Segreti di Puglia di Kazimiera Alberti è uno dei più bei libri di viaggio che siano stati scritti sulla Puglia. La sua riscoperta e valorizzazione si devono a quel geniale intellettuale che è Francesco Giuliani, poliedrico scrittore e docente di San Severo, che tra i suoi vari interessi ha anche quello della letteratura odeporica. Grazie a lui e al C.I.S.V.A (Centro Interuniversitario Internazionale di Studi sul Viaggio Adriatico), il prezioso volume è disponibile in edizione digitale, con un saggio introduttivo dello stesso Giuliani, che si è peraltro occupato della scrittrice e poetessa polacca nel suo pregevole volume Viaggi novecenteschi in terra di Puglia Nicola Serena di Lapigio – Kazimiera Alberti – Cesare Brandi, Edizioni del Rosone (Foggia, 2009).
Nata a Leopoli nel 1903, Kazimiera si chiamava in realtà Szymańska. Assunse, a mo’ di nome d’arte, quello del suo primo marito Stanislaw Alberti, intellettuale e ufficiale dell’esercito polacco, trucidato dallo stalinismo sovietico nel massacro di Katyn. Dopo la guerra, nel 1945, giunse in Italia, dove visse l’ultima parte della sua vita, che fu intensa e travagliata: fu prigioniera nel campo di concentramento tedesco di Pruszków, e l’esperienza lasciò una traccia indelebile nella sua anima. Accompagnata dal suo secondo marito, Alfonso Cocola, che fu anche il suo traduttore, visitò la Puglia tra il 1949 e il 1951, anno in cui fu pubblicato Segreti di Puglia, che faceva parte della collana Italia celebre e sconosciuta. In Puglia fece ritorno per restarci fino alla sua morte, nel 1962. È sepolta al cimitero di Bari.
Kazimiera Alberti non è una scrittrice di viaggio in senso stretto. La sua prosa è sconfina spesso nella poesia, la scrittura è intensa e immaginifica, la lettura estremamente piacevole.
«Siamo di fronte – scrive Francesco Giuliani nel suo saggio introduttivo – ad una viaggiatrice consapevole e curiosa, che nella ricerca della bellezza pugliese non rinuncia mai a far sentire la sua voce, il suo messaggio, la sua personalità di donna colpita dalla guerra e desiderosa di un balsamo interiore, che continua ancora a nutrire delle speranze sull’umanità.»
Lettere Meridiane pubblicherà a puntate – nella rubrica Memorie Meridiane che regala ad amici e lettori gadget digitali del nostro passato e della nostra identità – le tappe del viaggio pugliese di Kazimiera Alberti che riguardano la Capitanata (Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Foggia, Troia e Lucera). Pubblicheremo ciascun brano, trascritto dall’originale con la tecnologia OCR, sia nella versione testuale che – a partire dalla prossima puntata – in una versione pdf, che potete scaricare utilizzando il link alla fine dell’articolo, e che incrementeremo ogni volta che sarà pubblicata una nuova puntata, in modo che chi scarica l’ebook possa leggere anche quelle precedenti.
Cominciamo da Foggia e da «Il segreto dai mille volti» in cui l’autrice parla della Madonna dei Sette Veli, brano che proprio qualche giorno fa abbiamo citato, nella lettera meridiana dedicata alla festa patronale celebratasi a marzo.
IL SEGRETO DAI MILLE VOLTI
Nello stemma di Foggia ancora oggi vediamo tre lingue di fuoco. Cosa sono queste fiammelle che la città da quasi nove secoli conserva con tanta cura?
Come sempre a tale domanda risponde la leggenda, che in questo caso ha sublimato tanto l’uomo, da spogliarlo di ogni curiosità, impronta primigenia del suo carattere.
L’uomo in genere è animale incredulo. Anche il più ingenuo, quello cui tu puoi dar da bere tutto ciò che vuoi, cerca di accertarsi personalmente, vedere, toccare, verificare, comparare.
La dove oggi è la popolosa e vivace Foggia, si estendeva una volta la steppa, ed pastori vi conducevano al pascolo le loro pecore. Sul posto dove vi è oggi la cattedrale era uno stagno, in cui l’acqua affluiva dopo la pioggia.
Era l’anno 1073 ed i Normanni proprio allora cominciavano a rimpannucciarsi un po’.
Alcuni pastori, una volta, attratti da tre lingue di fuoco, si avvicinarono a questo stagno e vi trovarono galleggiante una tavoletta, avvolta in veli neri. Quella che poi fu la celebre Madonna dei sette veli, venerata attraverso i secoli.
Si narra che i pastori rispettarono il segreto e non svolsero i veli. Sul posto fu costruita una cappella. Poi i Normanni, pronti a tutto quanto potesse loro attirar merito, innalzarono quella che ancora oggi è la chiesa Cattedrale.
Siamo nel secolo del «materialismo storico», che annoiato ha girato le spalle a tutte le leggende e le vecchie storie. Certo molti, leggendo questa pagina, non crederanno innanzi tutto nel carattere mistico delle tre lingue di fuoco, e dottoralmente spiegheranno che nei posti paludosi spesso si formano i cosiddetti «fuochi fatui», fenomeno fin troppo noto.
Poi non crederanno che degli uomini primitivi, nei quali il carattere elementare vive in pieno, non abbiamo soddisfatto la loro innata curiosità. Infine qualcuno si chiederà ancora come essi facessero a sapere che sul quadro era dipinta la Madonna, se non avevano aperto i veli?
