da qualche anno è chiuso, per il mancato rinnovo della concessione al gestore privato. Come documentano le fotografie, la struttura è ormai cadente ed esposta al rischio di atti vandalici.

In apertura e qui sopra, l’albergo rifugio di Pian delle Noci

Non se la passa meglio il contiguo parco avventura: abbandonato a se stesso. Nell’area pic nic dove una volta per trovare un tavolo libero dovevi arrivare alle sei del mattino, poche sparute famiglie.
Quell’albergo, il bosco attrezzato dovevano essere i volani di uno sviluppo che ad un certo punto è apparso possibile. Poi, il crollo.
Costernato, decido di consolarmi andando in paese a comprare il pane e la pizza che tante volte in passato hanno allietato le nostre gite nel bosco. Mi aspetta un’altra delusione. Il forno è chiuso da tempo.
“Hanno chiuso sia i due forni, che le due macellerie; quando ho bisogno di pane o di carne devo andare a Castelluccio Valmaggiore”, mi informa desolato il mio amico Vittorio Affatato, che con Lello Vecchiarino condivideva l’amore per il borgo francoprovenzale, che si contende con Monteleone il primato di comune più alto della Puglia. Vittorio ha scelto comunque di restare e di trascorrervi i mesi estivi: “Per l’aria impareggiabile, per il clima, per il paesaggio”.
Ma perché lo sviluppo possibile non è mai decollato? La risposta non è facile, né univoca. Il pubblico ha cercato di fare il possibile, ma forse l’errore – che riguarda tanto Faeto quanto gli altri comuni subappenninici – è stato proprio quello di pensare che amministrazioni così piccole potessero governare e pilotare progetti di così largo respiro.
Il Comune di Faeto (dati del consuntivo 2021) può contare su un bilancio di un milione e 866mila euro all’anno, di cui circa 460mila erogati dallo Stato, con una spesa procapite di circa tremila euro. Noccioline.
C’è da dire che Opencivitas giudica positivamente la qualità dell’amministrazione comunale, attribuendole 7/10 per il livello della spesa e 8/10 per quello dei servizi.
Il convitato di pietra, l’anello debole che ha inceppato il possibile meccanismo virtuoso è l’impresa privata. O più precisamente l’assenza, la latitanza di una imprenditoria privata che potesse attuare i progetti, cogliere le opportunità.

Il complesso “Il Castiglione”

La storia più emblematica, e più amara, che il caso Faeto ha da raccontare è quella del complesso turistico sportivo “Il Castiglione” sorto nella omonima località, costato un’iradiddio e mai entrato in funzione. Venne finanziato interamente con risorse pubbliche, i fondi FIO, per 18 miliardi di vecchie lire, che corrispondo a quasi 40 milioni di euro di oggi.

Un impianto avveniristico: piscina coperta semi-olimpionica, scuderia, galoppatoio, pista del ghiaccio coperta, un grande albergo, palestra super attrezzata, campi da tennis, minigolf, sauna, foresteria, ristorante, sala conferenze con impianto per traduzione simultanea.
Le gare bandite per aggiudicarne la concessione sono andate tutte deserte e non ha dato frutti neanche il tentativo operato dal Comune di dividere in lotti la struttura per alleggerirne la gestione e concederla in comodato gratuito. Intanto, anno dopo anno il complesso è stato vandalizzato e depredato, a cominciare dal tetto di rame, come testimoniano tristemente le fotografie.

Il complesso “Il Castiglione” vandalizzato

A rendere scarsamente appetibile la struttura per gli investitori privati è stata sicuramente la viabilità precaria. Per renderla facilmente raggiungibile dalla piana e dalle Regioni limitrofe si sarebbe dovuto sistemare ed ammodernare radicamente la sola strada che la serve (il tratto dauno della vecchia via Traiana) che all’epoca della progettazione era una strada in multiproprietà (Provincia, Comunità Montana, comuni) e solo da qualche anno è stata provincializzata.
Ecco: per tentare di far decollare “Il Castiglione” ci sarebbe voluta una cabina di regia, una rete di soggetti istituzionali e non che sono invece mancate.
E’ per queste carenze che il Subappennino è destinato a rimanere “sub”.
Geppe Inserra
2.continua

[Le foto dell’albergo rifugio sono le mie, quelle del complesso sportivo “Castiglione” sono tratte dalla pagina facebook Wastarch (Architettura & Sprechi Ricerca sulle tematiche di opere incompiute).]

