Si potrebbero versare fiumi d’inchiostro sull’aberrante scelta con cui le autorità del Ventennio decisero di demolire in un colpo solo la Chiesa di Sant’Elena e l’Orfanotrofio Maria Cristina di Savoia per far posto al Palazzo degli Uffici Statali. Questa vicenda è la madre di tutti gli scempi edilizi che si sarebbero consumati nei decenni a venire, l’innesco di una trafila di interventi di sostituzione edilizia selvaggia, che ha compromesso il paesaggio urbano e l’identità stessa della città, forse perfino di più di quanto non abbiano fatto i bombardamenti.
Va detto che dietro questa storia non c’è la speculazione edilizia, ma piuttosto un certo modo di intendere la città, come vi racconteremo.
La bella stampa che offriamo in questa puntata di Memorie Meridiane, la rubrica del blog in cui regaliamo ad amici e lettori gadget digitali del nostro passato, dimostra che la Chiesa e l’Orfanotrofio componevano un angolo della città di notevole bellezza, pur se essi stessi erano stati al centro, nell’Ottocento, di polemiche e perfino di controversie giudiziarie.
La costruzione dell’Orfanotrofio, disposta dall’Amministrazione Provinciale, proprio a ridosso della Chiesa, aveva “oscurato” il tempio, privandolo della luce. La Confraternita della Madonna della Croce aveva adito le vie legali, e la Provincia si era fatta carico di provvedere a proprio spese al restauro e alla ristrutturazione della storica Chiesa dove, secondo la tradizione, nel 1087 era stata rinvenuta l’icona della Madonna (di qui il cambio nella intitolazione, da Chiesa di Sant’Elena a Madonna della Croce).
Il progetto era stato affidato a un nome illustre dell’architettura dell’epoca: Luigi Oberty, che si era occupato dell’Orfanotrofio e del pronao della Villa Comunale.
Tutto questo accadeva nel 1830. Più o meno un secolo dopo, la demolizione.
La scelta del sito su cui edificare il Palazzo degli Uffici Statali non fu scevra da polemiche, anche infuocate. Inizialmente era stato individuato il sito di corso Garibaldi, nei pressi dell’Istituto delle Marcelline, scelta che sarebbe stata senz’altro più saggia ed avveduta per almeno due ragioni: la vicinanza di altri uffici pubblici, come quelli del Comune, della Prefettura e della Provincia, l’opportunità di bonificare almeno in parte il Rione Caprai.
La spuntò invece Piazza Lanza, scelta di cui fu propugnatore l’ing. Vito Ciampoli, esponente di spicco del Sindacato Provinciale Fascista Ingegneri, secondo il quale era piazza Cavour il naturale centro della città, che andava pertanto “nobilitato” con l’imponente edificio, e non Corso Garibaldi.
Abruzzese, consulente dell’Amministrazione Comunale, Ciampoli sarebbe stato anche sindaco del capoluogo dal 1950 al 1952, eletto nelle liste dell’Uomo Qualunque.
Qualche mese dopo, la querelle sull’ubicazione del Palazzo degli Uffici Statali, Ciampoli si sarebbe distinto per un’altra dura polemica. Era fermamente contrario alla riqualificazione di Borgo Scopari sulle cui ceneri sarebbe sorta via dell’Impero (l’attuale via Dante): “quel “mozzicone” di strada, lungo cento metri (dico cento metri), largo tredici, con portici alti m. 4,50 e fabbricati alti m. 26, bloccato alle due estremità, si potrà, tutt’al più, chiamare “Strada con i paraocchi””, ebbe a scrivere su un giornale locale. In questo caso, però, non la spuntà, e Borgo Scopari venne bonificato.
Nel confronto “tecnico” sul Palazzo degli Uffici, così come nel caso di Borgo Caprai, restò del tutto sullo sfondo la questione sociale e culturale. Si discusse del futuro, ma non del passato, senza alcun riguardo per i pezzi di città che si andavano a sostituire.
O forse il buon ingegner Ciampoli doveva avere qualche conto in sospeso con gli antichi palazzi foggiani. Quale alternativa alla demolizione della Chiesa della Madonna della Croce e dell’Orfanotrofio, propose infatti l’abbattimento di Palazzo Dogana, ipotesi che per fortuna venne respinta.
