Le cartellate sono per la Puglia quel che il panettone è per Milano. Senza questi dolci in tavola, non è Natale.
Le cartellate hanno tuttavia un’origine assai più remota del dolce lombardo, quasi mitica. Secondo quanto scrive Riccardo Paradiso in un dotto articolo per la rivista di vino e cultura on line Lavinium, si tratterebbe di un cibo rituale, la cui raffigurazione comparirebbe per la prima volta in una pittura rupestre rinvenuta nei pressi di Bari, risalente addirittura al VI secolo a.C. in cui viene rappresentata la preparazione di un dolce assai simile, che veniva offerto in sacrificio a Demetra, dea della terra, durante i misteri Eleusini.
Com’è spesso accaduto nella transizione da paganesimo a cristianesimo, la tradizione cattolica si sarebbe successivamente sovrapposta e le cartellate sarebbero divenute frittelle rituali offerte alla Madonna, per invocarne l’aiuto per la buona riuscita dei raccolti. Secondo altre interpretazioni, la loro forma particolare evocherebbe l’aureola di Gesù Bambino.
A certificare l’antichissima origine di questo dolce c’è anche l’etimo, che risalirebbe ala parola greca “κάρταλλος” (kartallos, che significa cesta) o alla loro particolare forma, vagamente arabesca, ottenuta “incartellando” la pasta.
Al di là della loro blasonata origine storica, le cartellate sono una monumentale testimonianza di come la civiltà contadina fosse in grado di produrre autentiche leccornie utilizzando ingredienti poveri: nella fattispecie, farina, vino ed olio che sono poi – guarda caso – anche gli ingredienti base della dieta mediterranea.
E veniamo alla preparazione, non semplicissima, perché si tratta di stendere la pasta e poi di lavorarla in modo che resti sottile e leggera, e una volta fritta possa risultate croccante al punto giusto.
Un autentico virtuosismo culinario, che difficilmente si trova in quelle confezionate in modo industriale.
A casa mia stava proprio nella leggerezza della sfoglia la sfida tra le diverse cuoche che si avvicendavano nella preparazione. Nonna Carmela, nonna Ida e zia Macrina gareggiavano a tirare la sfoglia in modo che restasse il più sottile possibile, quasi trasparente. E a noi nipoti toccava giudicare, e ogni volta era un bell’imbarazzo.
E veniamo alla ricetta.
Per una novantina di cartellate dovrebbero bastare 500 gr. di farina, 100 gr. di vino bianco secco, 130 gr. di olio extravergine di oliva, 5 gr. di sale fino (un pizzico).
Come già detto, il segreto della buona riuscita sta nell’impasto, che deve restare morbido e vellutato, ma asciutto.
Si comincia sistemando la farina “a fontana” sul piano di lavoro e versando quindi al centro, il vino intiepidito, l’olio e l’acqua tiepida in cui si sarà sciolto un pizzico di sale. Lavorare pazientemente il tutto, fino ad ottenere un composto omogeneo, compatto, ma morbido. Nel caso in cui restasse troppo duro, aggiungere un altro po’ di acqua tiepida, prestando comunque attenzione affinché l’impasto resti sufficientemente asciutto, perché questo renderà più facile la successiva lavorazione.
Con l’aiuto di un matterello bisogna poi stendere la pasta in modo che resti sottile (si può utilizzare allo scopo anche la macchina per fare la pasta in casa).
Usando la rotella a smerli (quella seghettata), tagliare la sfoglia a strisce, larghe 3-4 cm e lunghe da 20 a 30 cm. Quindi, piegare le strisce per tutta la loro lunghezza, facendo combaciare i lati più lunghi, schiacciare con i polpastrelli la pasta ad una distanza di tre o quattro cm. formando una sorta di conchette, ed infine arrotolare a spirale le strisce così modellate.
L’ingrediente fondamentale di molti buoni piatti è il tempo, e non è per niente un caso che oggi, nell’epoca dei fast food, in cui si vive tutto in tempo reale, compreso il cibo, si siano persi tanti buoni sapori.
Per questo una volta, nelle famiglie, la preparazione dei dolci natalizi cominciava diversi giorni prima, era una sorta di rito collettivo: ma era anche un’occasione per ritrovarsi, per parlare, per noi bambini di incontrare i cugini e improvvisare giochi…
Le cartellate non fanno eccezione: una volta preparate come prima descritto vanno lasciate riposare, al buio, coperte da un telo, una notte intera, perché devono rapprendersi quanto basta per poter passare alla fase della frittura, che esige essa stessa attenzione.
Inutile dire che è necessario usare olio extravergine di oliva che dev’essere abbondante e caldo, ma non deve sommergere le cartellate, che a metà cottura vanno girate e successivamente poste a sgocciolare. Devono asciugarsi bene prima di essere condite, con vino cotto e cannella nella versione classica o con miele nella variante più diffusa. Anche il vino cotto varia a seconda delle zone. Nel Tavoliere è più diffuso quello ricavato dall’uva, nel Gargano quello fatto con i fichi. Nell’un caso e nell’altro, ha un sapore inebriante.
C’è chi aggiunge noci (o mandorle) triturate e confettini.
Le cartellate sono il dolce natalizio per eccellenza in Puglia, ma anche in Basilicata e in alcune zone della Calabria. In provincia di Foggia prendono nomi diversi: dal latino “crustulum” (biscotto) vengono chiamate Chelustre a Vieste e a Mattinata e Crustele a Sannicandro Garganico (dove vengono condite con miele di fichi), Cagnano Varano, Carpino, Lucera, Vico del Gargano, Lesina, Crispelle ad Accadia, Sfrìngele a Candela, Torremaggiore e Serracapriola, Carance a San Giovanni Rotondo, Névele a San Severo, Torremaggiore e Poggio Imperiale, Mévele, in alcuni paesi dell’Appenino Dauno.
Geppe Inserra
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