Views: 0

Author: Geppe Inserra

18 thoughts on “Perché il Subappennino è rimasto “sub”

  1. Buonasera, cosa intende per “.. ci sarebbe voluta una cabina di regia, una rete di soggetti istituzionali..”?. È, vero, una via di comunicazione inefficace può avere effetti demotivanti per rendere appetibile strutture del genere, ma pensa che sia l’unica causa? Cosa si potrebbe fare di concreto, di veramente fattivo per i Monti Dauni per combattere l’inesorabile spopolamento? Grazie

    1. La ringrazio molto per il suo contributo. La invito a leggere la prima puntata del “viaggio” in cui affronto, appunto, il tema dello spopolamento. E’ vero che non è stato solo il mancato adeguamento della rete viaria a tarpare le ali al complesso Castiglione. Tante altre strutture nella zona (penso al Villaggio Arcobaleno di Volturara Appula) hanno seguito la stessa sorte. Forse bisogna ripensare criticamente alla logica delle grandi opere, che in una situazione infrastrutturale debole corrono il rischio – com’è stato – di trasformarsi in cattedrali del deserto. Nella prima puntata del viaggio affronto anche la questione dell’eccessivo ricordo ai bandi e ad una malintesa premialità. La competizione territoriale penalizza sempre le aree più deboli. Per salvare i Monti Dauni dall’inesorabile destino di spopolamento, sono necessari strumenti straordinari, che vedano in un ruolo trainante e protagonista le Regione Puglia.
      Geppe Inserra

  2. Una battaglia contro i mulini a vento. Primo pk è normale che in tempi di pace la montagna e la collina scendano a valle verso le città. Secondo pk il sud e la Puglia si spopolano i giovani vanno al nord i genitori li seguono. Se Foggia ha perso 20 mila abitanti in poco più di 20 anni un paese di un migliaio ne perde di più in linea inversamente proporzionale, meno ne sono più se ne perdono. Pk qui il macellaio può trovare altro da fare a Faeto no. Di chi la colpa di chi ha fatto buttare i soldi col villaggio San leonardo e col mega progetto, della fabbrica fantasma di salumi senza maiali che si fregia però del nome di Faeto. Occorre in questi casi avere i piedi per terra e fare meno ma fare quello che occorre dopo attente analisi socio economiche. Purtroppo in Italia e nel sud gli imbecilli hanno ragione come il caso della statua cellese, uno spreco di tempo e soldi quando è appurato che i Franco Provenzali non c’entrano niente con Carlo e i suoi contadini che si recarono a Lucera da dove si dispersero. La discesa dei fpr. Non soli a celle e Faeto e di albanesi un un arco che va dalla zona dei due comuni ma tenendosi sui monti daunii fino a Campomarino terre salubri si deve ad altri episodi di immigrazione.

  3. Buonasera, a mio modesto parere il mancato sviluppo socio-economico dei Monti Dauni è dovuto al fatto che si è pensato sempre a ciò che non si ha, sottovalutando invece l’immenso valore inespresso delle risorse che i Minti Dauni hanno: centri storici ben conservati, natura, prodotti agricoli con varietà antiche ecc. Manca il coraggio da psrte di chi dovrebbe valorizzare queste risorse (privato) e manca un piano territoriale per poterlo fare (pubblico)

  4. il subappennino è rimasto sub perchè il modello di sviluppo è rimasto lo stesso, iperconcentrazione di imprenditoria in alcune zone del paese, favorita dalle banche, con richiesta di manodopera, ora anche qualificata, con inevitabile emigrazione al nord……come 100 anni fa……
    Pochi spiccioli qui, impiegati essenzialmente in progetti faraonici. Come è stato detto, niente infrastrutture essenziali. E questo sta continuando, vi siete accorti che stanno chiudendo gli sportelli bancari? Che è impossibile per un imprenditore avere fidi?
    Che nei paesi non c’è più un ufficio postale?
    Che il territorio al sud è solo sfruttato come hub energetico? Nemmeno più agricolo….
    È impossibile restare in queste condizioni.
    Se non si cambia questa organizzazione è inutile parlarne, finiremo come una nazione africana……..

