Se ami la Patria, devi amarla tutta, compresa la periferia nord di Foggia. Ma cosa c’entra l’amore patrio con Rione Candelaro e Borgo Croci?
Se avete la pazienza di leggere, ve lo spiego. Il geniale paradosso è di Giorgio Manganelli, grandissimo scrittore milanese (non celebrato quanto meriterebbe), la cui straordinaria letteratura è fondata proprio sul costante ricorso al paradosso, come chiave per capire la realtà, materia prima di quei corsivi fulminanti che l’hanno reso famoso.
Manganelli lo scrisse in un lungo articolo, Patria, rimasto inedito fino a qualche anno fa, quando recuperato e pubblicato per la prima volta da Marco Belpoliti in Mammifero Italiano, edito da Adelphi (se volete ascoltarlo, lo trovate alla fine del post, se volete leggerlo potete acquistare l’ebook a questa pagina web).
L’irriverente ma illuminante elzeviro trae le mosse da un episodio di cronaca occorso nel 1974. Un anonimo cittadino bolognese aveva denunciato Alighiero Noschese, popolarissimo imitatore e comico di quei tempi, per due scene contenute nel suo spettacolo “Lo stivale dei miei stivali” in cui imitava papa Paolo VI (che compariva in scena con una ferula sulla cui sommità anziché la croce c’erano la falce e il martello) e il presidente della Repubblica Giovanni Leone.
L’autore dell’esposto accusava lo showman di “vilipendio di capi di Stato rispettivamente straniero e nazionale”.
L’articolo di Giorgio Manganelli è un’esilarante, irresistibile riflessione sul reato di vilipendio e sulla linea di difesa adottata da Noschese che, dettosi stupito dalla denuncia, aveva proclamato: “amo la Patria e sono cattolico“.
“Amare la patria – si domanda Manganelli -… In primo luogo la ama veramente tutta? Ad esempio, posto di fronte a viale Maino a Milano, direbbe il Noschese, sì, io lo amo tutto, numeri pari e dispari? Ama anche la periferia nord di Foggia? Ama le latrine di tutti indistintamente le tavole calde e i ristoranti dell’autostrada? Ama i parafulmini, le scritte “non lordare” e i gatti che non abbiano attraversato il confine.”
A scanso di equivoci, va precisato che la citazione “foggiana” di Manganelli va intesa per quella che è: un paradosso, e non certo un’offesa verso il capoluogo dauno, su cui, qualche anno dopo l’articolo, lo scrittore milanese avrebbe speso parole significative, che in un certo senso spiegano il senso del paradosso, occupandosi proprio di un “pezzo” di quella periferia nord di Foggia utilizzata per mettere alla prova l’amor patrio di Alighiero Noschese.
In una recensione a “Pellegrino di Puglia” di Cesare Brandi, pubblicata sul Corriere della Sera, Manganelli ebbe a scrivere: “Mi va a genio Foggia per la sua assenza di bellezze, di bellurie, di belletti. Ha una stravaganza, la chiesa del Calvario, preceduta da un viale con cinque cappelle: barocco, con un refolo di Gargano. Ma la città è sgraziata, vitale, cupa, e quand’è golosa, è golosa di cibi forti, ricchi, accesi, di verdure aggrovigliate e irritate, di bei formaggi.”
Quale foggiano non si ritroverebbe in questa descrizione, in questo ennesimo paradosso?
[Potete ascoltare qui sotto in versione integrale Patria, che ho scovato sul bel canale YouTube di Marzio Maria Cimini, brillante intellettuale abruzzese che presta la sua voce e la sua ironia all’articolo di Manganelli. Vi invito a visitare il canale e ad iscrivervi: potete trovare tanti altri interessanti articoli, racconti e poesie, letti e interpretati da Cimini].
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