La vicenda della seconda stazione di Foggia – ormai declassata a semplice fermata – è un sintomo del male sottile (e mortale) che angustia Foggia e la Capitanata: l’assenza, nella classe dirigente e nell’opinione pubblica, di una visione condivisa del futuro.
Quando si cominciò a parlarne – come ha sagacemente ricordato ieri nella intervista concessa a Lettere Meridiane, il presidente del comitato Un baffo per Foggia, Luigi Augelli – ci fu una levata di scudi, unanime, contro l’ipotesi prospettata da RFI. Si temeva, giustamente, che il bypass avrebbe marginalizzato l’attuale stazione ferroviaria. Alla presenza dell’allora ministro Di Pietro e dei governatori di Puglia e Campania, Vendola e Bassolino, si raggiunse un accordo che sanciva che il bypass avrebbe interessato soltanto il traffico merci, e non quello passeggeri.
La bretella, almeno come prospettata nel progetto originario, non venne più realizzata (con conseguente, cospicuo risparmio di fondi pubblici, destinati poi ad altri territori) perché nel frattempo l’azienda ferroviaria pensò bene di rispolverare il vecchio “baffo” (il cosiddetto “ex bivio Cervaro”) che lambisce l’abitato di Foggia, passando sotto il cavalcavia di via Bari.
Ad avvedersi di quanto stava per succedere a a protestare furono in pochi: lo stesso Luigi Augelli, il consigliere comunale Pasquale Cataneo. Visto che il famigerato baffo che ormai sfiorava l’abitato foggiano, RFI si sentì autorizzata a rilanciare il progetto della seconda stazione, e non solo. I lavori di ristrutturazione della bretella hanno comportato la realizzazione di infrastrutture, come l’enorme quadrante posto proprio a fianco al cavalcavia, che impediranno in futuro l’eventuale raddoppio del ponte.
Quel progetto non fu negoziato con gli attori sociali. Venne avallato dalla Regione e realizzato. Punto.
E l’opinione pubblica? Come sempre si divideva. Litigava. Da un lato i sostenitori dell’ormai anacronistica idea che i treni dovessero fermarsi nella vecchia stazione, dall’altro quelli che erano comunque contrari al progetto della seconda stazione.
Nel frattempo, senza un confronto serio con il territorio, RFI procedeva come un treno, e purtroppo non è solo un gioco di parole. Il nodo ferroviario di Foggia veniva progressivamente privato di importanti uffici ed infrastrutture. Dulcis in fundo, con l’entrata in esercizio del baffo, al danno si aggiunse la beffa: non solo i treni non entravano più nella stazione di Foggia, ma non si fermavano neanche, perché la seconda stazione non c’era, e non c’è.
Solo a questo punto, la classe dirigente cominciò ad occuparsi della faccenda. RFI si impegnò alla realizzazione di una infrastruttura che consentisse ai foggiani di utilizzare i treni dell’alta velocità. Però non si trattava più della seconda stazione inizialmente promessa. Di una semplice fermata: la classica montagna che partoriesce il tavolino
Foggia è stata di fatto estromessa dalla partita dell’alta velocità. È evidente che le responsabilità maggiori vanno ascritte a RFI. Ma come foggiani, un interrogativo abbiamo il dovere di porcelo: sarebbe finita così se avessimo avuto una visione unitaria, e ci fossimo sforzati di perseguirla? A voi, cari amici e lettori, la risposta.
Geppe Inserra
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