Guardate con attenzione le cartoline di Foggia che regaliamo ad amici e lettori del blog, nella puntata odierna di Memorie Meridiane. Se siete nonni o genitori, mostratele ai vostri nipoti e ai vostri figli.
A prima vista non offrono nulla di trascendentale. Invece hanno tanto da insegnarci. Risalgono al 1959 e al 1961, e raffigurano rispettivamente piazza Maria Grazia Barone, con l’edificio dell’omonima Fondazione e i giardini pubblici da poco completati (foto sopra), e piazza San Francesco d’Assisi, con il monumento inaugurato qualche anno prima (foto alla fine dell’articolo).
Le due immagini – e sta in questo il loro valore – richiamano alla memoria dei foggiani di oggi una verità che, forse, i più anziani hanno dimenticato e i più giovani non hanno mai conosciuto: una volta Foggia era una bella città, con giardini e piazze ordinate e piene di verde, che veniva rispettato dalla cittadinanza e veniva percepito come bene comune.
L’opera Maria Grazia Barone e piazza San Francesco raccontano anche due belle storie di riuscita cooperazione tra pubblico e privato. Il terreno adibito a giardino pubblico era stato inizialmente acquistato dalla Fondazione, che lo donò alla civica amministrazione perché lo destinasse a verde pubblico. Una scelta coerente con l’intuizione dell’ing. Carlo Celentano, progettista dell’edificio, che aveva trasformato i circa due ettari di terreno che lo circondano in un autentico polmone verde, mettendo a dimora una pineta e altri alberi, anche esotici.
Anche nel caso del monumento dedicato a San Francesco, opera dell’avvocato e scultore Antonio Saggese, quella che oggi si definirebbe società civile, svolse un ruolo importante, promuovendo la realizzazione del complesso monumentale. L’idea fu prontamente accolta dal sindaco dell’epoca, Giuseppe Pepe: la realizzazione del monumento consentì di riqualificare l’intera piazza, sottraendola all’uso poco edificante che l’aveva fino ad allora caratterizzata, di stazione per pullman e vetture adibite a trasporto pubblico.
Le due piazze si presentano oggi sensibilmente degradate: quasi del tutto prive di verde, parzialmente cementificate, almeno nel caso di piazza Maria Grazia Barone. Il paragone tra ieri ed oggi è impietoso: fa specie e desta una certa commozione vedere, nella cartolina di piazza San Francesco, le rose in primo piano.
Le due immagini del passato simboleggiano una Foggia che voleva crescere, sanando le ferite lasciate dalla guerra, attraverso la bellezza, con piazze e giardini curati, vissute dagli abitanti, tangibile espressione di amministratori e cittadini che “si prendevano cura” della città.
Per dirla tutta, e senza giri di parole, Foggia una volta era bella, e oggi non lo è più. Perché? Il mio amico Davide Leccese, che al tema ha dedicato interessanti e approfondite riflessioni, risponderebbe che Foggia si è abbruttita perché si è abruttita.
Il filo del ragionamento va cercato nella sottile differenza tra i due termini. Abbruttire significa diventare brutto. Abruttire significa essere bruti, mancare di rispetto verso il prossimo. Il peggioramento estetico della città è stato accompagnato dal suo degrado civile, culturale, politico.
La nostalgia è un sentimento sterile se si limita a contemplare il passato. Può, al contrario, diventare una molla per costruire il futuro, se ci aiuta a riflettere sul passato, a capire come eravamo e perché eravamo migliori di quelli che siamo diventati.
Soprattutto può aiutarci a ricordare (e a farlo vedere a nipoti e figli) che Foggia non è sempre stata brutta, come adesso. Che c’è stato un tempo in cui era perfino bella. E che potrebbe tornare ad esserlo se riusciremo a contrastare il nostro abbrutimento che provoca il suo abbruttimento.
Geppe Inserra
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