Il dramma del pronto soccorso, e i veri responsabili

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Commentando l’articolo sulla recente manifestazione «meridionale» celebrata dalla Cgil a Bari (Il no della Cgil all’autonomia differenziata), mi scrive l’amico e lettore Saverio Paparesta: «Sono le 21:30 di un giorno qualunque. Dalle 13.00 attendo il mio turno seduto su una sedia di plastica nella sala d’attesa del Pronto Soccorso degli Ospedali Riuniti di Foggia. Gente dallo sguardo smarrito attende composta, direi rassegnata, il proprio turno. Immagine eloquente di un Sud che non spera più e neanche si prende la briga di indignarsi.»

Difficile dare torto a Saverio: i pronto soccorsi sono diventati il simbolo del declino della sanità pubblica nel nostro Paese, in special modo nel Mezzogiorno.

Ma bisogna chiedersi perché, e soprattutto, non si deve cedere alla tentazione di individuare quali capri espiatori i medici, gli infermieri e quanti lavorano in questa trincea. Sono essi stessi vittime del sistema. 

La crisi dei pronto soccorsi è la conseguenza di scelte (politiche) operate dai governi (di ogni colore) che hanno guidato il Paese negli ultimi decenni, e  che hanno introdotto nelle politiche sanitarie una visione aziendalistica ed economicistica, che che non ha recuperato efficienza, come si sperava, ma ha appesantito divari, diseguaglianze e ingiustizie.

Per dirla brutalmente: a saldare il conto delle diverse spending review è stata la salute dei cittadini.

Proprio la crisi del pronto soccorso era stata al centro di uno degli interventi più interessanti ed applauditi del convegno della Cgil, quello del dr. Giuseppe Visone, medico presso il «famigerato» pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli di Napoli e protagonista, assieme ad atri suoi colleghi di un clamoroso gesto di protesta: si sono dimessi in massa.

Ho interamente trascritto l’intervento del medico partenopeo, assieme alle domande che gli sono state poste dalla giornalista conduttrice dell’evento. Una lucida, impietosa analisi del cattivo stato di salute del sistema sanitario e delle scelte politiche che l’hanno provocata, da leggere, e su cui riflettere (g.i.).

Ecco la trascrizione.

*  *  *

Martina Toti, giornalista di Collettiva.it: “Qualche mese fa abbiamo visto immagini che hanno circolato e sono diventate virali sui mezzi di comunicazione: sembravano foto scattate in un ricovero di emergenza sotto le bombe, invece erano delle immagini del pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli di Napoli. C’era un’invasione di pazienti, di barelle, era tutto nel caos: a un punto di non ritorno, hanno denunciato i medici del pronto soccorso, che in segno di protesta avevano presentato le loro dimissioni in massa. Ecco Giuseppe Visone, medico che opera proprio in quel pronto soccorso. Lo saluto e a lui voglio chiedere: cos’è un punto di non ritorno per chi lavora in un pronto soccorso e per chi riceve quel servizio?”

Giuseppe Visone: “Buongiorno, grazie dell’invito. In modo molto sommesso e anche umile, vengo qua veramente da un punto estremo di questo paese; un punto in cui il tessuto sociale ha cominciato a lacerarsi e continuerà a lacerarsi ancora di più. La crisi del pronto soccorso, la crisi della emergenza non è la crisi di un piccolo segmento, è la crisi di un modo di stare insieme. In un pronto soccorso e nell’emergenza, non si garantisce semplicemente il diritto alla salute che è sancito dalla Costituzione, si garantisce il diritto alla vita di chi sperimenta la massima fragilità della sua esistenza, che è quella nella quale ognuno di noi si può trovare allorché gli capita un accidente imprevisto che va dall’incidente stradale all’ictus o all’infarto. Eventi come questi ci mettono di fronte al fatto che difendere il diritto dei fragili è difendere il nostro diritto perché siamo fragili tutti quanti. Se in questo Paese questo valore si è perso quasi del tutto, è cominciato proprio dal pronto soccorso, dai servizi di emergenza. Un sistema sanitario resiste o cade sul suo sistema di emergenza. Se io arrivo al pronto soccorso e non trovo chi mi deve assistere, il mio diritto è sospeso. In quel momento, io non posso decidere da chi farmi curare. Posso essere anche il più ricco, il più facoltoso del mondo, in quel momento la mia vita vale tanto quanto è competente ed organizzato il sistema che mi accoglie: altrimenti la mia vita non vale pressoché nulla.

Sapete che Napoli è una città complessa e complicata. Sono anni che a Napoli, noi del sindacato della Cgil, soprattutto della funzione pubblica proviamo a dire, a far capire certe cose. Siamo un po stanchi, a dire la verità, ma non ci sentiamo sconfitti.”

Martina Toti: ma cos’è che non funziona? il sistema di reclutamento? manca il personale? manca la struttura? 

Giuseppe Visone: “Non funziona il modello culturale, e non si può porvi rimedio con il modello organizzativo. Se il modello culturale che abbiamo ereditato e che purtroppo continuiamo a portare avanti è quello che il diritto collettivo è diventato il diritto del singolo – quindi una prevaricazione, non è più il diritto della collettività – allora noi possiamo fare tutti i modelli organizzativi del mondo, non ci riusciamo. Io sto in Cgil da medico è perché io sono un medico – e la parola medico non significa uno che sa tutto, ma uno che si mette tra l’ammalato e malattia, uno che fa da barriera tra l’ammalato e la sua malattia e quindi difende un diritto fondamentale – io sto in Cgil perché credo che il diritto sia quello da cui bisogna partire. Se non si parte dal diritto, non andiamo da nessuna parte. 

La crisi del pronto soccorso, detto in due parole, è legata al fatto che i pronto soccorsi sono stati ghettizzati da un sistema sanitario in cui si è introdotto un seme velenoso che oggi ha prodotto il mostro, un uovo di drago, che è quello per cui in sanità si ammette il profitto: ma i diritti non ammettono profitti.

Una volta introdotto questo seme velenoso, il sistema ha ghettizzato sempre di più quello che non era diciamo in qualche modo produttivo, quello che non era monetizzabile, in questo caso l’emergenza. Quindi gli stessi ospedali hanno chiuso in un ghetto i pronto soccorsi.

Stiamo vivendo un momento in cui ci si è accorti che i medici sono troppo pochi in questo paese, la domanda di medici è molto superiore all’offerta. Si è aperto finalmente un varco in questi pronto soccorsi e tutti quelli che potevano andare via sono andati via. Se ponessimo una domanda a tutti i medici dei pronto soccorsi del paese, chiedendo loro se vogliono andare via domani mattina, vi dico che al 90 per cento risponderebbe di sì, e quindi il sistema sanitario di questo paese andrebbe a farsi benedire.”

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Author: Geppe Inserra

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