Il bello di Lello Vecchiarino era che potevi non vederlo da anni, ma quando lo incontravi era come se ci fossi stato insieme soltanto il giorno prima. Questione di substrato, direi: interessi comuni, e soprattutto maestri comuni: Anacleto Lupo, Mimmo Leo, Giovanni Spinelli, Piero Lotito.
Abbiamo lavorato insieme alla redazione della Gazzetta del Mezzogiorno, ed è stato uno dei capitoli più entusiasmanti del mio percorso professionale. Di quelli che ti scolpiscono la vita.
Allora il direttore del giornale era Giuseppe Giacovazzo, che aveva portato nel quotidiano una ventata d’aria nuova, sia nella veste grafica che nei contenuti, che Lello si sforzava di declinare ogni giorno in redazione. Esplorava con tenacia e convinzione, i sentieri di un modo di far giornalismo nuovo, meno paludato di quello ufficiale, più attento alla realtà e ai problemi di tutti i giorni.
Era un cronista dal fiuto eccezionale, che riusciva a scovare e raccontare storie e personaggi anche da quegli scampoli di vita quotidiana che per definizione non fanno notizia.
L’esperienza più intensa che abbiamo condiviso è stata all’alba di un freddo mattino foggiano, quando m’aveva voluto con lui per scrivere un “articolo a quattro mani” (cosa che mi lusingò parecchio, nonostante la levataccia) sullo sgombero di alcune case popolari occupate abusivamente al Rione Camporeale, preannunciato in redazione da una soffiata, la sera prima.
Non ci furono incidenti, lo sgombero si svolse anzi in modo del tutto tranquillo. Ma non era l’eventuale fattaccio che gli interessava: era piuttosto raccontare quelle persone, che si sarebbero trovate da un momento all’altro senza un tetto, le loro vite, le loro emozioni, il loro dramma umano e sociale. L’articolo uscì lo stesso, raccontando quelle persone, e occupando una pagina intera del giornale.
Aveva l’istinto e lo «sguardo» tipici del giornalista di razza e dell’inviato speciale, ruolo che ha svolto per molto tempo alla Gazzetta, dopo l’esperienza alla guida della redazione di Foggia. Suppongo che sia stata questa attitudine alla narrazione a portarlo a varcare la soglia che dalla cronaca porta alla letteratura. I suoi romanzi, le sue sceneggiature, la sua scrittura sono un misto di grande giornalismo e altrettanto grande invenzione, le sue inchieste un grande esercizio di rigore e di logica.
Di lui ho apprezzato la professionalità, l’intelligenza, la squisita generosità. Siamo stati non soltanto colleghi ma anche amici. Ricordo una sera, nella sua casa di Faeto, una cena interminabile tra chiacchiere, prosciutto e brindisi, assieme a Filippo Santigliano, Claudio Gabaldi, Enrico Ciccarelli. Stavo attraversando una congiuntura professionale piuttosto complicata: fu un modo per manifestarmi la sua stima. Quella bella serata mi tirò su: gliene sarò eternamente grato.
Con lui il mondo pugliese del giornalismo e della cultura perde un protagonista, un gigante.
Ciao Lello, è stato bello conoscerti e condividere con te un tratto delle nostre vite.
Geppe Inserra
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