Ricorre oggi il 247° anniversario della nascita di padre Antonio Silvestri, il sacerdote foggiano morto in odore di santità, per la cui canonizzazione lavora un Comitato costituito presso la Confraternita di Sant’Eligio. Per la verità, il processo di beatificazione venne già avviato non molto tempo dopo la morte del pio sacerdote, che destò viva commozione nella popolazione foggiana. Ma l’iter si bloccò per le cattive condizioni di salute del postulatore che era stato incaricato di istruirlo. E da allora si è fermato. Di qui gli sforzi del Comitato, che sta tenacemente lavorando per ottenerne la ripresa.
Come negli anni passati, l’anniversario verrà commemorato con un Memoriale, il cui programma di iniziative si concluderà domenica 26 gennaio, con una Messa solenne presieduta dall’Arcivescovo di Foggia, mons. Vincenzo Pelvi. La funzione si svolgerà nella chiesa di Sant’Eligio, alle ore 10.00, ed è possibile che in questa occasione l’Arcivescovo si pronuncerà sulla possibilità che il processo possa riprendere il suo corso.
È un’aspirazione da tempo perseguita da diversi ambienti culturali ed ecclesiali foggiani, come mostra l’articolo che pubblichiamo di seguito comparso il 28 gennaio del 1981 sul periodico “Nuovo Risveglio”, vicino alla Curia. Intitolato “UN SACERDOTE CHE AD OLTRE 150 ANNI DALLA MORTE MERITEREBBE DI ESSERE RIPESCATO DALL’OBLIO” l’articolo venne scritto in occasione della intitolazione della strada del quartiere Ordona Sud dedicata a padre Silvestri, dal direttore del periodico, Gaetano Matrella. Mio caro e fraterno amico, nonché maestro, Gaetano me lo affidò qualche mese prima di passare a miglior vita, con la raccomandazione di pubblicarlo quando avessi ritenuto fosse opportuno. L’articolo contiene una interessante “chicca” in quanto dà notizia che tra i sostenitori della “santità” di padre Antonio Silvestri c’è stato anche mons.Renato Luisi, esponente di spicco della Chiesa foggiana. Fu vicario generale della Diocesi di Foggia, quindi Vescovo di Bovino e di Nicastro, infine Vescovo missionario in Brasile. Anche per questo, è arrivato il momento di farvi leggere l’articolo del buon Gaetano Matrella. Eccolo, di seguito (g.i.).
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In un numero di “Nuovo Risveglio” ci siamo occupati di un nostro concittadino, sacerdote della Chiesa Cattolica, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XXIX secolo, lamentando che i foggiani immemori non avessero in nessuna circostanza ricordato la figura e l’opera di un santo uomo, che fece dell’apostolato al favore dei poveri, del derelitti, dei perseguitati e degli afflitti scopo precipuo della esistenza: Don Antonio Silvestri.
L’occasione ci è fornita dalla notizia, apparsa sulla stampa locale, secondo cui la commissione comunale per la toponomastica ha deciso di intitolare una strada di un quartiere nuovo della città proprio a quel santo sacerdote.
Siamo invogliati a ricordarlo da una recente pubblicazione “L’epidemia di colera del 1836 in Capitanata”, in cui, col supporto di precise documentazioni storiche, sono descritte le condizioni igienico-sanitarie in cui versava la nostra provincia nel secolo scorso e come il terribile morbo si diffuse in quasi tutto il territorio provinciale. Infatti don Antonio Silvestri trovò la morte all’età di 59 anni, a causa proprio del “Cholera morbus” che in quegli anni flagellò la Capitanata e in particolare la nostra città.
Ma chi era questo Antonio Silvestri? Grazie all’opera di alcuni storici foggiani che si sono occupati di don Antonio, come il sac. Prof. Don Michele Melillo, Casimiro Perifano e Ferdinando Villani, è possibile riprodurre alcune note biografiche del personaggio.
Antonio Silvestri nacque a Foggia nel 1777 e fin da ragazzo mostrò una vivacità di ingegno ed una predisposizione alle attività concrete: qualsivoglia iniziativa che mirasse o portasse alla realizzazione di opere a favore del pubblico interesse lo trovava sempre tenace ed entusiastico assertore.
Per questa attitudine verso il concreto, egli trascurò gli studi, conseguendo così una mediocre istruzione, avvertendo però imperiosa la necessità di adoperarsi per gli umili ed i sofferenti: ben presto comprese che la sua strada fosse quella del sacerdozio. Per molti anni della sua esistenza, visse con la sua vecchia madre in fiera e dignitosa povertà. Ben presto, il suo grande amore per i poveri gli procurò una tale popolarità che la chiesa dei Padri Cappuccini, dove egli soleva celebrare la Messa, diventò meta di autentici pellegrinaggi di gente di ogni ceto sociale. E quando don Silvestri fu assegnato alla chiesa di San Agostino in via Arpi, frotte di fedeli si recavano da lui, non solo per chiedere un aiuto materiale, ma anche per ascoltare la sua parola accesa di amore divino, semplice e convincente che arrivava nel profondo del cuore anche di quelli che erano dubbiosi e tiepidi nella fede cristiana. Perché un lato del suo carattere, anzi, della sua norma di vita da lui liberamente scelta era che egli “indossava” l’abito della semplicità e della umiltà non solo nelle parole, ma anche nei comportamenti, nel modo di vestire, nella sua maniera di essere insomma.
