Nell’Italia del 2021 può succedere che un malcapitato cittadino di questa improbabile Italia Digitale resti senza linea telefonica e senza connessione internet per quindici giorni e più, vittima di guasti irrisolti, errori tecnici, inefficienza dei servizi di assistenza tecnica, rimpalli di responsabilità.
Sta succedendo a me. Non mi piace parlare delle mie cose sul blog, ma dato che sto vivendo un calvario che non augurerei a nessuno, mi sembra un dovere civile portarlo alla pubblica conoscenza.
Tutto comincia quando, l’1 dicembre scorso, accetto la proposta del mio provider, Fastweb, di migrare alla fibra ottica. Da qualche mese, OpenFiber ha installato nel mio condominio gli apparati per la fibra. Perché dunque non approfittare di questa opportunità, mi dico? I miei nipoti sono entusiasti. Seguono da casa le lezioni in DDI. La connessione non è sempre delle migliori, con la fibra andrà certamente meglio.
Potessi tornare indietro, non lo rifarei… Ed ecco la storia, questa poco edificante storia di malainformatica.
Con OpenFiber, che si occupa per conto dell’operatore telefonico della materiale installazione della fibra ottica e della configurazione degli apparati, fissiamo l’appuntamento per la fatidica migrazione: il 21 dicembre.
I tecnici dell’impresa appaltatrice si presentano puntualmente. L’impianto della fibra in casa è piuttosto rapido. Al momento di installare e configurare il router, però, gli addetti riscontrano un guasto alla rete in fibra esterna al condominio. Smontano il router e se ne vanno. Intanto, hanno staccato la vecchia linea e la vecchia connessione, che non funzionano più. Sono isolato.
Inizia il tormentone delle telefonate quotidiane a Fastweb, da cui ricevo sempre risposte generiche, evasive, dopo estenuanti attese mitigate dalla musichetta che ormai conosco a memoria.
Il solo che mi degni di qualche attenzione è un giornalista dell’ufficio stampa di OpenFiber che prende a cuore la vicenda.
Mi risolvo a presentare un reclamo. Ed è così che faccio la conoscenza di Marvin, il bot Fastweb “sempre a disposizione degli utenti e sempre pronto ad aiutarli”. Non nutro particolare fiducia sulla intelligenza di bot e algoritmi, ma il caro Marvin è impareggiabile. Gli pongo un quesito facile facile: “come si presenta un reclamo?”. Marvin, che è dotato di un’intelligenza modesta ma è capace di sentimenti forti, si rammarica replicando: “Mi dispiace per quello che stai dicendo, ma posso provare ad aiutarti se selezioni una delle opzioni di qui sotto.” Inutile dire che le “opzioni qui sotto” altro non sono che un rinvio alle pagine di MyFastweb, il portale che dovrebbe occuparsi dell’assistenza tecnica e che Marvin non riesce a instradare l’utente verso le modalità di presentazione del reclamo.
Lo presento comunque, attraverso pec, utilizzando un modello messo a disposizione da un’associazione di consumatori, chiedendo l’immediata attivazione della fibra ottica o, in subordine, il ripristino di quella vecchia. Accolgo anche la sollecitazione a rivolgermi a loro per ottenere consulenza e assistenza legale. Promettono una risposta rapida, che sto ancora aspettando. Ma torniamo alla cara fibra ottica e alla mancata migrazione.
Martedì 30 dicembre, vengo contattato da OpenFiber, che prende atto della situazione e manda nuovamente un tecnico a casa mia. Questi si presenta subito, installa l‘ont (un dispositivo che converte il segnale ottico in impulsi elettrici) e il router, ma non riesce a configurarlo perché – mi dice – nel frattempo Fastweb ha cambiato alcuni codici.
Mi fa firmare un verbale dal quale si evince che non sono in grado di fare telefonate e di navigare in rete e va via, precisando che si tratta comunque di un problema di poco conto che Fastweb può facilmente risolvere in remoto.
