La questione meridionale a fine ‘800 vista da Ettore Ciccotti

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La puntata odierna, la sesta, del viaggio nella storia del meridionalismo, in cui ci sta accompagnando la lucida penna di Michele Eugenio Di Carlo, è particolarmente importante, perché dimostra l’oggettività della questione meridionale, staremmo per dire la sua ineluttabilità.

Avvalendosi del racconto delle condizioni che il Mezzogiorno viveva nell’800, scritto da quel grande meridionalista che è stato il lucano Ettore Ciccotti, comprendiamo le antiche e profonde radici del divario tra Nord e Sud, la necessità di una volontà politica forte e inequivoca per affrontarlo con determinazione. Una volontà politica che è fino ad oggi mancata. Ecco perché, raccontare la storia del meridionalismo come fa Di Carlo non è soltanto un bell’esercizio di storia militante. È anche un far luce sulla profonda, ineludibile attualità della questione meridionale. Buona lettura (g.i.)

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Sulle condizioni del Mezzogiorno di fine Ottocento Ettore Ciccotti, meridionalista potentino, scrive e pubblica nel 1898 Mezzogiorno e Settentrione d’Italia [1], ripreso nel 1904 nel testo Sulla questione meridionale. Scritti e discorsi [2], pubblicato a Milano.

Ormai libero mentalmente dai miti risorgimentali che avevano contrassegnato e condizionato la sua adolescenza, Ciccotti affronta criticamente il meridionalismo liberale moderato che si era affidato ingenuamente al fallace «mito del buongoverno» e alle buone intenzioni del ceto dominante agrario. I conflitti sociali erano tali da individuare per le maltrattate classi popolari una soluzione solo nella contrapposizione frontale tra il capitalismo e il meridionalismo socialista.

Lo storico lucano esamina le problematiche di un Mezzogiorno che presenta un’agricoltura poco intensiva, un commercio e uno sviluppo industriale poco rilevanti, una società ancora classista, basata sul parassitismo di grandi proprietari terrieri assenteisti che inevitabilmente degenera, quasi a completarsi, nella presenza di organizzazioni camorristiche e mafiose, nella corruttela e nel malcostume. Un secolo di proposte e di parole non avevano risolto la divisione dei demani e dei latifondi, al fine di costituire una piccola proprietà contadina che desse spiragli di sussistenza alle masse contadine, costrette «a cercare scampo e sussistenza, con l’emigrazione, oltre l’Oceano».[3]

 

Ettore Ciccotti

I villaggi, tristemente appesi a una “cresta”, tra un latifondo e l’altro, erano «estranei tra loro», tanto che, distanti pochi chilometri, già mutava sensibilmente il dialetto. Con abitanti che nelle aree costiere erano «resi torpidi dalla malaria» e «gelosi delle loro donne di una gelosia di mori», mentre nelle aree interne, «arditi e pronti dall’aria alpestre», erano disponibili a mercanteggiare persino «il jus primae noctis per fare il corredo alle figliuole». Villaggi formati di tuguri, quasi tane, raccolti intorno «alle case dei grossi possidenti del paese», abitati da una «gran massa plebea schiava del bisogno, schiava dell’ignoranza», che non aveva voce, mentre i pochi popolani che avevano il diritto al voto, lo svendevano al servizio della «classe da cui, direttamente o indirettamente» dipendevano.[4]

Ciccotti vede il Mezzogiorno come una terra in cui le «grandi manifestazioni intellettuali» sono personali, «prive di continuità, in contrasto col presente e con l’ambiente, e divinatrici dell’avvenire»; non a caso, qualche anno dopo, Antonio Gramsci avrebbe ritenuto Giustino Fortunato e Benedetto Croce grandi intellettuali sempre troppo attenti a che l’«impostazione dei problemi meridionali non soverchiasse certi limiti, non diventasse rivoluzionaria» [5].

