Fosse del grano, lo scempio continua

Le fosse granarie rappresentavano una volta uno dei più caratteristici aspetti della città di Foggia, ed uno dei suoi più forti tratti identitari. Nel Piano delle Fosse se ne aprivano ben mille: un paesaggio e un microcosmo economico che attrassero ed affascinarono viaggiatori illustri, come il francese Charles Yriarte e in epoca più recente Giuseppe Ungaretti, che giudicò il Piano e le sue Fosse degni di essere proclamati monumento nazionale.

L’appello del grande poeta ermetico rimase però inascoltato: la distruzione del Piano delle Fosse costituisce uno dei più clamorosi esempi di damnatio memoriae in una città la cui storia è, purtroppo, lastricata da storie come questa.

Ad avviare la lottizzazione edilizia dell’area fu il regime fascista, che proprio nel bel mezzo del Piano, nel 1938, eresse il Palazzo dei Contadini (l’attuale sede della Cgil). La costruzione dell’edificio fece da apripista alla cementificazione del tratturo su cui sorgevano le fosse (l’attuale via della Repubblica). Negli anni della ricostruzione post-bellica, le fosse scomparvero per far posto al cemento di  palazzi e grattacieli che avrebbero irreversibilmente trasformato il volto e l’aspetto della parte più antica della città.

Si decise di conservarne solo una, a memoria del passato, ed è quella che si trova a qualche metro dalla Basilica di San Giovanni Battista, nell’attuale Piazza Piano della Croce, toponimo che ha sostituito quello antico di Piano delle Fosse.

Sarebbe lecito aspettarsi da parte delle istituzioni culturali e locali, da parte del mondo culturale e accademico, un’attenzione maggiore verso questa ormai unica testimonianza del passato. Invece, anche la storia dell’ultima fossa granaria ripercorre quella delle altre: incuria, abbandono, oblio.

Nella primavera del 2000, la Fossa venne restaurata ad opera dell’Assessorato ai Beni Culturali della Città di Foggia e del Lions Club Giordano. Iniziativa lodevole nelle intenzioni, ma discutibile nella sua concreta realizzazione.

Per consentire ai visitatori di ammirare l’interno della fossa, la stessa venne ricoperta da una lastra trasparente di plexiglas o vetro, soluzione molto in uso in quegli anni, per la messa in sicurezza e la fruizione di beni culturali, ma che quasi subito si è rivelata inadeguata.

La copertura di policarbonato o vetro trasparente ha generato infatti il classico effetto serra, stimolando la produzione di vegetazione spontanea nella Fossa granaria, che è stata dopo qualche anno – come documentano le fotografie – completamente invasa dalle erbacce, che l’hanno di conseguenza sottratta alla vista ed alla fruizione.

Discutibile anche il criterio con cui è stata redatta l’epigrafe che celebra l’avvenuto restauro, il cui testo recita: «Comune di Foggia – Assessorato  Beni Culturali / Lions Club Giordano Foggia / 30 maggio 2000 / Lions Club». E poi più nulla. Incredibilmente, mentre viene citato con una certa enfasi lo sponsor del restauro, ci si è dimenticati di dire cos’è il monumento restaurato, la Fossa granaria, appunto.

Come mi ha fatto rilevare mio cugino, Pasquale Episcopo, noto alla cittadinanza per il suo impegno per la riscoperta dell’identità fridericiana di Foggia e per la stele che dovrebbe ricordarla, nel sito non c’è alcun riferimento alla Fossa granaria e a ciò che essa rappresentava. Nel ringraziarlo per la segnalazione, confermo: sul piazzale della Basilica di San Giovanni in cui si apre la fossa, non c’è un pannello, una didascalia, che dica di che si tratti e ne esalti l’importanza. Solo la firma dei promotori del discutibile «restauro». Il tutto nell’assordante silenzio della competente Soprintendenza.

C’è da aggiungere che già dal 2000 il ricorso a quel tipo di copertura veniva giudicato a rischio. Nel 1994, il pretore di Perugia aveva disposto il sequestro e la rimozione della cupola di plexiglas che sormontava la Fontana Maggiore scolpita da Giovanni e Nicola Pisano: «Quelle lastre di policarbonato più che una difesa sono un pericolo: con il surriscaldamento dei raggi solari è come lasciare la Fontana Maggiore a cuocere dentro un forno a microonde», aveva sentenziato il magistrato.

Però, una cosa è la monumentale fontana perugina, ben altra la piccola fossa granaria foggiana sopravvissuta allo scempio del dopoguerra, per restare essa stessa vittima di un ulteriore scempio. Per evitare che si giungesse alla desolante situazione attuale sarebbe bastato disporre periodiche e nemmeno troppo costose manutenzioni, che però non sono state eseguite. Tra l’altro, la lastra trasparente, di plexigas o vetro che sia, è danneggiata, e potrebbe rappresentare un pericolo per la pubblica incolumità.

In ogni caso, si tratta di uno spettacolo indecoroso, per la città, per il suo passato, per la sua identità.

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Author: Geppe Inserra

4 thoughts on “Fosse del grano, lo scempio continua

  1. Carissimo Geppe,
    condivido pienamente quanto ripportato nell’articolo sull’ultima “fossa granaria”.
    Purtroppo la nostra classe dirigente che noi mandiamo a gestire il bene pubblico al Comune e la cosiddetta elite dell’intelligentia foggiana “asserragliata”, a che titolo non si sa, nei club service, poco o nulla sanno della loro storia dove l’ultima “fossa” è muta e basita testimone di questa crassa ignoranza. Muta testimone della ragion d’essere della nostra città e del nome stesso di questa nostra dissestata “terra”. Sono a disposizione per qualsiasi iniziativa si volesse intraprendere a riguardo. Ovviamente mi riferisco al ripristino della “fossa” ed all’apposizione di una seconda targa esplicativa. Certamente non mi riferivo al disperato tentativo di far entrare un pò di sale nelle zucche di……… certunu. Ciao Geppe.

  2. A ben ripensarci, ho profonda vergogna di me stesso perchè avevo amaramente commentato la cosa, ma poi…. non ho fatto nulla. Eppure sono profondamente legato a questa mia città a cui mi lega un profondo sentimento di amore-odio. devo essere stato contagiato da quel virus malevolo che è l’indifferenza….. e non ho giustificazioni da opporre.

  3. In pratica non l’hanno conservata, l’hanno rovinata. La fossa doveva rimanere chiusa con la colonnina segnaletica vicina, intorno un giardinetto e un cartellone con lo schema e la storia.

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