Mariano Salatto era una di quelle persone che ti sembrava di conoscere da sempre. Se dovessi dire con precisione quando e come l’ho conosciuto, non saprei rispondere. So invece, per certo, dove. A Troia, in un giorno imprecisato del primo dei tanti momenti della mia vita che mi hanno portato nella cittadina del Rosone, disegnando rapporti che mi sono rimasti, indelebili, nel cuore e nell’anima.
A farmi giungere a Troia fu, agli inizi degli anni Settanta, la passione per il teatro. Col mio gruppo, la Comunità Nuovo Teatro mettemmo in scena – auspici l’indimenticabile Vincenzo Bambacigno che ne era l’autore e Vincenzo De Santis, giornalista, tipografo e presidente della Pro Loco – il dramma storico “Cinque serpi in cambio di un impero“. Tornammo al Cineteatro Diana l’anno successivo per rappresentare due atti unici di Sartre e di Brecht. Nacque l’idea di una propaggine troiana del gruppo teatrale.
Fu allora e fu così che conobbi Mariano Salatto, protagonista indiscusso dell’associazionismo troiano e responsabile dell’Arci, che sposò con entusiasmo l’idea di fondare un gruppo teatrale.
Mariano era fatto così: dovunque ci fosse qualcosa che riguardasse il futuro, un possibile cambiamento, una crescita sociale e culturale di Troia, lui c’era. E non faceva mai mancare il suo consiglio, le sue idee, le sue proposte, il tutto condito da quella ironia e da quel disincanto che facevano parte del suo dna.
Le nostre strade sarebbero tornate ad incrociarsi qualche anno dopo, quando, naufragato il progetto teatrale, sarei tornato a Troia, su invito di Giacomo Curato, per vivere una delle esperienze professionali più vivaci e stimolanti della mia vita professionale: la direzione di Radio Studio 98, prima, e de La Refola, dopo.
L’amicizia con Mariano si consolidò. Era un prezioso osservatore di fatti e persone. E considerava quale sua mission il dovermi mettere in guardia da certi suoi concittadini che definiva, come dire, troppo figli… della loro città.
Comunista di ferro, passione politica e ideologia non gli impedivano di mantenere uno sguardo critico sul contesto sociale e soprattutto sulle enormi potenzialità di futuro della città, che restavano al palo perché troppo frequentemente la politica si impaludava, non riusciva a dare risposte.
In un certo senso, Mariano Salatto è stato un antesignano, un pioniere della idea di società civile che diventa protagonista anche nella sfera politica: e così Mariano fu, inevitabilmente, un prezioso interlocutore e un fedele compagno di strada anche nella mia terza “stagione troiana”, bella ed entusiasmante come quelle che l’avevano preceduta.
Radio Studio 98 e La Refola avevano creato un humus politico da cui fiorì una lista civica di sinistra, partorita quasi per scommessa dal coraggio di Domenico La Bella che nello scetticismo generale vinse le elezioni, per pochi voti (che avrebbe praticamente raddoppiato nella tornata successiva). Qualche mese dopo la vittoria, il sindaco mi chiamò a far parte della giunta come assessore esterno. Mariano Salatto assunse questa volta il ruolo di coscienza critica. Era assolutamente rispettoso delle istituzioni, però se non era d’accordo su una decisione, un provvedimento, non lo mandava a dire.
Non lo vedevo da molto, sicché quando Giovanni Aquilino mi ha detto della sua scomparsa sono stato colto del tutto alla sprovvista. È difficile abituarsi all’idea che una persona come Mariano, che c’era sempre, adesso non c’è più.
Bisognerà farne memoria e mi sembra quanto mai azzeccata l’idea di Giovanni, di cui pubblico di seguito un breve pensiero sul nostro comune amico, che propone di intitolargli un circolo Arci (a seguire, il ricordo di Antonio Gelormini cui devo anche le foto che illustrano l’articolo).
È davvero il minimo che si possa fare per rendergli l’omaggio e il ringraziamento che merita.
Geppe Inserra
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Improvvisa, quanto amarissima è giunta la notizia della scomparsa di Mariano Salatto, avvenuta qualche giorno fa, in quel di Milano dove da qualche anno risiedeva con le sorelle.
Mariano per circa un ventennio è stato animatore e dirigente Arci sia provinciale che zonale, era conosciuto e stimato per l’intenso ed appassionato attivismo nonché per lo spirito indomito ed irriducibile, comunista vero e verace da sempre non barattava nessuna sua idealità per una qualsiasi convenienza.