Il processo unitario nel Mezzogiorno era stato lento, poco efficace. Quasi a giustificarsi del suo giovanile patriottismo unitario Ciccotti scriveva: «Non sono io il primo a dire che l’unità d’Italia non si volse a benefizio della parte meridionale», mentre Milano aveva raddoppiato il numero degli abitanti, sottraendo pregiato capitale umano da ogni regione [6]. Invece, il sud d’Italia, – come già avevano ampiamente anticipato economisti del calibro di Antonio De Viti De Marco e intellettuali del livello di Gaetano Salvemini, e come di lì a due anni avrebbe scritto Francesco Saverio Nitti in Nord e Sud [7]  –, aveva subito sotto i governi liberali sabaudi «imposte crescenti, la vendita dei beni ecclesiastici, l’ampliarsi del debito pubblico», oltre a un «un vero drenaggio di capitale» [8]. E i capitali residui, sospeso ogni sviluppo industriale, non avevano trovato altra destinazione utile che finanziare il debito pubblico, essendo diventato l’impiego in agricoltura «in ogni modo meno remunerativo e soprattutto più incerto». Peraltro, la speculazione bancaria largheggiando nel credito aveva lasciato nel Mezzogiorno la «proprietà fondiaria gravata di un esorbitante debito ipotecario paralizzata nel presente, compromessa per un lungo avvenire» [9]. Si era creata una massa disperata di debitori che, «sospesi tra la vita e la morte», inquinavano persino la vita politica, visto che erano costretti a votare «come il direttore della banca voleva, o come il governo voleva che questi volesse» e come non si era mai visto sotto i Borbone [10].

La copertina del libro “Sulla questione meridionale” del 1904

In una nota scritta successivamente alla stesura del testo Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, quando già era stata attuata, per ordine del presidente del Consiglio  Antonio Starabba di Rudinì, la sanguinosa repressione militare dei moti nel maggio del 1898 a Milano, che l’autore aveva subito personalmente, Ciccotti sente nuovamente il bisogno di giustificare i robusti sentimenti patriottici  e unitari che avevano caratterizzato l’ambiente in cui aveva vissuto la propria infanzia e adolescenza, scrivendo: «Io debbo chiedere ancora una volta perdono a’ Borboni se, parlando di tirannide, ho adoperato il loro nome come termine di paragone, a preferenza di ogni altro; ma mi ha tradito la lunga abitudine; e poi questo scritto, lo ripeto, è anteriore a certi altri avvenimenti recenti [gli eccidi e le condanne del 1898. Lo scritto è del marzo di questo anno]»[11]. Condanne che lo avevano costretto all’esilio prima a Ginevra poi a Losanna.

Ciccotti prendeva atto, amaramente, che dal 1861 la classe politica del nuovo Regno d’Italia al potere aveva tentato con tutti i mezzi di impedire che le «classi popolari del Mezzogiorno s’avviassero a partecipare in qualche modo alla vita civile del loro paese»; ministri e parlamentari, badando a conservare il potere, avevano utilizzato deprecabili e untuose pratiche clientelari, innescando un processo di degenerazione morale del contesto sociale, politico, fino ad inquinare l’attività giudiziaria, tanto da far rimpiangere «la magistratura borbonica che, prona al principe in quanto concerneva la politica, si mostrava retta e imparziale – com’era interesse stesso del sovrano – nelle contese private». Un quadro civile così disgregato che pochi «furbi, potenti o violenti» riuscivano a organizzarsi e a prevalere in ambiti mafiosi, come in Sicilia, e camorristi, come in Campania. La questione meridionale era stata affrontata da studiosi e intellettuali moderati e liberali (i “rassegnati”) con «abbondanza poco costosa di iperboli od epifonemi», che a «nulla approdavano né offendevano mai alcuno», mai andando «alla radice del male» [12].

L’attacco a Pasquale Villari, antesignano della questione meridionale con le sue Lettere meridionali [13] del 1875, si faceva diretto e duro, anticipando persino lo strappo dai meridionalisti moderati di Gaetano Salvemini [14]. Una critica che Ciccotti conduceva con argomentazioni validissime: l’intellettuale e storico napoletano «successivamente deputato, ministro e senatore» non aveva «saputo, né cercato di far nulla per eliminare o attenuare i mali deplorati» [15].

