Sono da sempre un convinto sostenitore del “cinema al cinema”. Ma i miei ideali cominciano a vacillare, di fronte alla barbarie che si è costretti a sopportare in carte sale cinematografiche.
Sono stato a vedere Pinocchio in una multisala. La proiezione è cominciata 25 minuti più tardi rispetto all’orario annunciato, per propinare agli spettatori una valanga di insopportabili spot pubblicitari. Una volta si usava far precedere la proiezione da alcuni trailer dei film in programmazione, e poteva essere una cosa anche utile e piacevole. In quei 25 interminabili minuti di trailer se ne sono visti soltanto un paio: il resto era dedicato alla pubblicità. Inesorabile e stucchevole.
Come se non bastasse, è stato punteggiato da spot pubblicitario perfino l’intervallo tra il primo e il secondo tempo, che è già di suo una pessima usanza perché interrompe la visione senza motivo: se era necessario nell’era della pellicola, quando era necessario cambiare la “pizza” oggi non lo è più, e serve soltanto per dare agli spettatori la possibilità di andare a comprare coca cola e pop corn. O a fargli ingoiare altra pubblicità.
Ma quale idea, quale filosofia dello spettacolo cinematografico sorregge questo modo di proporre (anzi, propinare) il cinema? L’idea del cinema come mero prodotto di largo (e basso) consumo, da vendere a peso, come se si trattasse, appunto, di pop corn e patatine. Gli spettatori ridotti al rango di meri consumatori.
Non c’è di che meravigliarsi, purtroppo. Tempo fa mi sono preso la briga di misurare il rapporto tra pubblicità e informazioni sui film in programmazione nella brochure settimanale dell’anzidetta multisala. Inutile dirlo: vince la pubblicità, e in modo schiacciante.
Tre delle sei ante di cui si compone il depliant erano dedicate alla pubblicità di eventi o aziende che nulla hanno a che vedere con il cinema. Un’altra anta è riservata alla copertina, in cui trova posto l’immagine della locandina del film di maggior richiamo della settimana, più tre fotine in cui a malapena si riesce a leggere il titolo del film.
Le notizie vere e proprie sul film in programmazione erano relegate su appena due ante interne, non riempite nemmeno per intero, perché i piè di pagina erano dedicati ad informazioni e pubblicità sui servizi offerti dalla multisala.
Lo spazio riservato a sinossi e schede dei 19 film in programmazione durante la settimana occupava così soltanto un terzo della brochure con conseguenti, drastici tagli alle informazioni sui film: soltanto di 3 delle 19 pellicole in programmazione venivano fornite informazioni sul cast. Per il resto, solo pochi brevi righe di trama, e per 4 film neanche quello: solo titoli ed orari. Tra i film sacrificati sull’altare della pubblicità c’era perfino Birdman, che aveva vinto l’oscar, e di cui non veniva citato nemmeno l’autore, Alejandro González Iñárritu.
Non si può vietare per legge di proiettare la pubblicità. Ma educazione, correttezza e rispetto per il pubblico esigerebbero almeno che venga offerta allo spettatore la possibilità di entrare in sala dopo la pubblicità, precisando l’orario effettivo di inizio della proiezione, e che ci si astenga almeno dagli orrendi spot proiettati nell’intervallo, se proprio non si vuol rinunciare all’intervallo.
Per favore, ridatemi il cinema, quello vero. Non costringetemi a guardare i film soltanto su Netflix.
Geppe Inserra
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