L’assenza di Foggia tra le località indicate nella proposta di candidatura della transumanza a patrimonio dell’umanità Unesco è emblematica della scarsa capacità della classe dirigente foggiana (intesa nel senso più ampio del termine: non solo enti locali, ma anche società civile, istituzioni culturali, organi di informazione, eccetera) di fare rete, e di essere presente nel posto giusto al momento giusto.
Prima che vi inoltriate nella lettura, una precisazione va fatta: non si può parlare di una esclusione vera e proprio del capoluogo dauno, che per secoli è stato la capitale della transumanza, perché il riconoscimento Unesco si riferisce alla pratica della transumanza, quale patrimonio immateriale dell’umanità.
Proprio perché si tratta di qualcosa di “immateriale”, i luoghi elencati nel dossier di candidatura hanno un valore relativo. Dipenderà dalle comunità locali attrezzarsi per valorizzare il riconoscimento Unesco, e sarebbe il caso che anche Foggia cominci a darsi da fare. Perché il dato che maggiormente colpisce e amareggia, come vedremo, è l’assenza totale di soggetti e protagonisti foggiani nel carteggio che ha accompagnato il dossier.
Il che non vuol dire che Foggia sia stata assente nel complesso iter che ha portato alla candidatura. Per esempio, ha svolto un ruolo importante l’Archivio di Stato, depositario delle carte della Dogana, esso stesso dimenticato nel dossier.
Ma procediamo per ordine, stando ai documenti ufficiali che sono rappresentati, nell’ordine, dal modulo di candidatura compilato da Pier Luigi Petrillo, docente all’Università La Sapienza di Roma e unico membro italiani dell’Unesco, dal documenti di consenso della comunità (che per l’Italia è rappresentato dal Decreto ministeriale n. 24493 del 18 settembre 2017 – La Transumanza) e dai documenti a sostegno della candidatura prodotti da svariati enti (nessuno dei quali foggiano…).
Si tratta di un dossier voluminoso, la cui attenta lettura da un lato conferma l’impressione che la comunità foggiana non abbia prestato la necessaria attenzione nella fase di predisposizione della candidatura, dall’altro indica la strada da percorrere perché Foggia e il suo ruolo possano essere in qualche modo recuperati.
La sezione C del modulo di candidatura identifica le comunità interessate, che, per quanto riguarda l’Italia centrale e meridiane sono rappresentate da “pastori transumanti, insieme alle loro famiglie, che operano insieme ad associazioni culturali su rotte storiche e insediamenti attraversati da carovane transumanti, associate al partenariato “Terre rurali d’Europa” promosso da Moligal, un gruppo d’azione locale.” Il Moligal è il soggetto che ha avviato la procedura, e può essere ritenuto il capofila istituzionale dell’operazione.
La sezione D localizza la risorsa “immateriale”. Per quanto riguarda l’Italia Centro-Meridionale, così il curatore disegna la mappa della transumanza: “Nel Centro e Sud d’Italia l’elemento è presente nelle Regioni Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Sardegna. L’elemento gioca un ruolo chiave in particolare per le comunità situate ad Amatrice, il cui centro storico è stato distrutto dal recente terremoto del 2016, e Ceccano (Lazio); Aversa degli Abruzzi e Pescocostanzo (Abruzzo); Frosolone (Molise); San Marco a Lamis, San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo (in Puglia); Rivello (Basilicata); Lacedonia e Zungoli (Campania).”
Dunque Foggia non c’è, ma neanche, come si era letto su qualche giornale, Volturara Appula, che aveva ingenerato qualche polemica, trattandosi del paese natale del premier Conte.
Di particolare rilevanza, per gli scenari che vanno aprendosi dopo il riconoscimento Unesco e per il ruolo che Foggia potrebbe ritagliarsi è quanto si legge al punto 2. del modulo di candidatura, che riguarda il “contributo alla garanzia di visibilità e consapevolezza e all’incoraggiamento al dialogo” espressamente richiesto dall’Unesco quale criterio discriminante per ottenere il riconoscimento di patrimonio immateriale della umanità.
“Lungo le rotte migratorie della transumanza (“tratturi”) l’iscrizione di questo elemento contribuirà anche ad elevare le interconnessioni tra il patrimonio culturale immateriale e tangibile”, vi si legge. Dunque i tratturi hanno un loro ruolo, e, di conseguenza, Foggia può recuperare un ruolo significativo se saprà impegnarsi a valorizzare la rete tratturale di cui è il centro naturale, e non solo geografico.
Il paragrafo 3 descrive le misure di salvaguardia con particolare riferimento alle iniziative di documentazione, trasmissione, conservazione, protezione e promozione.
Anche qui la provincia di Foggia è presente grazie alle iniziative del comune di Monte Sant’Angelo che ha presentato un progetto specifico per finanziare una scuola per pastori con finanziamenti regionali e del Parco Nazionale del Gargano, che ha istituito un punto informativo sulla transumanza a San Nicandro Garganico (cittadina che viene però erroneamente chiamata San Nicastro Garganico).
Ma è proprio in questo paragrafo che l’assenza di Foggia emerge in modo particolarmente doloroso: non viene citato (ed è un limite del documento) l’Archivio di Stato di Foggia, che custodisce le carte del Tribunale della Dogana che per secoli ha regolato la transumanza, non viene citato il Museo cartografico dei tratturi e della civiltà della transumanza allestito un tempo presso l’Ufficio Tratturi, ma di questo non può farsi una colpa al curatore della candidatura, visto che il Museo è stato colpevolmente trascurato dalla Regione Puglia, come abbiamo scritto ieri.
Foggia è comunque debitamente presente nell’atto formale che ha dato il là alla candidatura, ovvero il già citato decreto con cui il Ministro dell’Agricoltura ha iscritto la transumanza al registro nazionale delle pratiche agricole su richiesta dell’agenzia di sviluppo rurale Moli.Gal. “In Italia questa antica usanza prese le mosse principalmente tra l’Abruzzo e il Tavoliere, con diramazioni sia verso il Gargano che verso le Murge, passando per il Molise. Consiste nel trasportare (“transumare”) gli animali dai monti abruzzesi e molisani, ai ricchi pascoli del Tavoliere e del Gargano. L’importanza economica di questa attività era tale da essere gestita da due specifiche istituzioni del Regno di Napoli: la Regia Dogana della Mena delle Pecore di Foggia e la Doganella d’Abruzzo.“ E poi: “La transumanza, attualmente, è praticata in scala ridotta soltanto in limitate zone italiane e, in questo caso specifico, dalle zone appenniniche del Molise e dell’Abruzzo verso il Tavoliere della Puglia. La pratica della Transumanza oggetto della candidatura si svolge in un’area geografica definita che va dalla Montagnola Molisana e, precisamente, nel comune di Frosolone (IS), ai pascoli del Gargano nel comune di San Marco in Lamis (FG).”
Sarebbe bastata, insomma, una maggiore attenzione e una maggiore presenza degli enti interessati per evitare che, anche per quanto riguarda il riconoscimento Unesco, Foggia non fosse costretta a rincorrere un diritto che viene sancito dalla sua storia, così come sta accadendo per la via Francigena-Micaelica.
Una maggiore presenza ed una maggiore attenzione, così come hanno fatto il Parco Nazionale del Gargano e i comuni di San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo, che figurano tra le organizzazioni che compongono il parterre organizzativo.
Foggia ha tempo e modo per recuperare, ma adesso bisogna essere presenti, non commettere altri sbagli.
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