Non succede tutti i giorni che tre donne coraggiose e “montanare” (una ancora residente nella cittadina di San Michele, le altre due originarie) si ritrovino assieme, allo stesso tavolo, in un convegno romano, e dalla Capitale facciano partire un avanzato progetto terapeutico, per la cura dell’autismo. E’ successo qualche giorno fa, nel riuscito gemellaggio tra l’Istituto Comprensivo romano di via Messina e l’Istituto Comprensivo Tancredi Amicarelli di Monte Sant’Angelo. Antonio Pirro racconta con la consueta sensibilità l’nsolita “triangolazione montanara” e l’importante risultato raggiunto.
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Italia, Roma, Municipio VII, Istituto Comprensivo via Giuseppe Messina, aula magna, un tavolo lungo, tre donne si incontrano e costruiscono un metodo di lavoro.
Katia Piemontese si emoziona, fa tremare la sua voce, parla con un cuore gonfio di palpiti. La sua associazione ha un uccellino rosso come simbolo, la guardo e ricordo il pettirosso da combattimento, lei è mamma di un bambino con autismo. Porta il suo punto di vista, entra dentro le sensazioni intime, vuole tradurle, ci riesce. Racconta di come ha reagito alla prima diagnosi, del suo itinerario famigliare, spiega un punto di vista di parte, ne è orgogliosa. La sua associazione si chiama Rosso Bebè e si occupa quotidianamente di neurodiversità, sensibilizza sul tema, informa le famiglie, si pone come angolo di aiuto. Katia è il primo vertice di un triangolo, lei vive a Roma.
Mariana Berardinetti delinea i contorni di una delle molteplici condizioni umane, l’eloquio ha un incedere flessuoso, una cadenza musicale e ritmata. Dalla sua voce ascolto parole precise di ossidiana: informazioni non canalizza
te, percezione nella neurodiversità, crisi comportamentale. Il mondo esterno per un ragazzo con autismo diventa anche il mio però quando, di colpo, le sue frasi scientifiche mutano in poesie, poesie piene di interrogativi, poesie sofferte in ogni sillaba. Avverto per un attimo, in questa eclissi dialettica, il materializzarsi di un sovraccarico emotivo. Mariana è un’esperta, conosce il tema, dispone dei ferri del mestiere ma non guarda nella direzione consueta. Capovolge l’inquadratura, è il nostro spazio quotidiano ad essere osservato e percepito con i sensi dell’autismo, il nostro vivere normale diventa lo spettro reale ed invalicabile per chi ci è di fronte. Mariana è il secondo vertice del triangolo, lei vive a Pisa.
Dina Gellotto Gentile guarda lontano mentre usa la voce, c’è qualcosa di fresco e di ruvido insieme, parte dall’esperienza, dal suo contatto continuo e ripetuto negli anni con le neuropatologie. Parla con un sorriso di una piccola scuola lontana, elenca progetti di vita e interventi educativo-comportamentali. Spiega cosa vuol dire accoglienza e inclusione, richiama il metodo ABA, mostra i simboli della Comunicazione Aumentativa Alternativa. Dichiara che non esiste un intervento standard che tutto va ritagliato sulla persona e sulle sue caratteristiche. L’autismo ha i suoi canali di entrata, basta ricercarli, saperli trovare. Nella scuola dove insegna, quest’anno, per la prima volta stanno sperimentando un modo nuovo di entrare in contatto, un modo che ha vesti diverse, vesti che si prendono cura di chi le indossa: musica, animali, clown sono questi vestimenti leggieri e terapeutici che trovano spirito in un costante rapporto sinergico tra docente di sostegno ed educatrice comportamentale.
Dina è il terzo vertice del triangolo, lei vive a Monte Sant’Angelo.
Possiamo dire che proprio il paese micaelico ha generato questa triangolazione, le tre donne ne sono tutte originarie. Mi piace pensarle come torri di vedetta medievali che si segnalano l’un l’altra con gli specchi o con i fuochi. Fuochi che affrontano discussioni tabù a viso aperto, specchi che riflettono la visione e decifrano un messaggio di solidarietà e di aiuto. Il triangolo montanaro mi ha spinto a pensare alla deep globality e alla spinta che possono avere le idee potenti e condivise; il piccolo funzionamento di questo incontro sulle diversità si è nutrito di una forte spinta glocal. Le buone pratiche associative, riabilitative e scolastiche hanno valicato i propri confini e dall’Istituto Comprensivo di un piccolo paese meridionale tre donne hanno detto “vedo”, senza timore, al bluff smaccato dell’isolamento nella globalità.
Antonio Pirro
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