Ci sono pietanze che scavalcano i confini nazionali e regionali, accomunano popoli e civiltà, annodano radici e tradizioni. Tra queste figura sicuramente quello che a Foggia viene definito cicc cuott (grano cotto), il dolce che viene preparato in occasione del 2 novembre, giorno in cui si commemorano i defunti.
Dolce mediterraneo per eccellenza, affonda le sue origini nella civiltà greca, che tanta parte e tanta influenza ha avuto nella cultura dell’Italia Meridionale. Deriva infatti dalla coliva greca, alimento profondamente legato alla tradizione della chiesa ortodossa. Il grano, che ne è la base, viene infatti benedetto durante le esequie funebri e in altre occasioni.
Come spesso accade, i riti cristiani sono andati a sovrapporsi a quelli pagani, per cui le origini del dolce sono ancora più remote. Gli ingredienti della coliva ricordano infatti quelli della panspermia, che si preparava nell’antica Atene durante la festa dell’Anthestiria, che veniva celebrata in onore di Dioniso, dio del vino e della fertilità. Secondo Maria Paravantes “veniva considerata un omaggio al ciclo di vita, morte e rinascita.”
I chicchi di grano e della melagrana richiamano un altro illustre mito: quello di Persefone e di Plutone. Il dio degli inferi offrì da mangiare alla bella Persefone, di cui si era innamorato e che aveva rapito, un chicco di melagrana e così la legò definitivamente all’aldilà. Secondo Cicerone, Persefone simboleggia il seme del frumento, segno di fertilità.
Basta tutto questo a farvi capire come il grano dei morti o coliva che dir si voglia sia un dolce fortemente simbolico. Ogni ingrediente significa qualcosa.
Nonostante i mille nomi e le mille diverse varianti, gli elementi comuni sono appunto il grano, il melograno, le noci (simbolo della vita che si rinnova). In Italia oltre che in Puglia (con le denominazioni di coliba, colve, cuelestrote e cicc cuott) viene preparato in Basilicata, Calabria e Sicilia, qui in occasione della festa di Santa Lucia, con il nome di cuccia (in questa versione al posto del vino cotto si usa la ricotta di pecora e zucca candita anziché cedro). In provincia di Foggia il dolce è diffuso, oltre che a Foggia, a Lucera, Monte Sant’Angelo e in altri centri del Gargano.
Luigi Sada, autentico guru della tradizione gastronomica pugliese, indica gli ingredienti nel grano tenero (500 g.), melagrana (una), noci sgusciate e tritate (150 g.), cioccolato amaro ridotto a scaglie (150 g.), cedro candito a pezzetti (100 g.) e cannella (una bacchetta, sminuzzata).
Il grano, che va tenuto in ammollo almeno un giorno prima, va fatto bollire per una decina di minuti, in acqua abbondante. Quindi va messo a raffreddare, dopo aver avvolto la pentola, coperta, in un panno di lana (serve ad allungare il tempo del raffreddamento naturale).
Quando il grano si è completamente raffreddato scolarlo, aggiungere i diversi ingredienti e mescolare bene. Il vino cotto va aggiunto solo al momento di servire in tavola.
In passato alcune versioni prevedevano al posto del costoso cioccolato, altri elementi poveri, come i fichi secchi, anche questi sminuzzati.
Nel resto della Puglia è diffusa l’usanza di condire il grano cotto con chicchi d’uva nera tagliati a metà, e di aggiungere alle noci, le mandorle, naturalmente tritate.
La coliva greca prevede sapori ancora più spartani, che virano verso l’agrodolce. Non c’è il vino cotto, e il grano viene condito, oltre che con i canonici chicchi di melagrana, noci e mandorle tritate, con uvetta, prezzemolo tritato, pangrattato, e zucchero. L’effetto cromatico è particolare, per il candore dello zucchero a velo, interrotto dal rosso dei chicchi di melograno e il verde del prezzemolo. Oltre che in Grecia, il dolce viene consumato anche nei paesi balcanici dov’è diffusa la religione greco-ortodossa.
Tutte le versioni hanno però in comune i loro sapori impareggiabili, che sanno di antico e profondo.
Geppe Inserra
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‘u säje…..
‘eje sule pe farle assaprà pure ‘e crijature.
‘A respòste da cummarèlle, toste ‘e secùre:
Te’ pigghije, sti doje scudèlle,
‘i tenève già bèlle ‘e prònde,
‘u penziire mu’ decève chè maviva tuzzelà,
accussì pure ‘i crijature su ponne magnà,
quist’anne n’aggghije fatte propte assäje
‘e pure tu… te puje addecrijà!
Salvatore Il Grande