Per un viaggiatore, visitare il Cimitero di una città significa, in qualche modo, penetrare nella sua anima più profonda e nella sua identità più remota, al di là e oltre i monumenti, le vestigia del passato che quella città ha pur da offrire.
Sarà per questa ragione che il Cimitero di Foggia è stato oggetto di visita e di racconto da parte di illustri visitatori, come Pier Paolo Parzanese, del quale vi proponiamo, in questa puntata di Memorie Meridiane, il reportage che sul Camposanto del capoluogo dauno scrisse nel suo “Viaggio di dieci giorni”, pubblicato a puntate sulla rivista Poliorama Pittoresco nel 1846. (Se volete approfondire, cliccate qui).
Come spesso accade, ringrazio della preziosa dritta l’amico Tommaso Palermo, cultore ed appassionato studioso di storia del territorio e di memoria.
Pier Paolo Parzanese fu un singolare personaggio, vissuto tra il 1809 e il 1857. Originario di Ariano Irpino, sacerdote e teologo, fu un apprezzato poeta popolare (Francesco De Sanctis lo definì “buono e pio poeta del villaggio” per il carattere localistico dei suoi versi) e scrisse molti libri. Fu anche un appassionato patriota, fermamente convinto della causa dell’unità d’Italia.
Quello che pubblichiamo oggi è un frammento della più vasta “tappa” foggiana del viaggio foggiano e pugliese di Parzanese, di cui ci occuperemo in una delle prossime puntate di Memorie Meridiane, la rubrica del nostro blog che regala ad amici e lettori gadget digitali sul nostro passato e sulla nostra identità.
L’immagine che illustra l’articolo è tratta dal numero del Poliorama in cui venne pubblicato il racconto di Parzanese, e venne realizzata dalla litografia S.Puglia. Potete guardarla o scaricarla in una risoluzione maggiore di quella che vedete nel post, cliccando qui. Per non perdere neanche una puntata di Memorie Meridiane abbonatevi gratuitamente al blog sottoscrivendo la nostra newsletter, oppure seguite la pagina facebook di Lettere Meridiane, mettendo “mi piace”.
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Foggia è bellissima città: illuminata d’ogni lato dal sole; da lieta ed operosa gente frequentata; corsa e ricorsa da ricchi cocchi e bizzarri cavalli; le donne del volgo un pò baggiane , sa volete, ma linde da capo a piedi ed è una gioia a vederle; le botteghe riboccanti d’ogni ben di Dio; e che vorreste di più per vivere beatamente? Pure in certi libri ho letto, che in Foggia vi sieno parecchie meraviglie romanticissime. Ma che volete, per aguzzare che avessi fatto degli occhi, e domandato ora a questo ora quel mio amico, non ho potuto né udire la chitarra di una Mignon piangente in musica le sue sciagure: né vedere una Natalia tra le guastade e le ampolle di uno speziale. Pure altri ha vedute ed udite queste cose! Buon per lui, che fu di tanto favorito dalia fortuna. Noi altri siamo viaggiatori a dozzina, e per vedere di queste cose, ci è mestieri avvalerci del Mondo vecchio e Mondo nuovo.
Tra oriente e settentrione di Foggia, se non mi fallisce la memoria, si veggono di lontano mura biancheggianti, e filari di alberi. Una sera verso il tramonto domandai ad Achille che fossero quelle mura: egli mi rispose — Il camposanto.
— Andiamo, io dissi, a visitare la casa de’ morti: stasera sono disposto ad accogliere nell’animo affetti gravi e malinconici —.
E ci avviammo. Il sole, rosseggiando tramontava in un diluvio di fuoco dietro le ultime falde degliAppennini. Qua e là per l’aria vagavano nuvolette dorate. I contadini si riducevano in città. Noi volgemmo a sinistra, e per un viale ombrato di oleandri, tirammo dritto verso la porta del cimitero. Di greca architettura è il funebre recinto; greca la chiesetta dove si celebrano i divini ufizi, greche le cappelle che si hanno fabbricate d’intorno le confraternite della città. Io sono ammiratore dell’architettura greca e romana (che hanno tutt’e due lo stesso genio e la stessa forma) ma quell’antica eleganza, quelle forme così studiate, se stettero bene ai templi del Paganesimo, non si convengono né alle chiese né ai cimiteri cristiani. Non voglio dire, che l’architettura gotica sia unicamente da adoperarsi nel fatto nostro: ma è pur certo che si affà meglio che ogni altra alle gravi e severe idee che risvegliala nostra religione.
Di qua e di là sull’ingresso del camposanto due celle a forma di antichi sepolcri: dentro il recinto, in quel tempo, erano poche tombe e molte croci: di piccoli cipressi e qualche salice stormivano al venticello della sera! Baciai la pietra che sta sulle ossa di Antonio Silvestri, prete di una carità popolare, come vuol essere il sacerdote di Cristo. Oggidì, mi si dice, che quel cimitero si venga popolando di molli sepolcri, ed i più ricchi se li fabbricano di fini marmi ! Non importa ! quando suonerà la tromba del gran giudizio saranno distrutti pur essi. Credo che vi siano assai epigrafi : e come no se ben pochi pensano che le iscrizioni sepolcrali debbono essere schiette e brevi?… significhino esse l’affetto de’ parenti; delle virtù del morto dicano poco o nulla; perché ai panegirici scolpiti su’ marmi sappiamo quanto debba credersi.
— E tu, mio caro Achille, hai piantato qualche salice su questa terra benedetta ? —
— No, egli rispose : i miei avi dormono nelle chiese di Corsica, ed il padre mio è sepolto in Ascoli —
— E non ponesti una pietra, non una parola affettuosa sul capo del padre tuo? —
Una pietra ve la porrò; purché tu mi detti due parole che ti vengano dal cuore. Oramai siamo più che fratelli… —
— Oh! sì, Achille, più che fratelli! E qui detterò l’epigrafe pel padre tuo, il quale sicuramente ci guarda dal paradiso , e sorride —
Achille piangendo , si trasse di tasca una matita , e sedutosi sul gradino di una cappella, scrisse queste parole, che io gli dettai pur piangendo.
A TE
GIOVANNI MOLTEDO
SANGUE CORSO ANIMA INTERA
LA VEDOVA LUISA GRIMALDI E
LUIGI ADELAIDE ACHILLE TUOI FIGLI
POSERO QUESTA MEMORIA
Un dì mi fu offerto a vedere il disegno de’ nuovi ornamenti che il Comune di Foggia si dispone a fare al suo Camposanto. In mezzo vidi la figura di un vecchie colla falce, coll’oriuolo a polvere, e con tutte quelle altre cose che dimostrano il tempo! Dio mio! La figura del tempo, dove per l’uomo incomincia l’eternità?
Pier Paolo Parzanese
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