Si scrive autonomia differenziata, ma si legge secessione

Sindacalista, agronomo ed esperto di politiche sociali, Daniele Calamita ha spesso dovuto fare i conti i conti con la “questione meridionale”. La riflessione che segue, sul tema dell’autonomia differenziata, giunge dunque da una postazione particolarmente attenta e sensibile. Buona lettura (g.i.)

* * *

In queste ore si sente parlare sempre di più di Autonomia differenziata. Il governo sta valutando il disegno di legge, senza peraltro essersi confrontato con la conferenza Stato-Regioni e con evidenti posizioni contrastanti fra i Presidenti delle Regioni del Sud e quelli del Nord; il disegno di legge come tutti sappiamo riguarda le regioni a statuto ordinario, ed è stato presentato dal Ministro della Lega, Roberto Calderoli.

Temo che la maggior parte dei nostri concittadini non conosca bene la norma e quale impatto avrà sulla collettività e sull’intero Paese: la proposta è molto contestata perché è destinata ad aumentare il già evidente divario tra Nord e Sud. In questo articolo provo con parole e considerazioni semplici a spiegare una norma complessa che aumenterebbe quella famosa “Questione Meridionale”, enunciata per la prima volta nel 1873, che nella storia non è mai stata affrontata compiutamente né tantomeno risolta ed è ancora oggi evidente.

Cominciamo dal principio. Il Ministro Calderoli nei giorni scorsi ha presentato al tavolo del Consiglio dei Ministri il disegno di legge sull’autonomia differenziata. La proposta deriva dalla riforma del Titolo V  della Costituzione Italiana del 2001, in base a cui le regioni possono chiedere allo Stato competenze esclusiva su 23 materie di politiche pubbliche.

In parole povere l’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una Regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Oltre alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale, a seconda delle necessità collettive.

Le materie della cosiddetta legislazione concorrente comprendono: rapporti internazionali e con l’Unione europea; il commercio con l’estero; la tutela e sicurezza del lavoro; l’istruzione; le professioni; la ricerca scientifica e tecnologica; la tutela della salute; l’alimentazione; l’ordinamento sportivo; la protezione civile; il governo del territorio; i porti e gli aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; la comunicazione; l’energia; la previdenza complementare e integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; la cultura e l’ambiente; le casse di risparmio e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Va evidenziato che l’articolo 116 terzo comma della Costituzione Italiana già prevede l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di concessioni ossia forme e condizioni particolari di autonomia, sempre il terzo comma dell’art.116 stabilisce che possano essere attribuite “con legge dello Stato su iniziativa della regione interessata”. Va anche detto che viste le enormi differenze economiche e sociali tra le Regioni, in particolare fra quelle del Nord e del Sud, e gli effetti potenzialmente dannosi che si sarebbero ottenuti (la famosa questione meridionale irrisolta), questo comma, a ragion veduta, non è mai stato attuato, e non si sono mai concesse concessioni o promulgato leggi in questo senso.

La proposta avanzata da Calderoli va ben oltre il terzo comma dell’art. 116, generando fibrillazioni all’interno della maggioranza di Governo, inoltre è stata criticata da economisti e sociologi. In quell’impianto vi sono sia gli aspetti tecnici, sia possibili e probabili effetti sociali che saranno estremamente negativi per il Paese perché aumenteranno vertiginosamente le disuguaglianze a livello interregionale con il rischio di frammentare e polverizzare l’unità e la coesione nazionale.

Va detto che la proposta Calderoli è perfettamente in linea con quello che la Lega Nord di Miglio e Bossi hanno sempre teorizzato e provato a fare, senza mai riuscirci, e che l’apparente cambio di pelle dell’attuale Lega serviva solo per recuperare elettorato al Sud; infatti la proposta sposa a pieno la linea voluta dal presidente leghista del Veneto, Luca Zaia: la proposta di autonomia differenziata, infatti, è stata definita dalla stampa nazionale come la secessione dei ricchi” considerato che assicurerebbe più finanziamenti alle Regioni del Nord, che già dispongono di maggiori risorse, maggiore occupazione, maggiori infrastrutture e maggiore gettito economico e fiscale rispetto alle Regioni del Sud.

Uno dei punti che potrebbe equilibrare e mettere un limite a questa norma, dal sapore secessionista, è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, questi sono denominati dall’acronimo LEP, che in base ai dettami della Costituzione tutelano i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini, assicurandoli in modo omogeneo a tutti.

La chiave di volta è che l’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente.

Ma questo elemento di garanzia è stato aggirato dal disegno di legge Calderoli con un escamotage: si propone di dare al Governo un anno di tempo per decidere i LEP; termine entro cui molto probabilmente le Regioni che hanno interesse ad avere l’autonomia (soldi per capirci) accelereranno il pressing per formulare l’intesa col Governo senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei LEP, distribuendo i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia, acclarando la giusta definizione di “secessione dei ricchi”, perché si darebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord (in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta), meno soldi alle Regioni del Sud (ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa).

Va anche detto che la questione dei LEP non nasce oggi, infatti, con responsabilità trasversali fra centrodestra e centrosinistra, sono oltre venti anni che questo Paese attende la definizione dei LEP, motivo per cui fino a oggi abbiamo assistito ad una cristallizzazione nel divario e nella qualità  dei servizi (basti prendere a riferimento scuola e sanità). Per giunta, nella scuola l’autonomia rischierebbe di generare una pericolosa separazione didattica con programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati; va anche aggiunto già ora esiste una marcata differenziazione delle risorse educative offerte sul territorio nazionale, differenze evidenti non solo tra regioni, ma anche all’interno della stessa regione e nella stessa città.

E se le cose fin qui spiegate non bastassero se ne aggiunge un’altra, infatti alle Regioni non viene chiesto di avere i conti in ordine o di non essere stata commissariata in precedenza per la gestione delle materie di cui fa richiesta. Se poi consideriamo che fra le materie oggetto di autonomia vi sono istruzione, sanità, produzione di energia e tutela dell’ambiente, che sono ambiti molto delicati e con alti rischi per la collettività, il dado è tratto.

Ma come è d’abitudine, quando si fa una torta, alla fine si mette la ciliegina; e la ciliegina su questa torta per festeggiare la secessione in questo paese, è che il disegno di legge non specifica le modalità con cui attivare le richieste di autonomia; in pratica si lascia alla discrezionalità del Governo il compito di elaborare l’intesa tra Stato e Regione. Per essere ancor più chiari e spiegare meglio il concetto, con questa norma, il Parlamento (ovvero coloro che sono stati eletti dai cittadini a rappresentarli) non avrebbero alcuna voce in merito, perché il Consiglio dei ministri dovrebbe presentare alle camere solo un disegno di legge per approvare l’intesa, sul quale deputati e senatori non avrebbero possibilità di proporre modifiche, di fatto esautorando l’organo legislativo. A chiusura vorrei chiedere ai Deputati ed ai Senatori eletti in questa Regione, al di là dello schieramento politico, ma come portatori di interessi collettivi in modo particolare della loro terra, cosa ne pensano? e cosa intendono fare per garantire ai cittadini di questa Regione pari dignità con i cittadini del fiorente Veneto?

Daniele Calamita

Views: 0

Author: Daniele Calamita

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *