Confesso che la lettura di questo articolo – diciottesima tappa del viaggio nella storia del meridionalismo in cui ci sta conducendo Michele Eugenio Di Carlo – mi ha colpito ed emozionato.
L’autore scrive delle lettere di Giustino Fortunato e di quelle “lettere meridionali” la cui lettura ha ispirato quel libro geniale che è Lettere Meridiane del grande Francesco Bevilacqua, il titolo del blog che state leggendo, e la straordinaria realtà culturale rappresentata dalla libreria di comunità Lettere Meridiane di Cassano allo Ionio. Omonimie per nulla casuali, accomunate dall’idea che la questione meridionale, e il suo superamento, sono lo spartiacque su cui si misura lo spessore morale del Bel Paese.
Michele Eugenio Di Carlo ci regala un’analisi lucidissima ed attuale di Giustino Fortunato e del suo sguardo lungo sui problemi del Mezzogiorno, proprio nei giorni in cui si sta arrivando al pettine in nodo, nefasto e scellerato, del regionalismo differenziato.
Buona lettura. (g.i.)
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La raccolta di lettere dell’illustre meridionalista vulturese di Rionero Giustino Fortunato, rappresenta senz’altro una preziosa documentazione culturale sulla seconda metà dell’Ottocento e sul Primo Novecento.
Il Carteggio Fortunato, i cui primi volumi sono stati pubblicati a Bari dall’editore Laterza nel 1978 [1], a cura di Emilio Gentile, per volontà dell’Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI), racchiude un periodo storico che va dal 1865, quando il giovane lucano ad appena diciassette anni chiede a Cesare Cantù consigli su come affrontare lo studio della storia, alla sua scomparsa avvenuta nel 1932.
Figura 1. Giustino Fortunato
Le lettere di Fortunato offrono un’occasione straordinaria allo studioso e all’appassionato della questione meridionale per rivisitare la storia del Regno d’Italia dalla sua costituzione fino al primo decennio fascista e riflettono la personalità, oltre che dell’affermato storico e del puro intellettuale, dell’uomo fragile e sensibile dai sentimenti genuini e dagli affetti sinceri, che dedica il suo pensiero forte e la sua attività tenace al Mezzogiorno, immedesimandosi nelle tribolazioni del popolo contadino meridionale e soffrendo per le condizioni sociali ed economiche di un sud Italia ancora arretrato, nonostante l’annessione al Regno d’Italia. L’intellettuale lucano, pur conservando nitido il sentimento patriottico unitario, nei suoi rapporti epistolari con i grandi politici e intellettuali dell’epoca matura una comprensibile sfiducia nei riguardi della classe dirigente del Mezzogiorno e, pur apprezzando i governi liberali della Destra storica del primo decennio unitario, da parlamentare non diventerà mai organico né alla Destra né alla Sinistra, tanto da non accettare mai incarichi governativi.
Dopo la lettera a Cantù, Fortunato, nel 1870, scrive tre lettere a Luigi Corapi, amico conosciuto nel 1862 frequentando il Collegio degli Scolopi a San Carlo alle Mortelle. Nella prima del 26 agosto [2] risponde all’amico, che ritiene Massimo D’Azeglio un pessimo politico, giustificandone l’operato e apprezzandone le lettere alla moglie appena pubblicate [3]. Nella seconda, datata 15 settembre [4], il giovane lucano esprime la propria stima nei riguardi di Napoleone III, ritenuto «il primo fattore dell’unità italiana». Nella terza del 30 settembre [5] prende definitivamente atto che le opinioni politiche dell’amico divergono dalle sue: «le nostre opinioni, cioè, in fatto di politica, vanno per poli opposti. Non è forse vero? Io, in brevi termini, sono moderato, o, se vuoi, anche, consorte; monarchico nelle ossa; nemico giurato de’ Crispi, de’ Rattazzi, de’ Sonzogno e compagnia bella: ecco tutto».
Inoltre, Fortunato comunica in maniera chiara la sua vicinanza ai primi governi sabaudi della Destra, addossando alla Sinistra storica e all’opposizione antimonarchica «le rovine presenti»; dichiara persino che avrebbe fatto parte della Sinistra «se questa non avesse a capi il Crispi e il Rattazzi e se non avesse ad organi il Roma e la Riforma». Il giovane intellettuale avrà modo di confermare il suo pessimo giudizio della Sinistra, ma presto rivedrà il proprio parere sulla Destra, tanto che nel 1911, dedicando all’amico Federico Severini la raccolta dei suoi discorsi politici e elettorali, scriverà: «I nostri partiti, tanto i vecchi quanto i nuovi (e già i nuovi non meno asmatici de’ vecchi) sono ciechi, e la loro corsa verso l’ignoto pare irrefrenabile»[6].
