La prima volta che ho sentito Sone ancore, innamorandomene immediatamente, ho equivocato: pensavo fosse stata scritta da Matteo Salvatore. In realtà, a comporla è stata Nazario Tartaglione, cantautore di San Severo, nonché genuino ed impareggiabile interprete della grande tradizione musicale dauna, che non è solo tarantella, ma tante cose ancora, che Nazario esplora e reinventa, in una continua e felice contaminazione.
In realtà, in Sone Ancore l’universo poetico di Matteo Salvatore ci sta tutto, ma proprio tutto, e sembra davvero che il cuore e la voce di Matteo risuonino e cantino ancora per le strade e nelle valli del suo Gargano…
La melodia, suadente e trascinante, esalta un testo di rara e squisita poesia, che racconta l’eterno ritorno ai posti amati, alle strade di sempre, al Gargano “mizz’ a sta ‘ppucundria” (in mezzo a questa ipocondria), che però, man mano che la canzone procede, viene stemperata e alla fine esorcizzata, proprio dall’immensa dolcezza della musica e del canto, che operano il prodigio: “s’affaccia il sole per sentire questo canto, per toccare questo vento che si fa speranza; s’affaccia il sole per spiare questa voce, come una madonna che cammina davanti”.
Dedicata a Matteo Salvatore, Sone Ancore è stata incisa qualche anno fa da Roberta Palumbo, superba interprete del repertorio di Salvatore (di cui è concittadina, essendo nata ad Apricena) e della canzone garganica.
Inevitabile che grazie a Sone Ancore i percorsi artistici di Nazario Tartaglione e Roberta Palumbo tornassero ad incrociarsi, com’era già accaduto con la canzone Gargano Mio, composta da Tartaglione per Roberta, e a Foggia, in una indimenticabile serata promossa dal Presidio del Libro e da Giuseppe Messina.
E così, ecco Sone Ancora con Nazario Tartaglione “featuring” Roberta Palumbo. Il risultato è straordinario.
I due danno vita ad un’interpretazione del brano sublime, che potrebbe segnare una svolta nel panorama della musica d’autore pugliese. I pur differenti timbri vocali di Nazario e di Roberta si incontrano, si intrecciano e quasi si fondono, dando voce, anima e sonorità alle radici più profonde della musica pugliese, dauna, garganica.
Alla fine del brano la voce di Matteo torna davvero. La si sente confusa alla musica, quasi intangibile, che declama i versi iniziali di Arrucunete, parole che sanno di testamento spirituale: “Speravamo nel bene. Più i giorni passavano, più la vita era nera. Nel buio assoluto ci stringevamo. Eravamo tutti muti, ciechi e sfasciati… Siamo stati servili, schiavi e maltrattati. I ricchi a noi ci hanno sempre affamato.”
Ascolto Sone Ancore, la riascolto, e mi accorgo che questa canzone mi è entrata dentro l’anima. E che l’averla attribuita a Matteo Salvatore è stato un errore non casuale, una sorta di lapsus freudiano. Nazario Tartaglione e Roberta Palumbo sono gli eredi più autentici dell’immenso lascito artistico e musicale di Matteo Salvatore.
Ascoltate il brano qui sotto. Ma mettetevi tranquilli. Spegnete il cellulare. Preparatevi a tuffarvi nell’anima più vera e profonda della nostra cultura.
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Due grandi della nostra Terra
Grazie, Gianni. Troppo buono 🙂