Spulciare i vecchi giornali non è un mero esercizio di nostalgia, né serve soltanto a recuperare tracce del passato. Capire come siamo stati serve a capire il presente, soprattutto quando questo è decisamente peggiore rispetto al tempo che fu.
Mi sono sorpreso a pensarlo stamattina, imbattendomi nella pagina foggiana della Gazzetta del Mezzogiorno del 20 gennaio del 1970. Parliamo, cioè, di più di mezzo secolo fa.
E troviamo una Foggia ed una Capitanata che pensavano, discutevano: il comune capoluogo che organizzava una tavola rotonda sul centro storico con la partecipazione di fior di intellettuali e tecnici, la Democrazia Cristiana che a Bovino rifletteva sulle prospettive del Subappennino Dauno, chiamando a raccolta le sue migliori energie.
Il titolo che ha maggiormente attirato la mia attenzione riguarda però la cronaca quotidiana: “Strade rotte, corteo di abitanti del rione San Ciro“, recita testualmente.
Allora vivevo proprio in quella zona (in cui ho scelto di tornare da qualche anno) e posso assicurarvi che lo stato delle strade era certamente migliore di quello attuale, tenuto conto che il quartiere si andava formando, ed era fatale che molte vie non fossero ancora asfaltate.
Ma i cittadini facevano sentire la loro voce, e scendevano addirittura in piazza per rivendicare il loro diritto ad una viabilità decente, venendo prontamente ricevuti, a Palazzo di Città, dall’allora sindaco Vittorio Salvatori, lo stesso che nella sala consiliare del Municipio aveva convocato associazioni, intellettuali, architetti, ingegneri per riscoprire e valorizzare la vecchia Foggia. Alla discussione presero parte, tra gli altri, annunciando il loro personale impegno per affrontare i problemi emersi, intellettuali del calibro di Pasquale Soccio e Ugo Jarussi.
Salvatori aveva raccolto le sollecitazioni di un’associazione, gli amici della Taverna del Gufo (guidati da quell’indimenticabile personaggio che è stato Arnaldo Santoro) e aprendo i lavori aveva sottolineato come l’amministrazione fosse sensibile al confronto costante con i cittadini, come riferisce il cronista della Gazzetta del Mezzogiorno, Marco Laratro: “Si sta seguendo un indirizzo abbastanza nuovo – ha detto il Sindaco – i problemi sono discussi prima a livello di base, e vengono poi portati, per gradi ad un esame più approfondito e qualificato.”
Già, la base…
Che i problemi dell’oggi siano provocati anche da una classe dirigente non propriamente all’altezza della situazione è una tesi difficile da contrastare. Ma non è che ci sia anche un problema di “base”?
Non rimettiamo ai posteri l’ardua sentenza, ragioniamone adesso e subito. Che ne pensate, cari amici e lettori di Lettere Meridiane?
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Il problema, caro Geppe, è l’indifferenza della gente a tutti i livelli, a cui si aggiunge il rapporto interrotto, spezzato, tra la base e le istituzioni. Quell’indifferenza è diventata assuefazione. Non ci si accorge più di quello che succede attorno, strade rotte, immondizia e discariche, degrado etc. perchè ne siamo diventati parte. E’ l’inferno dei viventi, per dirla con Calvino. La pandemia è la scusa collettiva per non fare nulla. E invece è collettivamente che dovremmo agire e reagire. Pochi giorni fa sulla pagina facebook di Magna Capitana ho parlato del premio dei due presidenti, Mattarella e Steinmeier, per le città gemellate. Un premio che Foggia e Goeppingen potrebbero vincere e che avrebbe dovuto scatenare la mobilitazione generale. Non mi risulta stia succedendo. Di seguito quello che ho scritto:
Ebbene confessiamolo. Quando abbiamo appreso la notizia abbiamo subito pensato che il premio, i due Presidenti, l’hanno deciso apposta per Foggia e per Göppingen. Ora bisognerà mettere in campo una o più proposte valide da candidare al concorso. Bisognerebbe dar vita ad un brainstorming collettivo, coinvolgendo prima di tutto le scuole di ogni ordine e grado, e poi le associazioni e poi le istituzioni, con l’obiettivo comune di individuare progetti da condividere con la città gemellata, ma anche con i comuni della nostra provincia, uniti in rete come nel nostro logo.
QUANDO FOGGIA SORRIDEVA E PARTECIPAVA…
Geppe Inserra si domanda se “i problemi dell’oggi siano provocati anche da una classe dirigente non propriamente all’altezza della situazione è una tesi difficile da contrastare. Ma non è che ci sia anche un problema di “base”?”.
Proviamo a riflettere sulla domanda posta.
“IL VERTICE E LA BASE…
In una democrazia rappresentativa, il potere è nelle mani degli eletti che possono anche non rispettare il mandato e le promesse fatte alla base.
Il problema è sapere se la base conta di più del vertice e attribuire delle responsabilità…
Il vertice e’ stretto e lì si trovano tutti coloro che “contano”.
La base è ampia e non ci sono persone che “contano” ma essa è generalmente l’80% di qualsiasi piramide sociale, economica (principio di Pareto)…
Precisiamo che la politica non conta tutto perché essa è relazionata almeno con l’economia e la tecnologia.
La democrazia partecipativa al contrario di quella rappresentativa, attribuisce responsabilità anche alla base e richiede perciò una base acculturata e capace di attribuire dei valori.
Possiamo dire che in questa terra la democrazia non abbia fatto abbastanza per la crescita della cultura in ogni sezione della piramide, sino alla base?
Direi che da noi al Sud è stato quasi scientificamente mantenuto con la base un rapporto verticistico e paternalista favorito da una crescita economica ridotta che ha determinato una base non abbastanza acculturata tanto da favorire i demagoghi, lo scambio del voto, e con essi indirizzi politici che sulla spinta di certa classe imprenditoriale ha abbruttito la città e non risolto problemi giganteschi determinati in primo luogo da due forme di colonialismo:
1. l’una nazionale che ha trasformato il Sud in un mercato di prodotti e servizi del Nord, sostenuto dalla politica dei redditi
2. l’altro regionale all’interno del Sud che ha portato le città più grandi a copiare quello nazionale.
Di fronte a sistemi siffatti è difficilissimo per la politica meridionale compresa quella foggiana orientare lo sviluppo economico e sociale.
Occorrono pertanto scelte coraggiose.
Quando passato e presente si confondono non si ha più il contatto con la realtà.
Le scelte da compiere sono però evidenti e decisive: stanare le due forme di colonialismo e combatterle per poter uscire dall’angolo nel quale ci hanno cacciato”.