  5. La viabilità pessima é sicuramente un punto di debolezza che incide profondamente sui piccoli borghi dei Monti Dauni. Vale ad esempio il caso della SP 130, sul tratto Crocione ( Alberona) Roseto Valfortore- sul confine Castelfranco in Miscano(Bn). Quel tratto sembra proprio una mulattiera, i cui lavori di ripristino sono stati più volte finanziati, e mai eseguiti.

  6. A parer mio i Monti Dauni potrebbero essere lo specchio della nazione, e la causa è tutta da ricercare nel “materiale umano”: siamo tutti vittime del disamore e della disamministrazione. Saluti

  7. A distanza di anni, e ne sono passati da quando vi andai la prima volta, Faeto mi stupisce sempre per la sua bellezza.
    Sottoscrivo, ahimè, tutto ciò che si dice con doloroso rincrescimento di questo Sub italiano abbandonato, degradato ma oltre questo, niente altro?
    Inedia inerzia, indifferenza?
    Lei, dottor Inserra ha lanciato, con il garbo che La distingue, una provocazione, un interpello cui, senza sparare troppo in alto, fin dove, di questi tempi grami di orizzonti ampi, non volano più le aquile, il Suo blog può rispondere quale cassa di risonanza, laboratorio di confronto.

  8. Sempre lucidissimo, brillante e coraggioso Geppe!
    Concordo con il commento di Lorenzo Piacquadio: troppo spesso si guarda ciò che manca e troppo poco al patrimonio considerevole, ereditato dalla natura, dalla storia e – in qualche caso – persino dall’azione di amministratori illuminati (che pure non sono mancati, nemmeno nei Monti Dauni).
    E’ ciò che si è tentato di fare, qualche anno fa, con il progetto di eccellenza turistica “Monti Dauni”, finanziato con qualche milione di euro dal Dipartimento del Turismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e “devoluto” da Regione Puglia che scelse di non allocare le risorse in uno dei due poli turistici del tempo (Gargano e Salento) ma ad una possibile calibratura del divario con l’entroterra (sempre grazie, Silvia Godelli!). L’idea chiave era valorizzare la presenza di un numero considerevole di borghi più belli, autentici, arancioni, ecc. al fine di realizzare un circuito che consentisse di aumentare permanenza media e – per questa via – spesa media, a beneficio dell’economia locale e dell’occupazione stabile e qualificata.
    Sarebbe sufficiente indagare le cause del mancato successo di quell’azione per “scoprire” cosa davvero non funziona. Per me, personalmente, una delusione professionale e insieme personale difficile da dimenticare, perché non si trattava della solita azione infrastrutturale ma di un’innovazione di processo che avrebbe potuto indicare soluzioni di creazione del valore in linea con la domanda evoluta dei mercati (molto oltre i paradigmi novecenteschi, ottimamente rappresentati dalle “cattedrali nel deserto”).
    Vorrei proporre una sfida minuscola: sapranno gli attuali amministratori dei Monti Dauni far modificare alla redazione della RAI la dizione “Subappennino dauno” dai servizi del telegiornale o almeno dal meteo? Un brand territoriale si costruisce anche così, facendo attenzione anche alle piccole cose che innescano motivi di appartenenza, di identità e di proiezione. Lello Vecchiano ha indicato la via…
    Un caro saluto, Geppe!

    1. Ricambio fraternamente il tuo saluto, e concordo: il progetto di eccellenza turistica varato da Silvia Godelli ha rappresentato la sola “presa in carico” di questo lembo di Puglia da parte della Regione. Ma sai meglio di me, caro Federico, che le “innovazioni di processo” sono molto difficili, in un territorio distante dalla stessa idea di processo. Torneremo a parlarne. Grazie del tuo contributo, intanto