A Troia, sua città natale, aveva fondato decine di circoli Arci raggiungendo il record nazionale dei tesserati. Difatti, anche se la cittadina contava solo poco più di ottomila abitati, in percentuale c’erano più tesserati che a Bologna: per questo speciale primato, nell’83, l’allora presidente nazionale dell’Arci, Enrico Menduni, lo insignì di uno speciale diploma di benemerenza. Bello e doveroso sarebbe se l’Arci provinciale gli dedicasse un circolo o una sede o qualsiasi cosa possa ricordare il nome e la “gesta” di chi per questa associazione ha dato ogni sua energia, entusiasticamente e senza nessun ritorno di sorta, se non il piacere di realizzare ogni attività
possibile a vantaggio della comunità locale.
Giovanni Aquilino
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Il rammarico resta vivo e cocente: quello di non essere riuscito a sentirlo un’ultima volta. Troppi i rinvii di una telefonata ‘in momenti più tranquilli’, forse per non dovermi confrontare con l’ineludibile piega degli eventi.
Anche Mariano Salatto ci ha lasciato. Il sole splende in questo inizio del 2023, ma l’anno comincia sotto una coltre di tristezza e di nostalgia.
Ero uno dei suoi “generali dei miei stivali”, forse quello a cui era più affezionato, se non altro per la solida e incosciente complicità infantile che ci legava da sempre, per essere cresciuti insieme nel quadrilatero di Palazzo Varo, Piazza Santa Croce, Chiesa dei Morticelli e Stradolla di ‘Delina Santoro. L’incoscienza che ci vedeva – lui all’altezza di Via Varo ed io a quella della scalinata della Cattedrale di Troia – lanciarci, in modo spericolato, la carrozzina con mia sorella Rosa (nata da qualche mese), lungo quel tratto di via Regina Margherita in discesa.
O quella – un po’ di anni dopo – che lo portava a puntare sull’unica possibilità di rientro a Troia da Foggia, a tarda ora, dopo che anche l’ultimo autobus era partito: sperare di vedermi passare dall’incrocio della Shell, dove lui fiducioso attendeva provando a fare l’autostop. Ed io alle due di notte, dopo uno spettacolo del Teatrodanza al Petruzzelli di Bari, rientrando a casa, avvertire la spinta o l’esigenza a non fare la tangenziale, ma ad attraversare la città (un modo come un altro per tenermi sveglio alla guida) e riconoscerne la sagoma, con grande sorpresa nel buio della notte, per poi sentirmi dire: “Puzz’ess sant, Antò! Ij’ a te stev’ aspettann’….”.
Una vita dedicata all’ARCI-UISP, insieme a non pochi risparmi personali e di famiglia, per testimoniare l’innata vocazione all’impegno sociale, segnata dal paradosso di una fede laica nel comunismo più radicale (fino ad esibire con ironica baldanza una foto di Stalin custodita nella sua carta d’identità), e il lavoro quotidiano presso le ACLI – Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani.
Indimenticabile il dibattito per trovare il nome adatto, a cui intitolare il circolo Arci a Troia negli anni successivi ai fatti del Vietnam: contesa che si risolse col suo placet al personaggio famoso che io proposi e che mise tutti d’accordo, forse perché quasi nessuno sapesse chi in realtà fosse: Ho Chi Minh.
Indelebile il ricordo del repentino cambio di augurio, per me, in occasione di altro appuntamento ARCI-Uisp. Mi aveva portato con sé ad un Congresso a Roma, all’Hotel Ergife sull’Aurelia. Quella domenica mattina, dopo una notte alquanto insonne, per il russare degli altri quattro compagni di stanza, decidemmo di uscire presto e andare in Piazza San Pietro. Ritrovarsi tra quelle colonne gli piacque molto, tanto da dirmi: “Antò, t’avesser benedì! Quando dirò ad Angiolina (la madre) che sono stato a San Pietro, ne sarà molto felice e compiaciuta”.
E quando gli proposi di salire sulla Cupola accettò di buon grado, chiedendo solo se ci fosse l’ascensore. Gli dissi di sì, non calcolando che arrivava solo alla prima balconata: quella con le statue dei Santi e degli Apostoli. Dopodiché solo gradini, tanti gradini. Stremato, ansimante e piegato con le mani sulle ginocchia, mentre riprendeva fiato con una sorta di rantolo – nell’ultimo tratto dell’ascesa, quello da percorrere ricurvi per adeguarsi alla volta del Cupolone – giudizio e auspicio mutarono totalmente, e chiosò: “Antò, a te t’avesser sul ‘mbenn!”
Dai Tornei di Scacchi a Bari ai Giochi della Gioventù a Lucera e a Foggia, dal favorire l’attività fisica in palestra alle rassegne cinematografiche in collaborazione con l’Agis, l’azione innovativa e incontenibile di un appassionato di promozione sociale fu intensa e prolungata, nonché fortemente stimolante per il piccolo centro della Capitanata in cui si concentrava.
