Sono un estimatore convinto di Edoardo De Angelis, di cui ho visto tutti i film, a cominciare da Mozzarella Stories, folgorante opera prima prodotta da Emir Kusturica che definì il regista napoletano un “talento visionario”.
Occorreva questa capacità, questo sguardo lungo e profetico, per portare sul grande schermo il classico più classico del teatro italiano, “Natale in casa Cupiello” dell’intramontabile Eduardo.
In “Perché leggere i classici“, Italo Calvino scrive che “i classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo…» e mai «Sto leggendo…»”. Nella sua preziosa e riuscita versione di “Natale in casa Cupiello” De Angelis ha fatto precisamente questo: ha riletto il capolavoro eduardiano. Con passione, rigore filologico, ma nello stesso tempo con lungimiranza e capacità visionaria. Ha confermato la perdurante attualità dei classici.
È sbagliato giudicare il film soltanto in termini di maggiore o minore distanza o coerenza con la commedia da cui trae origine. Diversamente, De Angelis sarebbe stato come Pierre Menard, il personaggio inventato da Jorge Luis Borges che, nel tentativo di tradurre dall’originale lingua castigliana antica, il Don Chisciotte di Cervantes, si immerge così profondamente nella lettura, da riprodurlo pedissequamente, parola dopo parola, virgola dopo virgola.
De Angelis si è avvicinato e si è discostato dal testo teatrale, con intelligenza, rispetto, e amore: quanto bastava a farne qualcosa di nuovo, ma del tutto coerente con il messaggio di Eduardo. Ne è venuto fuori un riuscito, sincero, toccante omaggio al grandissimo drammaturgo ed attore partenopeo, che lo consacra per quello che egli è: il più grande autore di tutti i tempi, del teatro italiano, e non solo.
Nella sua celebrazione di Eduardo, De Angelis ha certificato la statura classica della commedia, in un’altra dimensione evocata da Calvino: “È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.”
Il regista posticipa di qualche anno l’ambientazione: l’opera teatrale è del 1931, il film si svolge nel 1950: “Un anno emblematicamente sospeso tra la guerra e il benessere. Napoli è ancora ferita dalle bombe ma si sentono i primi vagiti di una classe media che si affermerà negli anni successivi. Un anno sospeso tra distruzione e ricostruzione, proprio come il 2020”, scrive De Angelis nelle note di regia.
L’espediente narrativo è azzeccato, perché serve a sottolineare alcuni temi di fondo già presenti nel testo eduardiano, che vengono accentuati dalla versione cinematografica: la transizione verso la modernità, la crisi dei valori della famiglia e della relazione di coppia, temi cari ad un altro grandissimo del teatro di ogni epoca, William Shakespeare, non a caso, ripetutamente accostato al nostro Eduardo nella interviste di questi giorni da Sergio Castellitto, protagonista del film nei panni di Lucariello.
L’accostamento al Bardo, pur non espressamente dichiarato, si legge tra le righe delle note di regia: “Sospesi tra realtà e presepe, è possibile una forma di salvazione? Si, è possibile ma affinché il bambino possa nascere e salvare il mondo trasformandolo in un vero mondo nuovo, il mondo vecchio deve morire.” Il bambino evocato da De Angelis ricorda molto Fortebraccio nell’Amleto, o Edgar in King Lear.
L’interpretazione di Castellitto mi è piaciuta, come tutto il resto: giocata sullo stesso registro scelto dal regista: un continuo avvicinarsi e distanziarsi rispetto a quella resa immortale da Eduardo stesso. Non si poteva chiede a Castellitto neanche solo di ispirarsi all’irripetibile gestualità, alla mimica facciale che recitava da sola di Eduardo, straordinario attore oltre che grande autore. Ma il suo Lucariello è lo stesso convincente, più umorale di quello eduardiano, perfino più tenace nella difesa dei valori della tradizione.
Ottima la prova anche degli altri attori. Avevamo già visto ed apprezzato ne Il vizio della Speranza dello stesso De Angelis Marina Confalone (Concetta) e Pina Turco (Ninuccia), così come Tony Laudadio (Pasquale) in Mozzarella Stories e Indivisibili, tutti bravi, tutti profondamente consapevoli del ruolo; perfettamente a suo agio nei panni di Tommasino l’effervescente Adriano Pantaleo.
Un cenno a parte merita la colonna sonora di Enzo Avitabile e per la monumentale canzone finale, E duorme stella. Un inno alla vita alla speranza, la miglior colonna sonora possibile a questo Natale 2020 un po’ triste. Peccato che sia stata tagliata nella messa in onda televisiva. Potete guardarla qui sotto.
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Grazie, un articolo molto interessante.
Davvero bello ma la nota stonata era proprio Sergio Castellito, attore che non ho mai apprezzato. Ha sempre un’aria triste, anche quando si dovrebbe ridere. La sua interpretazione, a mio avviso, ha fatto perdere molto. Eduardo si è rigirato e si è tappato occhi ed orecchie.