Il Subappennino Dauno si sta spegnendo, nel colpevole disinteresse di una classe dirigente che ha obliterato la drammatica questione dello spopolamento dei piccoli borghi, facendoli precipitare in una crisi demografica il cui esito finale non potrà che essere la desertificazione.
Questo pezzo di territorio pugliese è stato prima trascurato, poi del tutto dimenticato, come dimostrano le clamorose evidenze statistiche che oggi vi presenteremo, affidandoci non soltanto alle classiche tabelle numeriche ma anche a infografiche che consentono una immediata comprensione del fenomeno.
Si tratta di dati noti e perfino stagionati, con cui Istat e Casa Italia compilarono qualche anno fa la “mappa dei rischi” che incombono sul Bel Paese tra i quali, sottaciuta ed ignorata, c’è appunto la desertificazione.
Le rappresentazioni cartografiche che illustrano l’articolo vengono definite tecnicamente “mappe coropletiche”: il colore e l’intensità del colore indicano la consistenza di un certo fenomeno nella specifica area, permettendo di visualizzar,e in modo rapido e semplice, la distribuzione geografica dei dati. Abbiamo optato per una rappresentazione regionale del fenomeno per dare conto di come e quanto esso interessi le diverse province. E la prima scoperta è che riguarda praticamente solo la provincia di Foggia: proprio per questo sarebbe stato necessaria una diversa attenzione da parte della Regione Puglia, rimasta invece inerte spettatrice dei divari interni che mettono a rischio la sopravvivenza stessa dei territori più deboli, aggravata dalla politica delle “premialità” venuta in auge negli ultimi tempi.
La prima mappa fotografa l’andamento demografico, la seconda l’indice di vecchiaia, la terza ed ultima l’indice di esposizione demografica. Le diverse sfumature di colore permettono di cogliere il rischio della desertificazione per ciascun comune.
La mappa relativa all’andamento demografico prende in considerazione la variazione della popolazione dal 2011 al 2018. Il blu scuro segnala i comuni che hanno subito nell’arco degli otto anni una sensibile descrescita demografica (dal 4,64 al 30,95% in meno) mentre la tonalità di blu-celeste indica una decrescita più attenuata (da – 1,44 a – 4,63).
Il dato che immediatamente si coglie guardando l’immagine è che, in riferimento alla Puglia, le aree demograficamente più critiche si concentrano quasi tutte in provincia di Foggia, ed in modo particolare nei Monti Dauni, con qualche sprazzo di blu anche sul Gargano (Monte Sant’Angelo, Carpino e Rignano Garganico) e nel Tavoliere (Chieuti).
I dati numerici fotografano una situazione ancora più drammatica per il Subappennino Dauno: nella top ten figurano ben nove comuni (Anzano di Puglia, Volturara Appula, San Marco la Catola, Celenza Valfortore, Castelnuovo della Daunia, Panni, Casalnuovo Monterotaro, Bovino, Sant’Agata di Puglia. Al decimo posto il solo comune che non ricade nei Monti Dauni, Rignano Garganico.
C’è un altro dato a confermare che si tratta di un fenomeno territoriale specifico, che riguarda non l’intero territorio regionale e provinciale, ma solo l’area del Subappennino, per la quale andrebbero adottate misure specifiche: nel periodo considerato, la popolazione di Puglia e in Capitanata è rimasta sostanzialmente stabile, con una lievissima flessione (-0,05 per la regione, -0,06 per la provincia di Foggia).
La concentrazione dei punti critici nei Monti Dauni è sostanzialmente confermata anche dalla infografica che riguarda l’indice di vecchiaia, che l’Istat calcola mettendo in relazione il numero di persone ultra 65enni residenti in un comune con quello dei giovani fino a 14 anni. Un indice 100 significa che le due fasce di età si equivalgono, un indice 200 indica invece che gli anziani sono il doppio dei giovani, situazione che si verifica nelle aree colorate con le due tonalità di colore più scuro. Il marrone indica un dato compreso tra 194,79 e 255,69. Il marrone scuro superiore a 255,70.