  9. Gent. Dott. Inserra, ho letto con attenzione ed interesse la sua riflessione sui Monti Dauni ed il destino di questo amato territorio. Condivido con Lei la tristezza verso questo presente e le occasioni di futuro che si sprecano. Sono originario di Deliceto, uno dei comuni del territorio in questione, ma per ragioni di vita mi trovo in altra parte d’Italia. Concordo pienamente sulle ragioni espresse e le cause che determinano il degrado sociale e culturale. L’assenza di una classe politica in grado di guidare la crescita del territorio, certamente (ma questo è un fatto storico, anche se ancora oggi si infierisce contro i baresi rei di usurpazione. Io penso che dai Russo, Cavaliere, in poi, la capitanata è stata depredata e abbandonata dalla politica territoriale). L’assenza dell’imprenditoria? Anche qui indubbiamente, anche se penso che oggi non manca una classe imprenditoriale capace ed anche di buon livello nazionale, ma interessata più al business che al territorio. A questi problemi, mi permetto di aggiungere, l’assenza di un’identità di popolo. La mancanza dell’amore per la propria terra e di conseguenza il non sentire il proprio luogo come l’opportunità da cogliere. In sostanza, penso che scontiamo ancora la sindrome degli oppressi, degli sfruttati dominati e quindi più dediti a difendere il proprio orticello che interessarsi del bene comune. Dico questo, perché vivo la rabbia nell’osservare il degrado del mio paese di origine ogni volta che rientro da parte degli stessi, che come me, vivono e si confrontano con altri luoghi e culture. Eppure, non subiamo più l’arcaica cultura contadina, ma viviamo nell’era della comunicazione globale dove un click apre nuovi mondi. Vedo che siamo rimasti culturalmente legati alla cultura dellla Cassa per il mezzogiorno ed allo sviluppo indotto. Penso invece, che i Monti Dauni ma non solo, sono una unicità di ricchezza, di patrimonio storico-culturale, di vestigia religiose, eccellenze eno-gastronomiche, ma soprattutto, di opportunità di sviluppo che non necessitano di incubatori extraterritorio. Il turismo, può e deve essere una chiave necessaria. Parlo ovviamente di un turismo, pensato organicamente, organizzato, infrastrutturato e non da mordi e fuggi. Ritengo che la candidatura di Lucera e dei Monti Dauni, a capitale della cultura, purtroppo sfumata, sia stata un iniziativa intelligente, ma prima di provarci, credo, andava costruita la cultura del territorio, del concetto di unire i punti di forza, le specificità, le potenzialità per essere riconoscibili in un mercato globale. Il Salento, il Barese, sono dei brand territoriali e non di singole realtà. Concordo con Lei che molto è stato sprecato in passato. Non solo le risorse pubbliche ma anche il bene più prezioso: classi di generazioni. Oggi bisogna colmare quei vuoti, non solo con nuove nascite, ma con il creare le condizioni adatte ad una migrazione di ritorno. I territori vanno ripopolati riportando, prima di tutto, i servizi primari, le infrastrutture e contestualmente, elaborare programmi finalizzati alla valorizzazione dei Monti Dauni e non i territori ex sub-appenninici. Le condizioni ci sono tutte, serve la volontà collettiva e non solo politica. Occorre pensare in grande. il mondo futuro, sarà sempre più liquido, lo sviluppo produttivo sarà sempre più distribuito e assoggettato allo sfruttamento della povertà nei luoghi emergenti. la tecnologia e L’ A.I., lasceranno sempre più tempo libero ai cittadini. Ciò che farà la differenza sarà il desiderio di vivere nuove esperienze rilassanti ma non il turismo di massa mordi e fuggi. Si avvantaggeranno di questo, i territori che si faranno trovare preparati. Noi possiamo?

  10. Non so se le loro origini francoprovenzali o la locazione del paese al vicino confine campano o la qualità di minoranza linguistica che,comunque, accomuna sia Celle San Vito o, la Campana, Greci che hanno un altro amore del loro territorio,ma penso che non ci sia popolazione più gretta ed assurda dei faetani.Da oltre trent’anni ci passo gran parte della mia vita e non posso che riaffermare che,tranne qualche volenteroso ed ospitale commerciante che ci ha fatto resistere a fruire della bontà del posto,ho dovuto sopportare le gravisdime dichiarazioni di qualche altro commerciante che si vantava di affermare che se fosse dipeso da lui quel Villaggio San Leonardo sarebbe stato messo a fuoco eppure con le entrate di tari,ici,imu e di spese fattelo fanno vantare come il Comune più ricco dei monti Dauni e nonostante le copiose entrate dell’IMU resta abnandonato alle erbacce e alla carenza dei più elementari servizi essenziali per farlo diventare parte integrante di Faeto.Il centro del Castiglione,opera mastodontica completa di tutto ciò che possa attirare gitanti e ridotto a discarica acuelo aperto dove finanche i mattoni stanno portando via dopo aver distrutto un patrimonio di oltre 18 miliardi delle vecchie lire ottenuti dai fondi europei e il bellissimo albergo ristorante Atzori nel bosco di Faeto ridotto anch’esso a rottame da spogliare insieme ad un percorso avventura realizzato e mai messo in moto Senza collaudo e senza alcuna manutenzione.Due famiglie,da trent’anni che li frequento, si contendono la gestione amministrativa della città per qualche voto in più,ma mai di sono preoccupati di chiedere ad esterni di gestire il complesso del Castiglione anche a perdere per un tot di anni o di preoccuparsi della funzionalità del centro Atzori per favorire il turismo con quella mentalità di quasi sopportazione con quelli stranieri che venivano a mettere il naso nei loro affari.E’ questa la triste considerazione che mi viene da riservare ai faetani ringraziando di cuore alcuni di loro che ci hanno permesso di resistere alla svendita dei nostri sacrifici a 5000 euro come hanno fatto molti che avevano investito 40 milioni delle vecchie lire per la casa.