Da Napoli, il 4 novembre 1875, un commosso e sorpreso Giustino Fortunato dava riscontro a una lettera ricevuta il 25 ottobre dal noto accademico Pasquale Villari [7]. Dal Carteggio Fortunato si deduce che il giovane ventisettenne aveva trasmesso allo storico napoletano la relazione sulle società cooperative di credito letta il 5 maggio dello stesso anno all’incontro dell’Associazione Unitaria Meridionale. Fortunato ringraziava Villari per aver apprezzato il suo scritto, manifestando il suo compiacimento per averlo conosciuto personalmente, seppure solo per corrispondenza.
Figura 2. G. Fortunato – Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano
Pasquale Villari, nato a Napoli nel 1826, docente di Storia a Firenze dal 1865, deputato negli anni Settanta, aveva appena scritto per il giornale l’«Opinione» di Torino le «Lettere meridionali»[8]. Mettendo in risalto le tristi condizioni socio-economiche delle popolazioni del Mezzogiorno, aveva dato vita al dibattito sulla questione meridionale e alla critica delle politiche governative del primo quindicennio del Regno d’Italia. Politiche che non avevano inteso affrontare le problematiche delle masse contadine del Mezzogiorno, sempre contrastate e combattute con l’uso della forza al fine di mantenere in essere i rapporti semifeudali che privilegiavano il dominio locale della borghesia agraria sulla plebe rurale, sfruttata e mantenuta in uno stato di semi-schiavismo.
In relazione ai dubbi di Villari sulle banche popolari del Mezzogiorno, Fortunato rispondeva: «Nelle province meridionali manca del tutto una classe superiore […]; manca cioè un’aristocrazia, una nobiltà qualunque. Essa è tutta racchiusa in Napoli, ed è la più stupida aristocrazia di questo mondo». Proseguiva passando all’analisi della borghesia dominante, tracciandone il profilo: «… e così come la borghesia è fotografata dal conte Alfieri e dal Franchetti, sarebbe vano sperare che si mettesse a patrocinare la causa de’ poveri contadini, su’ quali pesa con tutto il rigore del più crudo e disumano potere, con tutta la sfacciataggine della più vile e sudicia usura».
Figura 3. Pasquale Villari
In definitiva, in questa lettera il giovane Fortunato, laureatosi da poco in Giurisprudenza, accennava ai temi che avrebbero caratterizzato il suo futuro impegno di politico e di pensatore illuminato: la critica alla classe dirigente meridionale e alle politiche dei governi di Destra e di Sinistra, la difesa degli interessi negati ai contadini, non rappresentati in Parlamento perché non aventi diritto al voto. E discutendo di democrazia il rionerese chiariva che essa era riservata agli uomini, non ai contadini considerati «iloti». Per l’intellettuale vulturese l’annessione del 1860 era una «rivoluzione politica della borghesia», mentre il brigantaggio una conseguente «reazione sociale della plebe».
Il giudizio sulla Sinistra, che tanto aveva contribuito all’Unità d’Italia, non era affatto lusinghiero:
«La sinistra meridionale non è radicale, non è progressista: è democratica a vantaggio dell’unica classe che rappresenta, l’alta e la bassa borghesia». E, da questa prospettiva, chi avrebbe mai potuto sperare che «i ministri napoletani» potessero «mai votare una legge agraria o il suffragio universale»?
Fortunato concludeva la lettera dichiarando di sentirsi onorato della risposta di Villari e esprimeva la speranza di incontrarlo di persona per discutere le «Lettere meridionali». Infine, si metteva a totale disposizione del politico napoletano per tutto quanto inerente «ad una vera propaganda a pro’ delle classi povere del Napoletano».
Iniziava un rapporto che sarebbe durato tutta la vita.
Michele Eugenio Di Carlo
N O T E
[1] G. Fortunato, Carteggio 1865/1911, a cura di Emilio Gentile, Bari, Laterza, 1978.
[2] Ivi, pp. 3-5.
[3] M. D’Azeglio, Lettere di Massimo D’Azeglio alla moglie Luisa Blondel, a cura di Luigi Carcano, Milano, 1870.
[4] G. Fortunato, Carteggio 1865/1911, cit., pp. 5-6.
[5] Ivi, pp. 6-8.
[6] G. Fortunato, Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano. Discorsi politici (1865-1910), vol. 1°, Bari, Laterza, 1911, p. 12.
[7] G. Fortunato, Carteggio 1865/1911, cit., pp. 8-11.
[8] P. Villari, Lettere meridionali al direttore dell’Opinione: marzo 1975, Torino, Tipografia l’Opinione, 1875.
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