Lo storico lucano vedeva chiaramente nel mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno l’origine delle devastanti condizioni economiche e i conseguenti danni morali e culturali che le masse popolari subivano. Per Ciccotti, solo una nuova coscienza di classe delle masse popolari, congiunta a una lotta per il socialismo contro le forze capitalistiche del blocco agrario-industriale, poteva invertire la brutta rotta verso la quale era stato indirizzato il Mezzogiorno.

Rientrato in Italia dalla Svizzera grazie al mutato clima politico, causato dal passo avanti nelle elezioni dell’aprile 1900 dell’Estrema Sinistra, Ciccotti veniva eletto in Parlamento, preferendo poi rappresentare Napoli nella sua prima rielezione. Nel 1901 ritornava in cattedra a Messina, avendo superato il concorso ordinario per l’insegnamento di Storia antica. In Parlamento si occuperà fattivamente della questione meridionale e delle particolari condizioni di arretratezza della Basilicata, fino a risultare tra i promotori della legge speciale del 1904 [16].

 

NOTE

 

[1] E. CICCOTTI, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, Milano-Roma-Palermo, R. Sandron presso la Rivista popolare, 1898.

[2] E. CICCOTTI, Sulla questione meridionale. Scritti e discorsi, Milano, Casa Editrice Moderna, 1904.

[3] E. CICCOTTI, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, cit., p. 83; ora in R. VILLARI (a cura di), Il sud nella storia d’Italia, vol. 1°, Bari, Laterza § Figli, 1966, p. 294.

[4] Ivi, pp. 83-84.

[5] A. GRAMSCI, Alcuni temi della quistione meridionale, in Id., Scritti sulla questione meridionale (a cura di M. Rossi-Doria), vol. III, Bari, Laterza, 1978, pp. 14-15.

[6] E. CICCOTTI, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, cit., p. 90; ora in R. VILLARI (a cura di), Il sud nella storia d’Italia, cit., p. 298.

[7] F.S. NITTI, Nord e Sud, Torino, Roux e Viarengo, 1900.

[8] E. CICCOTTI, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, cit., p. 91; ora in R. VILLARI (a cura di), Il sud nella storia d’Italia, cit., p. 299.

[9] Ivi, pp. 92-93.

[10] R. VILLARI (a cura di), Il sud nella storia d’Italia, cit., p. 301.

[11] E. CICCOTTI, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, cit., p. 94, nota n. 1; ora in R. VILLARI (a cura di), Il sud nella storia d’Italia, cit., p. 301.

[12] Ivi, p. 96.

[13] P. VILLARI, lettere meridionali al direttore dell’Opinione: marzo 1875, Torino, Tipografia l’Opinione, 1875.

[14] M. E. DI CARLO, Gaetano Salvemini. Lo strappo del grande storico pugliese dal meridionalismo moderato, Quotidiano «l’Attacco», 26 novembre 2021, pp. 24-25.

[15] E. CICCOTTI, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia, cit., p. 97, nota n. 1; ora in R. VILLARI (a cura di), Il sud nella storia d’Italia, cit., p. 304.

[16] G. CAMPANELLI, Ettore Ciccotti. Dalla tradizione liberale ad apostolo del meridionalismo, cit., p. 56.

 

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Author: Michele Eugenio Di Carlo

2 thoughts on “La questione meridionale a fine ‘800 vista da Ettore Ciccotti

  1. Ho trovato interessante l’articolo, come appassionato alla storia specie a quella del proprio territorio. Un grazie e buon lavoro.

  2. La questione meridionale è stata vista e continua ad essere vista a seconda degli 8nteressi di parte e per colpa di questi e/o di quelli il mezzogiorno è stato sempre estromesso dallo sviluppo sociale e soprattutto economico, mentre politicamente ha utilizzato per moltissimo tempo lo scambio dei voti e ancora oggi ne subiamo influssi e conseguenze. Detto questo, la mia analisi parte da lontano ed è inserita in un mio lavoro non ancora pubblicato sulla storia di Foggia di circa 350 pagine.

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