Ma non è così. Il calvario riprende. L’assistenza tecnica di Fastweb, quando non chiude la chiamata dopo avermi lasciato in attesa per un quarto d’ora, perché l’addetta è distratta dalla sua bimba (giuro, è successo davvero), mi dice tutto e il contrario di tutto: “entro 24 ore risolviamo”; “non possiamo risolvere noi, ma dobbiamo farle tornare a casa il tecnico Fastweb”; “OpenFiber non avrebbe dovuto disattivare la vecchia connessione”.
Presento un ulteriore reclamo, che invio a Fastweb sia in pec che attraverso twitter: dal social che cinguetta mi rispondono chiedendomi il codice fiscale, che era già chiaramente indicato nel reclamo.
Mi risolvo a denunciare questa incresciosa, se non aberrante vicenda, all’Agcom. Solo che per farlo è necessario sottoporsi ad una forca caudina di adempimenti informatici. Bisognerebbe compilare il modello D che però, come si legge sul sito dell’Autorità garante delle Telecomunicazioni, “va compilato a schermo utilizzando il software gratuito Adobe Reader versione 9 o successiva (disponibile sul sito del produttore) oppure altro software equivalente (per gli altri eventuali programmi, riferirsi ai siti dei produttori)”. Non ho Acrobat Reader: è un programma inutilmente pesante, spesso malfunzionante, preferisco altri molti più snelli, che però non sono utili per la fattispecie. Il modello D non si apre.
Potrei scaricare Acrobat Reader, è vero, ma pesa 203,6 Mb, e visto che sono senza connessione internet e devo arrabattarmi con il cellulare, è un lusso che non posso permettermi.
Lascio perdere, mando una mail di protesta all’Agcom (senza risposta) e mi domando: visto che l’Agcom si occupa di telecomunicazioni, e che all’autorità si rivolgono persone che hanno problemi di telecomunicazioni, non sarebbe stato il caso di predisporre una procedura più semplice? Perché vincolare l’utente in difficoltà ad utilizzare soltanto un software? È come se fossi costretto a recarti al pronto soccorso, e il medico di turno t’invitasse ad andare in farmacia a comprare la siringa.
Nell’Italia digitale funziona così. La burocrazia informatica è più cattiva e vessatoria di quella di una volta, che viaggiava a furia di timbri e di carte bollate.
Perdonate la divagazione e torniamo al calvario. Siamo ormai arrivati al 4 gennaio: sono isolato da 15 giorni.
Stufo dell’inefficienza dell’assistenza telefonica ed on line di Fastweb vado al negozio di zona, che mi dice di non poter far nulla dal punto di vista tecnico, però segnala on line ai competenti uffici il problema.
Vengo contattato un paio d’ore più tardi da un’operatrice, che chiama dall’Albania. Una voce preregistrata premette che, se lo desidero, posso venire ricontattato da un’operatore di un Paese comunitario. Procedo: già in una precedente circostanza – e sia detto senza alcuna ironia – il call center albanese si era dimostrato assai più capace ed efficiente di quelli italiani.
L’operatrice si stupisce della situazione, perde anche un po’ di tempo nel tentativo di configurare il router. Non riesce nell’impresa e chiude dicendo che segnalerà la criticità ai servizi tecnici specializzati.
Alle 16.08 del 4 gennaio ricevo un sms da Fastweb in cui vengo informato che “la richiesta di assistenza è stata assegnata ai nostri specialisti. Il nostro impegno è risolverla entro il 07-01-2021.”
Alle 18.48, ricevo un altro sms: “Gentile Cliente, ti confermiamo che sono in corso le attività per risolvere e chiudere l’assistenza tecnica entro il 07-01-2021.”
Oggi è il 7 gennaio. Le vacanze di Natale sono finite e per seguire la DDI i miei nipoti non stanno più con me. Sono senza linea telefonica e senza connessione internet da 18 giorni. La carta dei servizi Fastweb s’impegna, nel caso di blocco totale dei servizi, a risolvere il problema in 72 ore. Di ore ne sono passate 432.
Come andrà a finire? Ve lo racconto domani.
Geppe Inserra
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