Questo Natale all’insegna del virus e delle zone rosse, arancioni, e gialle si sta avvicinando in punta di piedi. Gli altri anni, già dalla metà di novembre, ipermercati e grandi magazzini avevano acceso le luminarie natalizie. Gli opinionisti sostengono che la progressiva anticipazione delle feste natalizie è l’ennesimo dazio da pagare alla civiltà dei consumi. Di questo passo, finirà che vedremo in giro le strenne e la slitta di Babbo Natale subito dopo Ferragosto.
Natale, si sa, è prima di tutto la festa dell’attesa: il desiderio di aspettare il Natale anticipandone l’atmosfera natalizia è, in realtà, presente anche in culture e civiltà tutt’altro che consumistiche, come quella contadina e bracciantile, che avvolge le nostre radici.
A Cerignola, per esempio, si entra nel tempo del Natale dal 21 novembre, festa della Bambinella, che coincide, nella tradizione della Chiesa cattolica, con la presentazione di Maria al Tempio, celebrando il giorno in cui i genitori portarono nel tempio Maria ancora bambina (aveva tre anni) consacrandola a Dio.
Per festeggiare la ricorrenza, nella cittadina del Basso Tavoliere, si preparano i cuculi fritti, una specie di panzerotti che hanno il loro punto di forza, come vedremo, nel particolarissimo condimento. Potrebbero diventare un autentico monumento dello street food, se qualcuno si mettesse a produrli per la vendita, ma è molto difficile trovarne. Però, con questa ricetta importata dalla sua Cerignola, lo chef Nicola “Ceri” Specchio ha conquistato Milano dal suo Ostello Bello (Hoscar 2019 come Miglior Catena di Ostelli al Mondo).
L’aspetto più caratteristico è il ripieno, gustosissimo, ma povero. Appartengo ad una famiglia per metà cerignolana e dunque si tratta di qualcosa che fa parte del mio dna gastronomico.
Alla Bambinella i cuculi fritti erano d’obbligo: erano un modo per ritrovarsi tutti insieme a dare il benvenuto all’inverno, ed a progettare e pianificare come avremmo trascorso il Natale che si approssimava, in omaggio all’antico detto cerignolano che recita: Chi Nat’l vol durè, dalla Bambnell o’ccumnzè (Chi a Natale vuole arrivare, dalla Bambinella deve coinciare).
Per preparare dei buoni cuculi è necessario che la pastella sia all’altezza della situazione: una volta fritta, dovrà essere morbida, ma croccante, dorata.
E veniamo alla ricetta. Si comincia impastando farina tipo 00 con acqua e un cubetto di lievito sciolto in acqua tiepida fino ad ottenere un impasto morbido ma consistente, omogeneo (qualcuno aggiunge una patata lessa, per rendere il composto ancora più morbido). Far riposare per la lievitazione per un’ora e mezza, coprendo il panetto con un canovaccio. A lievitazione ultimata lavorare la pasta per pochi minuti per farle perdere i gonfiore, e quindi stenderla con il matterello fino ad ottenere uno spessore né troppo sottile, né troppo consistente: 3 millimetri dovrebbero andar bene. La pasta va quindi tagliata a quadrati o dischi di grandezza sufficiente a contenere il ripieno. A questo punto si è pronti per farcirla.
A Cerignola, l’ingrediente principe è il cosiddetto sartascnidd (sartascinello), un sughetto di pomodoro che rappresentava il piatto della cena dei braccianti di una volta. Lo mangiavano inzuppandoci pane raffermo, talvolta con le olive dolci fritte (altra leccornia cerignolana, di cui ho parlato in questa lettera meridiana) e questo piatto unico, accompagnato da un bicchiere di vino rosso, ma dal sapore avvolgente, era tutta la cena.
Lo si prepara mettendo in pentola, assieme all’olio di oliva, pomodorini schiacciati con la forchetta, peperoncino, sale grosso e aglio (c’è chi lo sminuzza, chi mantiene lo spicchio intero, per toglierlo a fine cottura). Cuocere per una mezzoretta, cospargere di basilico fresco, e il sartascnidd è pronto.
I cuculi vengono a questo punto farciti con ripieni diversi, ma tutti poveri: sartascnidd e formaggio pecorino tagliato a listarelle (oppure provola tagliata a dadini), ricotta insaporita con il pepe o nella versione dolce, ricotta zuccherata; sartascnidd e mortadella; alici sott’olio. Una volta che il ripieno è stato sistemato al centro del quadrato o disco di pasta, va richiuso premendo un po’ sui bordi, e quindi fritto in abbondante olio bollente, rivoltandolo un paio di volte, fino a quando non ha acquistato un bel colore dorato. Saporito solo a leggerne il racconto, vero?
Geppe Inserra
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