Andrà tutto bene? Adesso basta…

Vorrei chiedere al geniale creativo che ha ideato il mantra che da qualche settimana mi perseguita, quasi quanto la paura del virus: amico mio, quando pensi che possiamo farla finita con questa storia che “andrà tutto bene”? Quando raggiungeremo (speriamo di no, mannaggia) il traguardo delle 20.000 vittime?

Devi essere un ottimista incrollabile, di quelli che la storia del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno gli fa un baffo. Tu vedresti il bicchiere pieno, anzi stracolmo, anche se fosse in frantumi per terra. Se ti fossi trovato a bordo del Titanic poco prima del fatale impatto, scommetto che avresti invitato tutti sul ponte a levare i calici: “Forza ragazzi, c’è ghiaccio per tutti.”

Devo ammettere, però, che la tua genialata un risultato l’ha raggiunto: ”andrà tutto bene” è diventato un formidabile strumento di distrazione di massa. Per convincerci che andrà tutto bene, abbiamo rimosso la tragedia che quotidianamente si consuma tra di noi. Ci siamo messi a cantare.

La ribalta di radio e televisioni è stata conquistata dai cori ai balconi, dalla esibizioni sulle terrazze, dall’inno di Mameli suonato sempre e dovunque, senza che si capisca perché. Delle persone che sono morte, delle loro storie spezzate, della memoria di una intera generazione che si sta volatilizzando non parla nessuno, o quasi.

“Un morto è uno scandalo, mille morti è una statistica”, pare abbia detto Joseph Goebbels, uno che di morti di massa se ne intendeva. Ma quando i morti diventano un numero, vengono distrutte, cancellate anche le storie individuali che stanno dietro le statistiche. La memoria viene obliterata. “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”. La frase, incisa con un chiodo da una mano ignota, si legge nel campo di concentramento di Bergen Belsen, a pochi metri dai forni crematori.

Nessuno racconterà più le storie dei 17.669 uomini e donne che sono stati uccisi dal Coronavirus (sono i numeri, temo provvisori, all’8 aprile 2020). Se ne sono andati senza che le loro storie trovassero il conforto dell’estremo saluto di parenti ed amici, di un funerale. Chissà se un giorno troveranno almeno una tomba che ospiti le loro spoglie mortali.

Certo, noi fortunati che stiamo ancora lottando per la sopravvivenza, siamo inermi spettatori di fronte a questa immane tragedia che sta sconvolgendo l’umanità, ma a questi morti dobbiamo almeno rispetto.

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Author: Geppe Inserra

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