L’unica volta di Paolo Rossi allo Zaccheria

Paolo Rossi, piccolo Sir di provincia“. Così titolava La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 dicembre del 1977, all’indomani della partita Foggia-Lanerossi Vicenza, prima ed ultima disputata sul rettangolo erboso dello Zaccheria dal calciatore che sarebbe diventato l’eroe del Mundial 1982.
La sfida finì 1-1, e fu tesa e vibrante. Guidato da Giambattista Fabbri (che che anno dopo sarebbe approdato sulla sponda rossonera), il Vicenza era allora una grande del campionato: l’avrebbe concluso al secondo posto. A Foggia voleva vincere, e fin dal fischio d’inizio si buttò in avanti.
Dopo appena nove minuti di gioco gli ospiti erano già in vantaggio, grazie ad una clamorosa ingenuità della difesa rossonera. L’arbitro, il sig. Ciulli di Roma, fischiò una punizione di prima. Si occupò del tiro Salvi che, accortosi che nessun giocatore da rossonero si era posto a fare da scudo sul pallone, furbescamente tirò in porta mentre il portiere Memo stava ancora piazzando la barriera, e fece gol.
Quella rete cambiò l’inerzia della partita. Il Foggia di quell’anno era una formazione sanguigna e combattiva, come il suo allenatore, l’indimenticabile Ettore Puricelli. I satanelli reagirono con rabbia, esponendosi alle ripartenze del Lanerossi Vicenza, in cui si distinse, manco a dirlo, Paolo Rossi, protagonista di un epico duello con lo stopper Bruschini. Non ebbe molta fortuna, però. Il cronista annota che “l’attesissimo capocannoniere per sei volte mette scompiglio nella difesa rossonera, una sola fuori bersaglio, di poco. Le altre cinque gli si oppone Memo con prodezze da ricordare.” L’estremo difensore del Foggia sarà il migliore in campo.
Il Foggia pareggiò alla fine del primo tempo, in virtù di un rigore concesso dall’arbitro per un fallo di mani in area, trasformato da Del Neri.
La ripresa fu combattuta e vivace, com’era stato il primo tempo. Paolo Rossi rimedierà pure qualche fischio dagli spalti, per “la sua tendenza istrionesca – sono le parole dell’inviato della Gazzetta, Elio Preite – alla protesta vistosa o ad accentuare i danni di certi interventi rudi dell’avversario“.
Intervistato negli spogliatoi dallo stesso Preite, Rossi si complimenterà con Memo (“Quel portiere ha fatto cose eccezionali“) ma non farà altrettanto con il suo spietato marcatore, Bruschini: “Troppo duro, troppo falloso.”
Affabile ed elegante conversatore, Rossi rievoca davanti al taccuino del giornalista la sua carriera, dagli albori, quando giocava nelle giovanili della Juventus, ed era soprannominato Garrincha.
“Sì, mi chiamavano Garrincha. Forse perché il mio ruolo d’allora era quello dell’ala destra. E avevo scatto secco e agilità notevole.
Poi?
“Poi un po’ di sfortuna. Qualche incidente di troppo…”
La rottura del menisco, una, due volte.
“Tre interventi chirurgici, per la precisione. E giacché non avevo un gran fisico, almeno all’apparenza, qualcuno pensò bene di farmi ripartire da zero…”
Quel qualcuno fu proprio Giambattista Fabbri, che trasformò letteralmente Paolo Rossi schierandolo al centro dell’attacco, dove avrebbe massimizzato le sue doti da predatore dell’area di rigore, e il suo eccezionale fiuto del gol.
L’inviato della Gazzetta sottolinea la modernità di Rossi: “Dei spesso consunti campioni che gli offrivano esempio a quei tempi (i tempi del suo esordio, n.d.r.), non ha conservato assolutamente nulla. Nulla per quel
che riguarda la freschezza atletica, che in lui è spumeggiante; nulla, soprattutto, per quel che riguarda la maniera di interpretare il ruolo di centravanti, che è modernissima, addirittura, forse, originale.”
“Certo, oggi, non si può aspettare il pallone, standosene fermi davanti, chiosa Rossi. Bisogna anche super proporre l’azione, oltre che concluderla. Occorre essere imprevedibili.”
Qualche anno dopo, sarà questa imprevedibilità che metterà il ginocchio il grande Brasile di Falcao con una storica tripletta che entrerà nella leggenda del calcio e che aprirà all’Italia la strada verso la conquista del Mondiale. Pablito Rossi ne sarà l’indiscusso protagonista.

La morte ce la ha strappato troppo presto. Ma lo ha consegnato al Mito, come si addice agli Eroi.

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Author: Geppe Inserra