Le banche mutue popolari: occasione perduta per il Sud?

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Un uso giusto e sociale del credito avrebbe potuto essere un formidabile strumento per affrontare con efficacia la questione meridionale ed attenuare il divario tra Nord e Sud. Purtroppo non è stato così. Ma non sono mancati nobili e lungimiranti sforzi per usare la leva creditizia a favore della masse povere meridionali. In questo impegno si distinse in modo particolare Giustino Fortunato, il quale riteneva che le banche dovessero occuparsi non solo del profitto, ma anche di offrire assistenza ai poveri, affinché – per usare le sue belle parole – il Sud fosse la fortuna, e non la sciagura d’Italia. È questo il tema affrontato da Michele Eugenio Di Carlo, nella tappa numero 24 del suggestivo viaggio nella storia del meridionalismo in cui ci sta conducendo. Buona lettura. (g.i.)

* * *

Nella lettera del 4 novembre 1875 a Pasquale Villari, Giustino Fortunato, in merito ai dubbi espressi dal professore napoletano sulle banche popolari del Mezzogiorno, scriveva: «“Il patronato de’ deboli assunto da’ forti” (ciò che forma il mio sogno, il mio ideale), resterà per un bel pezzo ancora – nella nostra regione – una parola vuota di senso». Per il lucano di Rionero le ragioni andavano ricercate nella classe dirigente scadente, costituita in parte da un’aristocrazia decaduta e in parte da una borghesia agraria dominante avida e usuraia, odiata dal popolo delle campagne [1]. Peraltro, secondo Fortunato, gli stessi legislatori non avevano affatto in mente «il concetto del patrimonio de’ deboli e dell’assistenza de’ poveri» [2].

Nell’anno stesso in cui veniva eletto in Parlamento, il 1880, Fortunato pronunciava a Bologna, il 18 ottobre, un discorso [3] al Congresso delle Società Cooperative di Credito, dopo aver già nel 1877 pubblicato sul tema un testo [4].

Giustino Fortunato

Nella lunga premessa, il parlamentare vulturese si soffermava sulla freddezza dei rapporti tra settentrionali e meridionali, sempre più distanti e indifferenti gli uni agli altri dopo i bei giorni del «patrio riscatto», tanto da affermare senza tema di essere smentito che esistevano «due Italie». Nel ripercorrere gli eventi storici che già avevano per secoli diviso l’Italia, Fortunato avvertiva profeticamente l’uditorio: «l’avvenire d’Italia è tutto nel Mezzogiorno […] il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia» [5].

Per meglio farsi intendere sulle drammatiche condizioni socio-economiche del sud Italia, illustrate con «i migliori libri» [6] dai conservatori toscani Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, Fortunato citava l’ex capitale Napoli: «Ma avete mai notato anche in Napoli, anche nella prima città del Regno, quel fenomeno terribile e quasi unico in Europa, di una grande città di mezzo milione di abitanti, che per due terzi della sua popolazione ha una plebe senza lavoro quotidianamente sicuro?».

Il rionerese dichiarava che per dimostrare quanto fosse povero il Mezzogiorno non era necessaria la sua opera di convincimento, visto che le statistiche esistenti sulle produzioni, sui commerci, sui consumi erano chiare e esaustive.

Luigi Luzzatti

Giunto nel vivo del dibattito congressuale, avente come tema centrale l’apprezzata volontà di estendere la rete delle banche popolari nel Mezzogiorno, accolto con slancio passionale l’annuncio che Luigi Luzzatti [7], presidente delle Società Cooperative di Credito, si sarebbe recato in visita in Basilicata, Fortunato ripeteva che «la redenzione» e «la fortuna stessa d’Italia» non potevano che «procedere dal Mezzogiorno al Settentrione». Nel merito dell’estensione delle banche popolari nel Mezzogiorno non negava i fattori che avrebbero reso sicuramente ardua la loro diffusione: assenza di una classe dirigente appropriata al compito, mancanza di capitali e di risparmi, oltre al rischio di assoggettamento alle ingerenze delle consorterie politiche o, addirittura, di servire da schermo ad associazioni usuraie.

Infine, Fortunato passava a descrivere la sua esperienza di fondatore nel 1873 della Banca di Rionero. Una banca che aveva raggiunto il ragguardevole numero di 630 soci, a maggioranza contadini e artigiani nella totale indifferenza dei possidenti del paese e che, durante i frequenti periodi di carestia, acquistava grano dalle aree danubiane salvando letteralmente dalla fame contadini e braccianti poveri. Una banca, inoltre, che davanti alla nefasta trasformazione dei napoletani Monti Frumentari in Casse di Risparmio o di prestanza, ne assumeva il benefico ufficio distribuendo «sementi ai coloni bisognosi», tutelandoli dalle mire usuraie della borghesia terriera. Nel territorio vulturese l’esempio di Rionero era stato seguito da Melfi e Barile, mentre stavano per aprire sportelli bancari anche Venosa e Lavello.

Fortunato, soffermandosi sulla «banca consorella di Barile, Comune albanese di soli tremila abitanti a due chilometri di Rionero», comunicava che essa era stata fortemente voluta dal direttore, leggendone una lettera che chiarivano le motivazioni che lo avevano indotto a quella che nel Mezzogiorno era ritenuta una vera impresa: «L’usura […] fece nascere in me il pensiero di fondare un istituto di credito popolare». Pur di non «vedere supplichevoli que’ poveri contadini, che nei mesi d’inverno non potessero sodisfare i loro impegni», il mutuo era passato da tre mesi a un anno e l’acquisto di azioni da parte di contadini e artigiani erano stato facilitato in modo tale che costituivano il 50% dei componenti del Consiglio di amministrazione.

Il parlamentare lucano ultimava il suo intervento non senza ricordare Ugo Bassi, Leopoldo Pilla, Alessandro Poerio e Goffredo Mameli, «morto all’ora novissima per ferite avute in difesa della patria comune». E proprio in ricordo dei giorni lieti che avevano unito la patria, Fortunato concludeva con parole che sarebbero diventate profetiche alla luce dei tragici e violenti avvenimenti che avrebbero caratterizzato l’ultimo repressivo decennio dell’Ottocento: «quelle masse rurali che non vogliamo o non sappiamo trarre a noi per via del rinnovamento economico e morale, quelle masse, ho paura, faranno saltar per aria l’edifizio! Facciamoci amare, se non vogliamo essere odiati».

Michele Eugenio Di Carlo

N O T E

[1] G. Fortunato, Carteggio 1865/1911, a cura di Emilio Gentile, Bari, Laterza, 1978, p. 9.

[2] Ivi, p. 12.

[3] G. Fortunato, Le banche mutue popolari nel Mezzogiorno, in Id. Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano. Bari, Laterza, 1911, pp. 51-68.

[4] G. Fortunato, Le Società Cooperative di Credito, Milano, Treves, 1877.

[5] La presente citazione e quelle successive non diversamente indicate sono riferibili al seguente testo: G. Fortunato, Le banche mutue popolari nel Mezzogiorno, in Id. Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, cit., pp. 51-68.

[6] L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Firenze, Barbera, 1877; S. Sonnino, I contadini in Sicilia, Firenze, Barbera, 1877.

[7] Luigi Luzzatti, economista e politico veneto, fondatore e direttore del Banco Popolare di Milano, docente di Diritto costituzionale, più volte ministro, presidente del Consiglio 1910-1911, fu un convinto assertore degli istituti di credito cooperativo al fine di sostenere le masse operaie e contadine e debellare l’usura.

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Author: Michele Eugenio Di Carlo

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