Il solo che tentò di opporsi al progetto fu l’allora vescovo di Foggia mons. Fortunato Maria Farina, che in un primo momento negò il nulla osta alla demolizione della Chiesa, che poi concesse. Tra le garanzie che il presule pretese per perfezionare l’accordo, il recupero e il trasferimento dell’affresco dalla Madonna.
Qui sotto potete scaricare in alta risoluzione l’incisione, digitalmente restaurata, della Chiesa e dell’Orfanotrofio, disponibile anche in versione colorizzata.
Per guardarle o scaricarle, cliccare sulle immagini in miniatura.
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Collegamenti utili:
Foggia che non c’è più: la Chiesa di Sant’Elena
Le puntate precedenti di Memorie Meridiane
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La demolizione dell’edificio “Orfanotrofio provinciale Maria Cristina di Savoia” rientra nella storia delle dinamiche urbane, dove edifici pur anche di un certo decoro vengono demoliti per far luogo ad altri, che pare abbiano un maggiore carattere di necessità.
La demolizione certamente costituisce un atto di “violento” cambiamento della “facies urbana”; ma non è affatto detto che tale cambiamento debba essere un cambiamento in peggio della stessa “facies urbana”, con buona pace dei passatisti.
Tutta la storia dell’architettura delle città hanno sempre vissuto di abbattimenti e ricostruzioni e anche modifiche sostanziali di manufatti e luoghi di maggior pregio dell’Orfanotrofio provinciale di Foggia.
Basti pensare alla storia della basilica Costantiniana poi diventata chiesa di San Pietro in Roma.
A ben guardare la storica immagine che riporta la chiesa di Sant’Elena e l’Orfanotrofio provinciale, va fatta una triplice considerazione: una di carattere storico, l’altra di carattere urbanistico, e l’altra di carattere architettonico.
Da queste tre considerazioni si possono desumere i punti di forza ed i punti debolezza dell’intervento proposte in epoca fascsista .
1 – la chiesa di Sant’Elena (demolita) senz’altro rappresentava un’istanza storica in quanto la più antica notizia di questa chiesa, che poi prese il nome di Santa Maria della Croce, si trova nella Bolla di Papa Clemente III del 20 marzo 1190. Non altrettanto invece si può dire per il manufatto dell’Orfanotrofio Provinciale in quanto risalente soltanto all’anno 1830 e comunque va detto che nel 1936 (anno di inizio della costruzione del palazzo degli Uffici Statali) l’Orfanotrofio Maria Cristina veniva considerato per stile e per epoca, quasi un edificio coevo.
2 – Da un punto di vista urbanistico, dall’iconografia dell’epoca, se si esaminano con attenzione la casualità dell’intervento dell’edificio provinciale rispetto alla chiesa di Sant’Elena, il suo non risolvere l’attacco alla chiesa stessa quasi a dire io sono io e voi non siete un ca………, il suo enorme fuori scala rispetto alla chiesa, il non relazionarsi nel prospetto posteriore a ciò che rappresenterà per la città nel novecento il pronao della villa comunale e piazza Cavour, mi fa certamente affermare che non è un bell’esempio di urbanistica corretta. (Se nell’ottocento si può già parlare di urbanistica).
3 – Da un punto di vista architettonico, va detto che il Palazzo degli Uffici Statali è stato progettato da un grande architetto Carlo Vannoni, già autore del Palazzo del Ministero dei Lavori Pubblici di Bari (1932) e del Palazzo del Ministero delle Finanze sempre a Bari, e non l’ultimo arrivato. Tale progetto come è evidente è un bell’ edificio e da un punto di vista architettonico e da un punto di vista urbanistico. Esso in fatti costituisce con gli altri edifici (opere pubbliche) costruiti all’epoca del Fascismo e con il piano Albertini l’ossatura della Foggia moderna. Nella città si iniziava a disegnare quella che sarebbe stata piazza Cavour , punto di snodo della città umbertina del viale della stazione ed ottocentesca di corso Vittorio Emanuele e, con via 4 Novembre, delle altre grandi attrezzature urbane – Tribunale, Caserma Miale e la città studi di Marcello Piacentini a piazzale Italia.
Mi sembra quindi che l’intervento del Palazzo degli Uffici Statali abbia molti più punti di forza che di debolezza, anzi è certamente un intervento riuscito valido a disegnare il volto di un brano della città ed a costituirne una individualità e riconoscibilità urbana.