Il “grano cotto”: non solo dolce ma mito

La società dello spettacolo ha trasformato tutto in show, compresa l’arte culinaria. I contest gastronomici registrano gli stessi indici d’ascolto delle partite di calcio. Gli chef sono diventate pop star. Questa esasperata spettacolarizzazione ci fa dimenticare che, spesso, dietro ad una pietanza, ad un dolce non c’è soltanto l’estro o il genio di un masterchef, ma la cultura popolare con le sue radici profonde.

È il caso del grano cotto, dolce tipico della festa dei defunti. Non c’è piatto come u cicc cutt che vanti origini che affondano nella notte dei tempi: la cultura classica e i simboli della civiltà pagana e cristiana.

Diversamente da quanto si crede, non si tratta di una tradizione solo foggiana o solo pugliese. Con la denominazione di colva, o coliva, o colliba, il dolce è presente praticamente in tutto il resto della Puglia e del Mezzogiorno, con particolare riferimento a Basilicata, Calabria e Sicilia. E non solo. La “mappa” del grano dei morti disegna i confini di quella che era una volta la Magna Grecia, e proprio di origine ellenica sembra essere questo dolce, arcaico e archetipico.

Gli ingredienti – il grano, la melagrana – e il contesto – il ponte con l’aldilà – evocano brandelli di memorie liceali.  Ricordate il mito di Persefone (o Proserpina, nella versione latina), la bella figlia della dea delle messi e della fertilità, Demetra (Cerere), rapita da Plutone,  dio degli Inferi, per mitigare la sua solitudine?

La storia racconta che per vendicarsi del ratto della sua diletta figlia, Demetra provoca siccità e carestia, riducendo alla fame gli incolpevoli mortali. Mosso a pietà, Giove ordina a Plutone di liberare Persefone, ma prima di obbedire, il dio delle tenebre offre alla sua amata, che li accetta, alcuni chicchi di melagrana. La ragazza non sa che il frutto rosso ha il potere di legare per sempre agli inferi chi lo mangia: la bella Persefone può quindi tornare sulla terra, ma soltanto per sei mesi l’anno. E così, il mito spiega il perché delle stagioni, e dell’alternanza di caldo e freddo.

In altre versioni del racconto, la kollyva (che è poi il nome greco del dolce) era invece il piatto offerto da Trittolemo, re di Eleusi, a Plutone per convincerlo a liberare Persefone e così porre fine alla carestia. La leggenda aggiunge che il dolce era stato preparato con le ultime riserve di cibo.

La kollyva viene tuttora consumata in Grecia, come succede da noi in onore dei defunti, nella commemorazione dei cari estinti che la religione ortodossa celebra due volte l’anno, di sabato: quello che precede la domenica del Carnevale e quello prima della domenica di Pentecoste. Si prepara e si offre anche in occasione dei funerali o messe in suffragio.

Com’è spesso accaduto, la simbologia cristiana si è dunque sovrapposta a quella pagana: il grano è per eccellenza simbolo di morte e di rinascita. Nel vangelo di   Giovanni si legge: “Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore, invece, porta molto frutto.”  Secondo gli esperti, il vino simboleggia il sangue, così come il melograno la fertilità.

In provincia di Foggia il grano cotto, con la denominazione dialettale di cicc cuott viene preparato a Foggia, Lucera, Monte Sant’Angelo e in altri centri del Gargano.

È un dolce povero, che utilizza  ingredienti tipici della civiltà contadina: il grano (che va tenuto in ammollo almeno da 24 ore prima) che una volta cotto (i tempi variano in relazione alla qualità del frumento utilizzato, per il grano tenero basta anche una decina di minuti, ma è il caso di assaggiare, per non sbagliarsi) viene condito con vino cotto e con altri ingredienti che variano, anche sensibilmente, in relazione alle usanze locali.

Nel suo monumentale Gargano in Tavola, Grazia Galante suggerisce di “far bollire per sette minuti, spegnere e avvolgere la pentola con un intero giornale, coprirla con un panno di lana e lasciar raffreddare naturalmente.”

I chicchi di melagrana compaiono in tutte le versioni, così come le noci, che vanno sminuzzate. Per aromatizzare c’è chi usa la cannella, ma ho trovato versioni più antiche che si limitavano semplicemente allo zucchero. A Foggia è particolarmente diffuso anche l’uso del cedro candito, anche questo da triturare.

Il cioccolato (rigorosamente fondente, da tagliare a pezzettini) è probabilmente un’aggiunta recente. Le versioni più arcaiche prevedevano fichi secchi, anche questi elementi poveri, ed anche questi sminuzzati.

Nel resto della Puglia è diffusa l’usanza di condire la colva con chicchi d’uva nera tagliati a metà, e di aggiungere alle noci le mandorle, naturalmente tritate.

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La kollyva greca

La  kòllyva greca prevede sapori ancora più spartani, che virano verso l’agrodolce. Non c’è il vino cotto, e il grano viene condito, oltre che con i canonici chicchi di melagrana, noci e mandorle tritate,  con uvetta, prezzemolo tritato, pangrattato, e zucchero. L’effetto cromatico è particolare, per il candore dello zucchero a velo, interrotto dal rosso dei chicchi di melograno e il verde del prezzemolo. Oltre che in Grecia, il dolce viene consumato anche nei paesi balcanici dov’è diffusa la religione greco-ortodossa.

Geppe Inserra

 

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Author: Geppe Inserra

2 thoughts on “Il “grano cotto”: non solo dolce ma mito

  1. Molto interessante, anche per noi che siamo lontani oramai da anni, è obbligatorio fare il grano cotto con il vin cotto fatto in casa e non comprato, complimenti ancora

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