Dialettologo, linguista e cultore di storia locale, Nando Romano ci scrive a proposito della Pianta dell’Angelica, recentemente pubblicata nel catalogo digitale della Biblioteca romana, di cui avevamo parlato nel nostro articolo «Finalmente on line la preziosa Pianta dell’Angelica». Di seguito il suo commento, come al solito interessante e ricco di stimoli. (g.i.)
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Caro Geppe, ti ringrazio per la pubblicazione di questo documento in originale, anche perché in città gira quello che si può definire anche un falso, in quanto l’ing. Salvato ricalcò le linee e le scritte della pianta nella idea, a fin di bene, di renderla più leggibile. In realtà un documento non si… ricalca.
Perfino negli uffici dell’Archivio di Stato di Foggia è appeso in bella mostra un quadro con il “falso“. Autore della Pianta, come ho affermato varie volte, dovrebbe essere un monaco agostiniano perché l’immagine, per quanto sia dissimetrica, pare “presa” dall’attuale Via Vittime Civili, ex Bar Polo Nord, in quanto, per certi versi, pare mettere in rilievo, a suo modo, il relativo convento, notato con la lettera E, ossia al V posto subito dopo gli uffici più importanti la cui citazione era ineludibile.
Il Monastero di S. Chiara, indicato con la lettera H (Via Catalano, Ricciari, Arpi, Solitario) ne risulta schiacciato, anche se ancora oggi l’immobile si estende su di un’area non trascurabile, peraltro l’estensore lo salta e va subito a quello di S. Domenico (lettera F), pure molto vasto ancora oggi (Vico S. Domenico, corso V.Emanuele, piazza Oberdan) per cui non si può invocare che sia partito dall’antica Porta Picciola e a seguire verso Porta Grande.
Lo stemma è reinterpretato e si direbbe “paretimologizzato” perché parla di “acqua e fuoco” infatti, se non sbaglio, si vedono fiamme e fumo, ciò che lascia ipotizzare che l’autore per quanto sapesse disegnare non fosse esperto in araldica né foggiano: in questo caso avrebbe stilizzato lo stemma secondo i dettami araldici e avrebbe avuto contezza, ad esser foggiano, che si trattava di fiammelle (sacre!) e non di fuoco.
Nonostante la probabile “toccata e fuga” da Foggia, giusto per disegnare la pianta, l’autore, in cambio, ci dà una preziosa informazione dal punto di vista linguistico nella scritta accanto allo stemma “perché fossa dicesi in quella lingua loro foggia” attestando una voce presente, prima della città, dal II secolo d.C., ma con quel “loro” conferma di non essere del posto.
Ci lascia notevoli testimonianze, fra l’altro: al n. 7 le Beccherie, forse in dialetto: a vucciarijë, come il famoso mercato palermitano, dall’antico francese boucherie, it. beccheria, odierno dialettale: a vucciarìjë per ‘confusione, sporcizia’, in quanto la beccheria fu sostituita da chjanghë anche nel Libro Rosso trascritto da Pasquale di Cicco, ove si trovano: chianga e chiangare animalei, e che prosegue dopo duecento e più anni l’antico pettagio di Mazzaporci su cui mi sono espresso anche nell’ultimo numero della bella rivista di Maurizio de Tullio, Diomede.
Nando Romano
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Caro Geppe, grazie di aver pubblicato la mia nota, a saperlo l’avrei riletta, non manca qualche svista che ti prego, se puoi, di correggere, e specie quel TRADOTTO che è TRASCRITTO. Grazie. Nando