E sempre con l’Arci raccontava di quando andò in Germania, a Bonn, con una delegazione internazionale di Responsabili sprovveduti, un po’ tutti come lui. La compagine di ospiti, piuttosto animata – quella sera – fu invitata a Teatro per seguire un Concerto di Musica da Camera. Alla fine del primo movimento scrosciò l’applauso, tra l’indignazione di tutti. “Quelli della prima fila in galleria si girarono per redarguire i colpevoli – raccontava Mariano – e così quelli delle file successive. Fino a che quella sorta di ‘ola ammonitrice’ arrivò a noi, che spontaneamente ci girammo a nostra volta. Ma dietro di noi c’era il muro!”
Mentre a Santa Cecilia, in altra occasione, mise me in imbarazzo quando nel foyer, in attesa di seguire un Concerto Sinfonico diretto dal Maestro Aldo Ceccato, leggendo (male) il manifesto ad alta voce mi chiese: “Cecchetto, ma chi è quello di ‘Gioca jouer?” Per poi partire con la sua tipica risata asinina e contagiosa.
I due fondi di bottiglia, come occhiali, lo facevano somigliare ad Augusto Daolio dei Nomadi e proprio quel difetto alla vista lo porterà a coronare il sogno di una vita: potersi recare in Russia. Era il periodo dei pellegrinaggi oculistici verso una Mecca più volte esaltata. E per il grande viaggio Mariano acquistò una macchinetta fotografica da portare con sé, per immortalare la spedizione, facendola anche caricare per essere pronta all’uso.
Tra l’acquisto e la partenza per Mosca, però, ci fu la prima Comunione del nipote e la macchinetta venne usata per l’evento e il rullino ovviamente ritirato. Una volta in Russia, Mariano comincia a scattare: “Ventiquattro, venticinque, ventisei … pensai ci sarà il rullino da 36 – raccontava lui stesso – e poi trentasette, trentotto … forse c’è quello da 54. A sessanta-tre pensai anche al rullino da 72…” Aveva scattato a vuoto tutta la prima parte di quel “sogno ad occhi aperti” dietro due fondi di bottiglia.
Il viaggio in Russia lo porterà anche a trovare una moglie, ben più giovane di lui, che accenderà – anche se solo per qualche anno – nuovi entusiasmi, dando vita ad altri progetti. Delusioni e solitudine, combinati con gli acciacchi dell’età e la perdita di Vittorio, il fratello più piccolo, lo porteranno a trasferirsi da Troia a Milano, per raggiungere le sorelle e contare su un’assistenza più assidua.
Due ultime fotografie, di quell’interminabile rullino, per inquadrare adeguatamente l’amico di una vita, Mariano, entrambe in chiave filosofica: nella versione più ‘autoctona’ e tipica del soggetto. La prima ci riporta a Studio 98, l’esperienza radio che coinvolse molti di noi in una fase cruciale della nostra formazione. Una sera, nella pausa silenziosa di una discussione ‘libera’, Mariano esibendo un corposo mazzo di chiavi, che faceva saltellare da una mano all’altra, chiese a tutti noi: “Le vedete queste chiavi?”, stigmatizzando e anticipando la risposta rassegnata e pessimistica: “Ebbene, tutte queste chiavi non aprono alcuna porta!”.
Mentre un’altra sera, sempre a Studio 98, mentre si decantavano bellezze femminili e forme più o meno attraenti del gentil sesso, Mariano confessò d’essersi invaghito di una delle donne più affascinanti del paese. Lamentando la non corrispondenza di sentimenti, si chiedeva con altrettanta rassegnazione e relativa vena pessimistica: “Che m’ manc’?”.
Fai buon viaggio, Mariano. Continueremo a volerti bene!
Antonio Gelormini
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Notizia davvero triste. Sinceramente ero convinto che Mariano se ne fosse ‘andato’ già da molto, sapendolo in non buone condizioni di salute ma avendone perso le tracce da almeno una quindicina di anni. Ignoravo si fosse trasferito a Milano e anche i miei ricordi più datati affondano nelle esperienze in ARCI (fine anni ’70), in RADIO LUNA e nel mio impegno lavorativo all’Ufficio Stampa della Provincia di Foggia (1990-2009) quando il suo affacciarsi a Palazzo Dogana preludeva un progetto da finanziare o un appuntamento con Geppe Inserra, allora mio dirigente e contestualmente assessore alla Cultura al Comune di Troia. Indimenticabile il suo frasario, nasale, colorito e limitato al minimo indispensabile nell’uso della lingua italiana! Nel suo dialetto lo avrebbero capito anche in Alaska. Con lui se ne va una parte di quella realtà culturale e politica troiana che ha lasciato il segno attraverso tante e importanti iniziative, ben descritte da Inserra, Aquilino e Gelormini.
Caro Mariano ti saluto con l’affetto di sempre e, se puoi, non ‘castimare’ troppo dove ora sei.