50 anni fa l’epidemia di colera

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Sempre attento e solerte, l’amico Tommaso Palermo mi ricorda che 50 anni fa esplodeva l’epidemia di colera che destò molta paura nella popolazione ma per fortuna non molti decessi. Lo ringrazio per il prezioso “assist”, e convengo: è il caso di fare memoria di quella pagina, non solo sanitaria ma anche civile, che ebbe un ruolo importante nel far prendere coscienza alla comunità delle questioni legate all’igiene, alla pulizia e all’ambiente.
Foggia fu tra le province coinvolte, con quattro casi ed una vittima. Il dato ha valore soltanto statistico, visto il modesto numero di infezioni, ma in Capitanata il colera fu più virulento che altrove, con il tasso di letalità più alto di ogni altra provincia italiana: raggiunse il 25%.
Gli infettati furono in tutto 277, 24 i deceduti. Le città maggiormente coinvolte furono Napoli (119 casi e 15 morti, con un tasso di letalità del 12,6%) e Bari (110 casi, 6 decessi, mortalità 5,5%). Le regioni colpite furono praticamente solo la Campania (130 casi) e la Puglia (125). Qualche caso di infezione si registrò anche a Cagliari.
La prima vittima si registrò a Napoli il 20 agosto 1973. L’epidemia fu inizialmente sottovalutata: le diagnosi parlavano di gastroenterite acuta, e soltanto verso la fine di agosto fu chiaro che si trattava di qualcosa di peggio.
“Forse il colera anche in Puglia ma la vera epidemia è la paura“, titolava La Gazzetta del Mezzogiorno alla fine di agosto. Il giornale dava notizia di quattro casi sospetti a Foggia (un’intera famiglia di Ordona, ma si trattò di un falso allarme), e di una turista tedesca che aveva trascorso le vacanze nel Gargano, ed era stata ricoverata in un ospedale campano.
In tutta la regione vennero proibite la vendita di frutti di mare, ritenuti tra i maggiori responsabili dell’infezione, la verdura cruda in ristoranti, ospedali e comunità, la vendita e il consumo di gelati preparati artigianalmente, i bagni nelle zone d’acqua inquinata, l’irrigazione con liquame.
La certezza che si trattasse proprio di colera arrivò qualche giorno dopo, ai primi di settembre. La popolazione, soprattutto a Napoli, venne presa dal panico, anche perché il vaccino non era ancora pronto per la somministrazione di massa. Vi furono vibranti manifestazioni di protesta. Cominciarono ad andare a ruba i limoni, il cui consumo serviva ad attenuare gli effetti di un eventuale contagio.
A Foggia la risposta dell’amministrazione e comunale fu tempestiva ed efficace. L’allora sindaco di Foggia, Pellegrino Graziani, ordinò il rinvio della partita di Coppa Italia, Foggia-Juventus, in programma domenica 9 settembre, e dispose la chiusura delle sale cinematografiche, la sospensione del mercato settimanale del venerdì, nonché misure per calmierare il prezzo dei limoni.
Trentamila dosi di vaccino giunsero per l’interessamento dell’on. Vincenzo Russo, da Londra. La somministrazione si svolgeva inizialmente al Centro Igiene di Piazza Pavoncelli e nei locali della Croce Rossa in via della Repubblica (nella foto di Pipino, in apertura), ma venne gradualmente estesa a tutto l’abitato, con l’apertura di 14 centri, due dei quali ubicati presso le caserme dei Carabinieri del Cep e di viale Candelaro. Nella foto sotto, di Pipino, vediamo l’allora presidente dell’Ordine dei Medici, Pasquale Trecca, che somministra il vaccino ad una bambina, nella caserma dei Carabinieri del Cep. La sostanza veniva iniettata con una particolare pistola-siringa, che la spruzzava nei tessuti sottocutanei. Un dispositivo del genere venne regalato dalla municipalità di Goppingen, città tedesca gemellata con Foggia.


Venne disposta un’autentica cintura sanitaria. Tutto il traffico “pesante ” (autobus di linea, ma anche camion adibiti al trasporto di merce e derrate alimentari) che arrivava a Foggia dal resto della regione e della provincia venne sottoposto a misure cautelari di disinfestazione, che veniva svolte in un recinto appositamente istituito all’Ataf.
Ad aumentare la preoccupazione nella popolazione era la scarsità delle risorse idriche. All’epoca, a Foggia, l’acqua veniva erogata con il contagocce o quasi, e non per l’intera giornata, il che comprensibilmente contrastava con la necessità di lavarsi frequentemente e curare l’igiene personale come veniva raccomandato dalle autorità sanitarie. La Regione chiese ed ottenne dall’Acquedotto Pugliese un incremento nella erogazione giornaliera. Comunque le strade vennero disinfettate con costanza, e si riuscì ad arginare con successo il rischio di un aumento dei contagi. Nella foto qui sotto, sempre di Pipino, un”immagine della disinfezione di corso Vittorio Emanuele.


In provincia di Foggia l’epidemia si concentrò prevalentemente sul Gargano (la vittima era di Vieste).
La popolazione viestana venne vaccinata massivamente con la formula del inoculazione “associata”, che prevedeva la somministrazione contemporanea del vaccino e di antibiotico.
Ma da cosa venne scatenata l’epidemia? Inizialmente finirono sul banco degli imputati le cozze, ma poi si comprese che i saporiti mitili erano essi stessi vittima del vibrione colerico, che assorbivano dall’acqua marina fortemente inquinata dallo scarico indiscriminato delle acque reflue, e che più in generale l’infezione trovava un’alleata nella scarsa igiene.
Il 14 settembre il sindaco Graziani dispose la riapertura dei locali cinematografici (comunque costantemente sottoposti sottoposti a disinfezione). Il peggio era passato. Ma l’epidemia aveva fatto aprire finalmente gli occhi sulla necessità di una maggiore attenzione all’inquinamento marino e più in generale alla pulizia e all’igiene.
Da quella epidemia, niente fu come prima.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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