    1. Non posso che essere concorde con le tue parole, essendo anche noi proprietari di una casa al Villaggio San Leonardo. Ci sentiamo non parte integrante di Faeto, ma solo tasche da cui rimpinguare i fondi comunali.

  11. Caro Geppe, ho letto con interesse i tuoi accorati quanto opportuni richiami all’importanza di valorizzare i Monti Dauni. Ho letto anche i vari commenti, tutti interessanti. È vero la Regione Puglia dovrebbe finalmente occuparsi di questo pezzo di territorio. Credo tuttavia che l’iniziativa di porre la questione all’attenzione della Regione debba nascere dalla comunità locale, in primis dal Comune di Foggia. Durante la campagna elettorale tutti i candidati e tutti i partiti hanno affermato che Foggia doveva riappropriarsi del suo ruolo di centralità in Capitanata. Non mi pare che ciò sia (ancora) avvenuto. C’è molto lavoro da fare. Il nostro territorio lo merita perché è ricco come pochi di potenzialità. La crisi è soprattuto una crisi di identità culturale. Di qui bisognerebbe cominciare. Propongo di inviare i tuoi articoli e i commenti ricevuti al Comune di Foggia, alla Provincia e alla Regione. Ti saluto, ringraziandoti, con un forte abbraccio.

  12. il subappennino dauno, il fortore beneventano, il tammaro beneventano, l’entroterra irpina sono ormai una immensa centrale di produzione di energia elettrica. Questo e’ il presente e questo sara’ il suo futuro. Purtroppo.

  13. Sono un imprenditore di un altro paesino dei Monti Dauni. Ho, abbiamo investito milioni di euro, abbiamo creato posti di lavoro veri e ben retribuiti. Il risultato: siamo avversati da una parte della pubblica amministrazione (minoranza), siamo invidiati-odiati da una parte dell’opinione pubblica.
    La mentalità resta arcaica, individualista, gretta, provinciale, da posto fisso. Non si è compreso che bisogna lavorare di concerto con gli altri, associarsi, consociarsi; valorizzare le intelligenze e le risorse locali. Pensare e guardare in alto e lontano.
    Niente di tutto questo. Non si può costruire nulla in un clima di gelosia ed invidia. Il risultato? Investiamo altrove!!

    1. Il suo commento – per il quale la ringrazio, manifestandole il mio apprezzamento per il coraggio e l’onestà intellettuale che lo caratterizza – è più di un sasso gettato nell’acqua stagnante. E’ una testimonianza in presa diretta che fa riflettere, e che avrebbe bisogno di una narrazione più ampia. Se lo ritiene, mi permetto di darle il mio indirizzo di posta elettronica privato per ulteriori notizie o contatti: geppe.inserra@gmail.com

  14. Manco da anni dal mio paese. Per tanti anni ha prevalso un individualismo esasperato ed una assurdo ed incomprensibile clientelismo. La classe politica ha quasi sempre favorito un contrasto esasperato ed un assurdo individualismo. Individualismo che ha fagocitato il bene comune e costretto migliaia di persone a ricercare soluzioni diverse recidendo le proprie radici e il proprio passato. Manca ancora il senso di condivisione e solidarietà insieme ad una indispensabile legalità. È stata ignobilmente affossata la cultura contadina e alimentata per mancanza di speranza e progettualità una scellerata emigrazione. Quasi tutte le forze politiche hanno contribuito a favorire questo scempio per incapacità o meschino clientelismo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *