Non c’è cibo, più del pane, che declini la grandezza e la varietà della terra di Capitanata, il suo essere a tutti gli effetti una provincia-Regione. Ogni comune ha il suo modo di farlo: c’è quello più celebrato di Monte Sant’Angelo, quello in teglia che si prepara a Sant’Agata, a Deliceto e in altri comuni dei Monti Dauni, quello basso di Lucera, quello impastato con le patate di Roseto Valfortore, e via dicendo. Non potrebbe essere diversamente, visto che il Tavoliere è da secoli il granaio d’Italia.
Data questa ricchezza, in provincia di Foggia il pane non costituisce soltanto un alimento in sé, ma è anche l’ingrediente base di tante ricette. Un giorno o l’altro dovrò dedicare una puntata di Sapori della Memoria al pancotto, autentico monumento gastronomico, preparato in mille varianti, e che si vuole inventato dai pastori abruzzesi che d’inverno portavano le loro greggi nel Tavoliere, per la stagionale transumanza.
Come suggerisce la parola, il pancotto è del pane (raffermo) che viene immerso nell’acqua calda e condito in mille maniere diverse: pietra d’angolo della cucina povera, espressione primigenia della convinzione, profondamente radicata nella civiltà contadina, che il pane non andasse mai buttato ma consumato fino all’ultima briciola.
Nella sua versione più spinta, e più ricca, il pancotto diventa protagonista perfino della tavola natalizia, a San Severo, in quel trionfo di sapori che è la Zuppetta, piatto identitario per eccellenza della città dell’Alto Tavoliere.
Non c’è innovazione o trend gastronomico che tenga, a Natale i sanseveresi mangiano la Zuppetta, dovunque si trovino.
“A San Severo esiste una sola certezza: la Zuppetta – afferma Cristina Mundi, giornalista, scrittrice e mia cara amica -. Poi possiamo parlare di tutto, le bombe, le estorsioni, l’Amministrazione che piace o non piace. Ma la Zuppetta, regina del nostro Natale, unisce. Vessati e vessatori, amministratori e amministrati, amati e detestati, guardie e ladri, se sono di San Severo mangiano la Zuppetta il 25 dicembre. E quel giorno, una volta all’anno, c’è un’unione. Ogni volta che mi siedo a tavola a Natale penso e spero che i miei concittadini provino quello che provo io. La condivisione. Una grande Comunità che sta vivendo lo stesso momento. Tutti, e dico tutti, siamo lì a fare la stessa cosa. Onoriamo la nostra tradizione, unica nel mondo.”
C’è da scommettere che in questo Natale di pandemia e di forzato distanziamento sociale, seppure virtuale, la capacità di aggregazione della Zuppetta sarà ancora più forte. “Quest’anno sarà un Natale difficile e triste. Speriamo che la zuppetta possa continuare a diffondere il suo calore anche quest’anno”, si legge nella home page della pagina Facebook dedicata alla Zuppetta.
Per quanto riguarda la preparazione, non posso che affidarmi ancora alla brava Cristina Mundi. Lei, la Zuppetta, la prepara così.
“Gli ingredienti sono: il pane, il brodo, il caciocavallo e la mozzarella. Cominciate preparando il brodo (la tradizione impone quello di tacchino, ma c’è chi gradisce quello di manzo, a scelta), quindi tagliate il caciocavallo a fettine sottili e la mozzarella, a dadini.
Veniamo al pane. Dev’essere casalingo, un po’ raffermo, “ascato”, cioè abbrustolito, in fette non troppo sottili. C’è chi usa fettine di pane sottili, ma per come la penso io non va bene.
Tagliate la carne del brodo, in modo irregolare, da sfilacciarla.
Dopo aver preparato il tutto, cominciate a mettere in una teglia con i bordi alti, a strati, partendo dal pane, i diversi ingredienti. Cioè prima uno strato di pane, poi caciocavallo, un po’ di mozzarella, la carne e proseguite così. Alla fine, con un piccolo mestolo, fate scivolare il brodo dal bordo della teglia ma piano, in modo che il pane si “inzorpi”, cioè si inzuppi nel modo giusto. Abbiate cura di farlo con lentezza, perché se il pane non è ben inzuppato la vostra Zuppetta risulterà asciutta.Se siete frettolosi, come spesso succede, e buttate mestolate intere di brodo per sbrigarvi, la vostra Regina diventerà molle ed immangiabile.
Piano piano, la Zuppetta è un rito e come tale va trattata!
Infine mettetela in forno, fatela cuocere quel tanto che basta per far sciogliere i formaggi. E gratinate perché la crosticina sopra ci vuole. E infine…. amatela!”
Geppe Inserra
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