Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Luigi Minchillo, e conservo di lui il ricordo di un campione non solo di sport, ma anche di umanità. Una bella persona, di quelle che quando le incontri, ti arricchiscono.
Accadde a San Paolo Civitate, il paese dov’era nato, qualche settimana dopo leggendario incontro con Thomas Hearns, che l’aveva visto sconfitto ma lo aveva consacrato come «guerriero del ring». L’11 febbraio 1984 con il titolo mondiale dei superwlter in palio, Minchillo aveva sfidato il fortissimo pugile americano, che si presentava al match forte di un palmares da brividi: 38 incontri disputati, di cui 37 vinti, e solo uno pareggiato.
Hearns era uno che picchiava duro (per intenderci, qualche mese dopo avrebbe costretto alla resa il mitico Roberto Duran) e quella sera non si smentì, cercando in tutti i modi di chiudere il combattimento prima del limite. Fu una battaglia epica, che durò per tutte le 12 riprese. Minchillo resistette tenacemente e caparbiamente agli assalti dell’americano, fino all’ultimo gong, uscendo dal match sconfitto, ma a testa alta, altissima. L’abbraccio tra i due avversari alla fine del match è una delle immagini sportive più belle che la «noble art» abbia consegnato alla storia dello sport.
L’amministrazione comunale di San Paolo Civitate aveva organizzato una festa per celebrare il suo campione, con tanto di sfilata per le vie del paese. Ci ero andato per accompagnare il presidnte della Provincia, Michele Protano, di cui ero addetto stampa. Essendo appassionato di boxe e vicepresidente della Pugilistica Taralli avevo accettato l’invito con entusiasmo. Conoscere personalmente Minchillo era un’occasione da non perdere. Fraternizzammo subito, per la comune amicizia con Luciano Bruno, di cui dirò più avanti.
Mi volle al suo fianco nella sfilata, durante la quale il «guerriero del ring» si trasformò in un… agnellino. Aveva ancora scolpiti sul volto i segni del durissimo incontro di Detroit. Il campione pianse per tutta la durata del corteo, un po’ perché commosso dall’entusiasmo e dall’affetto dei suoi concittadini, un po’ perché – così mi disse, tra le lacrime – «non era riucito a strappare il titolo a Hearns».
Naturalmente parlammo a lungo di Luciano Bruno, il fortissimo pugile foggiano che l’anno prima aveva vinto a Roma la Coppa del Mondo e che si apprestava a partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles, dove avrebbe conquistato la medaglia d bronzo.
I due si conoscevano bene, perché spesso incrociavano i guantoni nel ritiro della Nazionale, uno sparring parter dell’altro. «Luciano mi dà un sacco di filo da torcere, è un pugile che diventerà grande» mi confidò Minchillo.
Allora non poteva saperlo, ma i loro destini si sarebbero bizzarramente incrociati, a causa di un avversario comune, il pugile francese Rene Jacquot. Passato professionista, Bruno lo incontrò a Bellaria il 29 giugno del 1986 durante quella che si sperava sarebbe stata la scala al titolo europeo. C’ero anche io, con il maestro Lorenzo Delli Carri, ad assistere a quello che si rivelò un incontro a senso unico. Bruno colpì l’avversario in tutti i modi, facendolo contare dall’arbitro, ma il francese riuscì a concludere in piedi il combattimento, che perse largamente ai punti. Vi confesso: quella sera provai perfino un po’ di dispiacere per l’avversario del mio pugile ed amico, che scese veramente malconcio dal quadrato.
Tornammo da Bellaria in auto, e subito durante il viaggio Bruno accusò un dolore alla mano. Un maledetto pelo di crine nel guantone, che gli provocò una infausta infiammazione: quel malanno ne avrebbe pregiudicato il prosieguo della carriera.
Ad incrociare il cammino di Rene Jacquot sarebbe toccato qualche mese dopo proprio a Luigi Minchillo. A Rimini, il 29 gennaio 1988, in palio il titolo continentale dei medi junior, vacante. I pronostici erano tutti dalla parte del campione italiano, che dovette però arrendersi per una grave ferita al setto nasale, riportata nella seconda ripresa. Il «guerriero» strinse i denti attaccò ripetutamente l’avversario nel tentativo di chiudere subito i conti. Ma riportò un’altra ferita all’arcata sopracciliare, che indusse il medico a sospendere l’incontro.
Sarà il suo ultimo combattimento.
Luigi se n’è andato improvvisamente, come un eroe dei poemi epici, cui non si addicono le lunghe malattie. L’ha stroncato un malore, mentre continuava a dare il suo tempo e la sua passione alla boxe. A Pesaro aveva una palestra, punto di riferimento del pugilato nelle Marche.
Per lo sport italiano si chiude una leggenda, fatta di coraggio, di impegno, di sacrificio.
Addio caro, grande guerriero. Te ne sei andato lassù, ma nei nostri ricordi resterai per sempre.
Geppe Inserra
Views: 0