Sulla retrocessione decretata, senza se e senza ma, dalla indagine sulla qualità della vita di Italia Oggi e de La Sapienza ai danni di Foggia e della Capitanata, precipitate all’ultimo posto della classifica nazionale, occorre riflettere, discutere, approfondire. Non limitarsi, insomma, alle prime impressioni.
La farà Lettere Meridiane, che nei prossimi giorni fornirà tutti i dati relativi ai diversi settori (ricordiamo che la posizione di fanalino di coda “guadagnata” dalla provincia di Foggia è dovuta al fatto che essa risulta pesantemente deficitaria in ben sette delle nove categorie di indicatori).
Prima di approfondire i dettagli, è utile tuttavia uno sguardo d’assieme sulla mappa dello sviluppo e della qualità della vita che l’indagine ha disegnato. L’immagine che illustra l’articolo (nostra elaborazione sui dati dell’indagine) mostra tale mappa, con riferimento alla Puglia ed alle province vicine, rivelando con tutta evidenza come, nell’area presa in considerazione, la qualità della vita e lo sviluppo siano tutt’altro che omogenei e disegnino, invece, la classica pelle di leopardo.
Ma lo sguardo d’assieme svela anche un altro paio di aspetti, da tenere in considerazione. Il primo è che la Puglia è tutt’altro che un’isola felice. Ben quattro province su sei (con Foggia, Bat, Brindisi e Taranto) sono colorate di blu, colore che connota le province in cui il livello di qualità della vita è più basso. Le altre due, Bari e Lecce, colorate di rosso, denotano indici appena superiori, che tuttavia non permettono loro di guadagnare la sufficienza: si fermano a scarso. Sono tuttavia, le province che hanno più significativamente beneficiato negli ultimi anni, e forse decenni, di investimenti pubblici e dell’attenzione dell’istituzione regionale. Forse per questo sono rosse, e non desolatamente blu?
Sono invece decisamente migliori le performance della Basilicata (entrambe le province verdi, qualità della vita accettabile), del Molise (entrambe rosse, ma niente insufficienze), della Campania (due blu, due rosse, una verde) e della parte meridionale dell’Abruzzo (una rossa, una verde e una gialla, L’Aquila, la sola che marchi un indice buono di qualità della vita).
Secondo aspetto su cui meditare. Le province non pugliesi che confinano con la provincia di Foggia denotano tutte livelli di qualità della vita non insufficienti: due rosse (Campobasso e Avellino), due verdi (Benevento e Potenza). Per dirla in soldoni: stanno messe meglio della Puglia in genere e assai meglio della Capitanata.
Foggia, Campobasso, Avellino e Benevento rappresentano il quadrante che qualche anno fa il Censis indicò come possibile orizzonte di sviluppo per la Capitanata, nella idea, suggestiva, che oggi lo sviluppo non è più una questione che dipende dai confini regionali, ma delle relazioni che un territorio riesce ad intessere con gli altri.
Dalla intuizione del Censis scaturì il Patto delle Quattro Province, fortemente voluto e sostenuto dall’allora “governatore” di Palazzo Dogana, Antonio Pellegrino, che all’inizio del nuovo millennio, mise assieme in una breve ma intensa stagione di elaborazione progettuale, Foggia, Avellino, Benevento e Campobasso.
A ben vedere, le “Quattro Province” sono state l’ultima, grande opzione di sviluppo partorita dalla Capitanata. Correva l’anno Duemila, o giù di lì. Sono passati vent’anni e tanta, troppa acqua sotto i ponti.
Non sarà anche questa caduta di tensione progettuale una delle ragioni di quel desolante ultimo posto?
Geppe Inserra
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