Condivido le perplessità manifestate da Filippo Santigliano, che sulla Gazzetta del Mezzogiorno di ieri (“Transumanza, l’Unesco e la “Dogana” dimenticata”) ha messo in evidenza che nel dossier che i commissari Unesco hanno approvato nella Convention di Bogotà non c’è un riferimento a Foggia e alla Dogana della Mena delle pecore.
Lettere Meridiane prese posizione sulla questione, già all’indomani della presentazione, a marzo del 2018, del Dossier di candidatura curato dal Ministero dell’Agricoltura sottolineando come nel comunicato diffuso dal Ministero non fossero citati né Foggia, né il Tavoliere. Della vicenda si occupò anche Maurizio De Tullio, alias Madetù, dedicando ad essa una micidiale battuta (Foggia candidata a Patrimonio dell’Umanità per via della Transumanza. Il problema è che gli abruzzesi con noi hanno fatto i soldi. Ora capisco: a loro il Patrimonio e a noi l’Umanità…) e la vignetta che illustrano questo post.
In quell’articolo, tuttavia, osservavo, a proposito della “dimenticanza” ministeriale: “Una ragione c’è, comprensibile e condivisibile. Per essere riconosciuto quale patrimonio dell’umanità, il bene, seppur immateriale, deve esistere concretamente. Se è un dialetto o una lingua, dev’essere parlato, se è un canto o una melodia dev’essere cantato o suonato. La candidatura della transumanza a patrimonio culturale immateriale dell’umanità è fondata sul fatto che essa è ancora praticata. Non più nel Tavoliere, che nel 1865 venne affrancato dal pesante vincolo demaniale che riempiva le casse dell’erario statale ma prosciugava lo sviluppo del territorio, impedendo la crescita dell’agricoltura.”
Che Foggia e la Dogana delle Pecore non figurino nel dossier non vuole dire, tuttavia, che non possano fregiarsi del riconoscimento. Molto, se non tutto, dipenderà dalla voglia e dalla capacità di cogliere l’opportunità offerta dall’Unesco, “attrezzando” opportunamente il territorio. Il che dipenderà dalle istituzioni, in primis la Regione (proprietaria della rete tratturale), il Comune, l’Archivio di Stato e l’Università, dalle associazioni.
I precedenti, tuttavia, non sono incoraggianti. È fondato il rischio che si ripeta, a proposito della Transumanza patrimonio dell’umanità, quanto è successo per la Via Francigena, dal cui tracciato Foggia è stata esclusa non solo per volontà altrui, ma anche per la propria insipienza.
Sia la presa di posizione di Lettere Meridiane dello scorso anno che quella di Filippo Santigliano sono state accolte con il consueto, distratto torpore.
L’Ufficio Tratturi, che, va ricordato, è il solo ufficio regionale non decentrato presente a Foggia e che in passato ha svolto un ruolo prezioso di salvaguardia e di promozione, vivacchia, e ogni tanto spunta fuori qualcuno che vorrebbe portarselo a Bari.
L’Archivio di Stato, che ospita le carte della Dogana della Mena delle Pecore, ha svolto un ruolo importante nella messa a punto del dossier così come Michele Pesante, nella sua duplice veste di ex dirigente dell’Ufficio Tratturi ed attuale presidente dell’associazione Tratturi e Transumanza.
Sulla questione gravano ombre, ma brillano anche luci. Sarebbe il caso che l’amministrazione comunale insediasse un tavolo per verificare il da farsi, per evitare di perdere anche quest’altra, preziosa opportunità.
Geppe Inserra
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