E si porranno ancora molte altre domande di tal genere.
Certo non è compito di uno scrittore, e specialmente di un poeta, il porre sulla bilancia della fisica il peso di una leggenda e scrutare quante once di essa possano salvarsi. In tal caso saremmo obbligati a buttar via l’intero collo della mitologia nella spazzatura; e questo sarebbe il miglior modo di spremer via dalla nostra cultura tutto il sugo della poesia e rimpiazzarlo con le più moderne vitamine della ragione.
Ma a noi, ai quali tante volte nella vita la curiosità umana è sembrata tanto volgare, è piacevole pensare che la leggenda foggiana ha girato le spalle alla spionistica curiosità umana ed ha creato tipi che ebbero la forza di rispettare un segreto.
Se l’inizio del racconto (il leggendario) sembrerà a molti troppo ingenuo, non so cosa faranno con la storia, che ha accertato il fatto, assolutamente sicuro, che da quando fu costruita la Cattedrale il quadro della protettrice della città, affidato alla terra nell’VIII° secolo durante la persecuzione iconoclasta e ritrovato nel 1073, fu aperto solo una volta.
Per molti secoli il misterioso involto, la cui fama miracolosa sempre più si diffondeva, fu oggetto della più profonda venerazione. Non ne era visibile che un velo nero. Finché, nel 1567, ad un vescovo nacque lo scrupolo di accertare cosa veramente si nascondesse dietro la stoffa scura. Se, invece della Madonna, la tavoletta venerata riproducesse qualche diabolica rappresentazione?
Espose così il suo dubbio al Vaticano, che lo ritenne giustificato ed autorizzò un’unica cauta ricognizione. Fu eseguita da un venerato sacerdote, il canonico Fusco, coadiuvato da altri due.
Possiamo immaginare l’istante, già assolutamente storico, non leggendario, quando furono svolti i veli, non tocchi da più di quattrocento anni.
La commissione attestò la ricognizione in una lettera che fu aperta soltanto dopo 23 anni, alla morte dei suoi membri. Avvolta in sette veli, fu veramente trovata un’immagine della Madonna, di eccezionale bellezza e valore artistico.
Dopodiché di nuovo i secoli non i hanno più toccato i veli!
Sotto le alte volte della Cattedrale, in una profusione di fiori e di luci, sull’altare sta il quadro, tutto coperto da una placca di prezioso metallo. Solo in un punto, in alto, una piccola apertura da cui si scorge un lembo di velo nero. Niente altro!
Ho visto migliaia di Madonne, delle più differenti scuole ed epoche. I miei passi hanno misurato centinaia di musei, migliaia di chiese.
Le Madonne di Murillo, del Bellini e del Botticelli, del Correggio e di Filippo Lippi; decine, nei monasteri bizantini di Serbia e di Bulgaria; anche quelle nere dipinte sul Monte Athos dai monaci greci, e tra questa massa, certamente più originali non perché chi è scrive è polacca e tanto care ad ogni cuore polacco, la bruna Madonna di Czestochowa, con le sue due tragiche cicatrici infertele da una spada svedese, e quella di Ostrobramska a Vilna. Eppure questo quadro qui, in cui si vede solo un lembo di stoffa nera, è ancora qualcosa di altro. Ha migliaia! È poco! Ha milioni di volti!
Attraverso i secoli ciascuno ha posto dietro questo velo una sua individuale immagine, ognuno ha visto la Madonna, così come a lui piaceva. La «Madonna dei setti veli» ogni giorno ha avuto decine di visi, primitivi e sublimi, delicati ed energici, malinconici e ridenti. Ecco certo la Madonna più ricca di espressioni del mondo intero! Ognuno che è venuto qui si è dipinta la sua immagine, come ha voluto e saputo dipingere.
Guardando questo intoccabile quadro, posto al limite tra la primordiale curiosità umana e la più volontaria fede, ricordo un episodio.
Nei suoi racconti della prima guerra mondiale, Gabriele d’Annunzio narra come in un settore avanzato accadesse che un camminamento fosse occupato parte dagli italiani parte dagli austriaci. Una coperta da campo legata ad una corda divideva le due zone e per una tacita convenzione rappresentava per i due reparti nemici una parete divisoria, più fisica di un reticolato o di un macigno. (Finché una volta un incauto osò strappare via la coperta con una baionettata. Subito la battaglia divampò furibonda).
Non so se tale episodio sia autentico od inventato dall’immaginifico cervello del poeta. Ma a me piace ritenerlo avvenuto.
Una comune coperta rappresentò per i nemici in campo un ostacolo insormontabile, più di qualsiasi « blockhaus» in cemento armato.
Poiché spesso le cose non si presentano a noi così come esse sono, ma quali i nostri occhi vogliono vederle.
In due metri di lacera stoffa, spessa pochi millimetri, quei soldati videro un riparo dietro cui riposare tranquilli, un angolo di pace, un’assicurazione contro la morte. In questi pochi centimetri quadrati di impalpable velo nero, nella Cattedrale foggiana, generazioni e generazioni, per tanti secoli, hanno visto ogni più alto capolavoro artistico, ogni più superba visione ultraterrena, la materializzazione stessa di ogni loro aspirazione metafisica.
Kazimiera Alberti
(1. Continua)
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