Egli fu contemporaneo dei Santi Giovanni Bosco e Giuseppe Cottolengo e come ha bene scritto il giornalista Arturo Oreste Bucci “egli era (di questi due santi) guidato dai medesimi palpiti di amore per il prossimo. Antonio Silvestri svolse il suo apostolato di bene tra le più pericolose difficoltà”… Mentre i due piemontesi ebbero i riconoscimenti universali della loro grandiosa opera, del nostro, purtroppo, nulla ci resta. Soltanto muta testimonianza per chi conosce le vicende della storia cittadina una fila di balconcini in via Cappuccini: i modesti alloggi per le pentite, le giovani traviate che il Silvestri strappava dalle “case chiuse” per stradare sulla via della redenzione morale e del riscatto sociale “.
La sua semplicità, dicevamo, era proverbiale. Senza fasto, senza ostentazione, coperto di una ruvida zimarra e molto trasandato nel vestire egli attraversava le vie della città, per invitare i fedeli a frequentare gli uffici divini nelle ore della giornata più adatte alla preghiera ed al raccoglimento e nello stesso tempo si interessava dei casi della gente, sempre pronto ad aiutare in concreto i bisogni e le necessità dei più poveri ed anche ad esercitare la sua suadente capacità di comunicare e, nel caso che si trattasse di liti familiari e di controversie giuridiche, a mitigare le animosità ed i contrasti.
Sempre la sua parola, non forbita né dotta, ma sostenuta da un ineccepibile buon senso, riusciva a dirimere anche le questioni più spinose e le controversie più accese. Fidando soltanto nelle sue modeste forze e nella incrollabile certezza nell’aiuto divino, egli riuscì a portare a compimento, mercé le offerte che a lui affluivano copiose, un ospedale per le donne inferme, che presto diventò una piccola clinica; fatto veramente stupefacente in un’epoca in cui della parola ospedale se ne ignorava anche il significato.
Don Silvestri non trascurava nessun settore bisognevole di carità e di amore. Fidando nella pubblica pietà egli procurava cibi e vettovaglie, medicinali e generi di conforto per i detenuti rinchiusi nei luoghi di pena, adoperandosi che essi, nei giorni di festività, almeno in quei giorni, non avessero a mancare di quei cibi e vivande che avrebbero gustato se fossero stati in famiglia. Il suo attaccamento per i carcerati era diventato proverbiale al punto che, unito alla influenza che egli esercitava sulle moltitudini, gli fu causa di amarezza e dolore.
L’invidia dei suoi detrattori arrivò fino ad arrecare, a lui così altruista, premuroso per le altrui sofferenze, l’onta della reclusione domiciliare per vari giorni. Riassumiamo quanto è stato scritto dallo storico foggiano Ferdinando Villani.
Avvenne, infatti, il 2 agosto del 1809 che un prete della provincia fu condannato, forse per reati politici, da un Tribunale Militare, alla pena di morte. Il derelitto, ricevuti gli ultimi sacramenti salì sul patibolo. Il giorno successivo gli si fecero i funerali avvenuti nella chiesa di S. Eligio, di cui era rettore e custode il Silvestri. Contrariamente a quanto si potesse prevedere in anticipo, il feretro del povero prete fu seguito da una moltitudine di persone che suffragarono l’anima dell’estinto di preghiere ed elemosine. Il fatto turbò le autorità del tempo e qualche maligno insinuò che era il Silvestri ad aizzare la folla e ad eccitarla a seguire il corteo di un condannato a morte; il che equivaleva alla possibilità di degenerare in un turbamento dell’ordine pubblico e della pace sociale. Tali insinuazioni provocarono un ordine di carcerazione domiciliare da parte del magistrato di polizia. Ordine revocato dopo solo alcuni giorni, in quanto le stesse autorità riconobbero la inconsistenza e l’assurdità del provvedimento.
II fatto procurò amarezza profonda nell’animo del Silvestri, ma ben presto con quello spirito di rassegnazione e di assoluta fiducia nella volontà della Divina Provvidenza, fu accettato come un semplice episodio spiacevole null’altro!
Le carceri giudiziarie di S. Eligio, addossate all’omonima chiesa, sono una delle poche testimonianze che ci rimangono dell’opera del Silvestri. Ma quei locali prima di essere adibiti a luogo di reclusione erano stati utilizzati dal “Conservatorio del Buon Consiglio”, fondato dal Silvestri, che fu per lunghi anni asilo per le convertite, cioè le donne travolte dal vizio e dalla miseria, avviate sulla strada dell’inserimento nella realtà sociale cittadina.
