La pandemia sta mettendo a nudo gli endemici problemi della scuola italiana, che però ancora non trovano la giusta considerazione nell’opinione pubblica. In queste settimane, la questione scuola si è ridotta alla stucchevole e insopportabile diatriba sulla opportunità di riaprirle, sulle strategie per metterle in sicurezza, sulla qualità della didattica a distanza, e via discorrendo.
Come spesso succede nel Bel Paese, si contano gli alberi e non si vede la foresta.
Il vero nocciolo del problema è rappresentato dagli investimenti: troppo bassi, del tutto insufficienti. Prendiamo per esempio, proprio la didattica a distanza. Se non sta ottenendo i risultati sperati non è perché gli insegnanti o gli studenti non sono preparati, ma perché solo pochissime scuole sono attrezzate, in termini di dispositivi multimediali, banda larga, aule e così via.
Il Recovery Plan rappresenta una irripetibile occasione per voltare pagina, ma occorrerebbe una diversa sensibilità. La posta in gioco è alta, altissima, riguarda il futuro di un’intera generazione. A correre i rischi maggiori è il Mezzogiorno: il divario che lo penalizza rispetto alle aree più sviluppate del centro-nord è ancora più accentuato in tema di scuola. E la Puglia sta peggio di tutti.
A mettere il dito nella piaga è una recente, approfondita indagine di Caterina Pavese e Enrico Rubolino dell’Università di Venezia Ca’ Foscari. Gli studiosi hanno dimostrato che esiste una diretta relazione tra la spesa per la scuola e le abilità cognitive degli studenti. In edifici scolastici poco funzionali, poco attrezzati, si apprende meno, e peggio.
“Investire in scuole digitalizzate, moderne e ben equipaggiate potrebbe invece migliorare l’insegnamento e l’apprendimento”, scrivono gli autori dello studio, in un articolo su lavoce.info che ne sintetizza i risultati. “Il nostro studio mostra come l’effetto di una minore spesa scolastica colpisca soprattutto gli studenti provenienti da famiglie meno abbienti, mettendo in luce come la scuola fallisca nell’obiettivo di offrire un riscatto sociale. Effetti significativamente più forti emergono anche nelle scuole del Mezzogiorno, sottolineando un ulteriore problema: la scuola non riesce a limitare le disuguaglianze territoriali nelle abilità degli studenti.”
Lo studio dell’università Ca’ Foscari è stato ripreso in un tweet da Gianfranco Viesti, economista pugliese: “La spesa per l’istruzione conta molto per gli apprendimenti degli studenti. Specie per i più deboli. E specie al Sud, dove la spesa dei Comuni per studente è nettamente più bassa.”
Viesti si richiama in particolare a uno dei diversi parametri che sono sono stati utilizzati nell’indagine: la spesa annualmente devoluta dagli enti locali alla scuola. I dati sono riassunti in una infografica che differenzia la spesa pro-capite per alunno dei comuni: il colore rosso indica il livello di spesa maggiore: superiore a € 1.585/anno. La tonalità di rosso sfuma man mano che la spesa decresce, per diventare gialla nel comuni (spesa inferiore a € 127/anno per studente) in cui è più bassa.
Le regioni più “rosse”, ovvero con i maggiori livelli di spesa pro-capite per alunno, sono concentrate al Nord (in particolare Emilia Romagna, Toscana e Lombardia); la regione più “gialla”, con indici di spesa molto bassi, è proprio la Puglia.
Nella cartina qui sopra vediamo la distribuzione degli investimenti comunali nelle diverse province pugliesi. La sorpresa è che le “sacche” di buona scuola stanno in periferia: in alcuni comuni dei Monti Dauni e del Gargano interno e in alcuni comuni del Salento, anche questi interni. Le aree metropolitane fanno registrare ovunque un malinconico giallo. La provincia che sta peggio di tutte è quella di Bari, preceduta da Brindisi, Taranto e Bat. In queste quattro province pugliesi non c’è nemmeno un puntino rosso.
Il Recovery Plan potrebbe essere, davvero, l’ultima spiaggia.
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