Anche in questo caso, nelle prime dieci posizioni della classifica figurano 9 comuni subappennici (nell’ordine: Volturara Appula, Celenza Valfortore, Motta Montecorvino, San Marco la Catola, Alberona, Rignano Garganico, Casalnuovo Monterotaro, Carlantino, Volturino) e la sola eccezione è rappresentate dal solo comune pugliese isolano, Tremiti.
L’indice di vecchiaia provinciale si attesta a 148,94, inferiore a quello pugliese che è invece del 162,50.
Un altro indicatore particolarmente utile alla comprensione del fenomeno è l’indice di esposizione demografica (o indice IDEM), frutto di un’analisi complessa che prende in esame diversi fattori: numero di residenti, densità di popolazione, superficie abitata e produttiva e vecchiaia della popolazione. Si tratta di un indicatore che mette in evidenza proprio il rischio desertificazione: più basso (e di segno negativo) è il dato sintetico, più elevato è il rischio. Il colore rosso indica l’esposizione più elevata, compresa tra -16,64 e -4,98, quello arancione una esposizione minore ma comunque di segno marcatamente negativo, compresa tra -4,97 e -2,51.
Basta dare uno sguardo sommario alla mappa per rendersi conto che, anche in questo caso, il fenomeno è interamente concentrato in provincia di Foggia e in particolare nel Subappennino.
La graduatoria regionale è impressionante. I primi 10 comuni a rischio ricadono tutti in provincia di Foggia: Celle di San Vito, Panni, Sant’Agata di Puglia, Faeto, Rocchetta Sant’Antonio, Monteleone di Puglia, Orsara di Puglia, Bovino, Candela, Accadia.
Cosa dimostrano questi dati, così impietosi e preoccupanti? Prima di tutto, come già detto, che la desertificazione dei piccoli comuni collinari e interni è affare che riguarda la Regione, che invece non se n’è accorta o, per usare un eufemismo, non ha messo in campo una strategia, una visione complessiva per affrontarla. Fino ad oggi, i tentativi per sottrarre queste aree alla situazione di isolamento in cui versano sono stati affidati ad interventi spot, governati dalla buona volontà degli amministratori di turno. Questi interventi – che in qualche caso hanno comportato cospicui investimenti di danaro pubblico – sono stati inutili, a volte perfino maldestri, come vedremo nelle prossime puntate nel nostro viaggio.
Ci sarebbe voluta una cabina di regia, sovracomunale, e diretta in prima persona dalla Regione. Il resto lo ha fatto la crisi degli enti intermedi – la Provincia, le Comunità Montane – che in passato hanno avuto, se non altro, il merito di essersi posto e di aver posto il problema.
Ultima considerazione: per affrontare seriamente la questione non bastano più interventi ordinari né sporadiche progettualità affidate a questo o a quel bando. Si deve voltare pagina e, per farlo, occorre una visione complessiva e coraggiosa, sostenuta da strumenti straordinari.
Geppe Inserra
(1.continua)
[La fotografia di apertura, provvista di licenza Common Creativa, è di Silvia Badriotto]
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È difficile fermare la desertificazione della popolazione nei piccoli Paesi che coincide con il trasferimento di tanti giovani. Perché?
Come si fa a convincere un giovane a restare in un Paese, pur bello che sia, senza avere l’opportunità di potersi realizzare dopo aver studiato e magari vissuto in una città molto più accogliente e con tante opportunità?
Secondo me è necessario innanzitutto cercare e poi sostenere economicamente, quei giovani/e che hanno voglia di restare aiutandoli attraverso dei progetti consoni al territorio.
Esempio: guide percorsi naturalistici, attività di allevamento, coltivazione bio, incontri con scolaresche elementari e medie sui vecchi mestieri e nuove opportunità di lavoro, ecc.
Ovviamente non è la soluzione, ma provare a trasmettere alle nuove generazioni nuove opportunità basate non sul consumismo sfrenato, come accade oggi, bensì su un progetto di vita più equilibrato.
a questa analisi ben dettagliata,aggiungasi anche l’inerzia di talune amministrazioni le quali,pur avendo possibilità di accesso a finanziamenti per lo sviluppo del territorio,soffrono di letargia cronica abbinata a narcisismo del dolce far nulla(magari foase stato Un Dolce Stil Novo). Faeto è la testimonianza . una Prece