Veramente meritoria viene ritenuta, da coloro che si sono occupati della vita e delle opere di don Silvestri, quelle che egli ha realizzato proprio in questa istituzione dedicata alla Vergine del Buon Consiglio. Anche la educazione delle ragazze era oggetto di particolare cura: ad esse venivano impartire lezioni di lettere, di calligrafia, di disegno, di canto e di altre arti gentili, come la pittura e le cosiddette “arti minori”. E destava sempre maggiore stupore in chi si recava in visita a quell’istituto non solo il lindore, l’ordine, la pulizia che vi regnavano, ma anche e soprattutto che tutto ciò era in massima parte dovuto ad un umile prete, povero, meschino, senza alcun bene di proprietà personale, ma che nella sua umiltà e semplicità era capace di convincere chi molto aveva ricevuto dalla fortuna in ricchezze e beni, di donare a vantaggio dei meno fortunati e dei perseguitati dalla mala sorte.
Don Antonio Silvestri fu anche un esempio di coerenza e riprova vivente di come un cristiano può svolgere la propria missione di ausilio e di sostegno dei poveri, senza ambizioni personali di sorta. Quando, ad una età non più tanto giovane ed in riconoscimento delle sue alte e nobili virtù cristiane gli offersero il canonicato egli rinunciò a tale onore per rimanere saldo nei suoi propositi di apostolato e di diffusione del messaggio evangelico tra le categoria più sofferenti. Si ridusse, dopo la morte della sua adorata mamma, a vivere nella canonica della chiesa di Sant’Eligio. E quando scoppiò la tremenda pestilenza di colera egli era sulla breccia per soccorrere i malati del “lazzaretto”, tanto che si ammalò del terribile morbo ed il 20 luglio del 1837 serenamente si spense.
La sua figura. oggi purtroppo obliata dalle autorità civili ed ecclesiastiche non fu dimenticata del tutto: infatti con una delibera dei 12 ottobre 1871. il Comune di Foggia, fece murare una lapide nel Cimitero con una epigrafe dettata dal can. Prof. Pasquale Fuiani “a testimonianza della gratitudine per il sacerdote che tutta la sua vita aveva speso per sollevare gli infelici”. E nel 1898, Mons. Carlo Mola, Vescovo di Foggia, iniziò l’istruzione del processo canonico di beatificazione, affidandolo al postulatore can. don Filippo Bellizzi. Ma pare a causa delle cattive condizioni di salute del Bellizzi, il processo per la beatificazione fu sospeso e nessuno si curò di riprenderlo.
Se non fosse per un quadro che trovassi nella sala della Presidenza del Conservatorio dell’Addolorata (Conventino) di don Antonio Silvestri, oggi, non conosceremmo nemmeno il sembiante. Il quadro ad olio del pittore Luigi Consagro fu dipinto nel 1848. A questo santo sacerdote fino ad oggi è stato dedicato soltanto un viale al cimitero (e come già detto finalmente una strada cittadina in un quartiere nuovo): ben poco per onorare degnamente una figura tanto rara anche ai suoi tempi.
In verità il Municipio di Foggia fece murare sulla sua tomba una lapide che dice così:
ANTONIO SILVESTRI
PIO E VENERATO SACERDOTE
VISSE AL SACRO MINISTERO
BENEFICANDO
RICCO DELLA SOLA CARITÀ
CHE NON CHIEDE IL SUO
DIVENNE QUASI PASTORE
DEL SUO GREGGE
MODERATORE DELLA PLEBE
E NUTRICATORE DI POVERI
NATO IL 1777 SCESE IL 1837
IN QUESTO SEPOLCRO
OVE GIACQUE PER PARECCHI
LUSTRI MODESTAMENTE RICORDATO
IL MUNICIPIO INGENTILIVA LA MEMORIA
NEL 1875 INCIDENDO
IN QUESTO MARMO CHE
LA SCIENZA ED IL POTERE
SCARSAMENTE RAGGIUNGE
Un’altra lapide a ricordo del sacerdote dei poveri e dei derelitti, trovasi nella chiesetta di Sant’Eligio per ricordare le virtù dell’estinto, nel luogo che egli più di tutto predilesse, rinunciando per esso a ben più alti e cospicui onori e prebende, il cui testo come già detto è stato dettato dal prof. Don Michele Melillo. Infine siamo a conoscenza che Mons. Renato Luisi ha in animo di proporre all’Arcivescovo di Foggia, Mons. Giuseppe Lenotti, la riapertura del processo di canonizzazione di don Antonio Silvestri; processo che fu interrotto per la morte del patrocinatore. Una iniziativa, questa, che dopo circa 150 anni di oblio, a gloria di Dio della chiesa e dei suoi santi sacerdoti va adeguatamente ed urgentemente ripresa.
Gaetano Matrella
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