Il post sulla stazione di Arpi, originaria (ed originale) denominazione dell’attuale stazione di Rignano Garganico, ubicata sulla ferrovia Adriatica, tra Foggia e San Severo, ha suscitato molte reazioni e tanto interesse tra gli amici e lettori di Lettere Meridiane, spingendomi a fare ulteriore ricerche.
Ho così appreso che la stazione di Arpi fu teatro di un episodio di protesta sindacale tanto clamoroso quanto singolare, che richiamò l’attenzione della stampa nazionale. Ne parlarono, in particolare, il Corriere della Sera e La Stampa.
Sono le 22.30 di lunedì, 23 gennaio 1911, quando il diretto 58 partito dalla stazione di Foggia viene costretto a fermarsi dopo aver percorso 5 o 6 chilometri, nei pressi della stazione di Arpi.
A costringere il macchinista alla brusca manovra fu “un imperativo segno di arresto”: un disco rosso luminoso, accompagnato dall’esplosione di diversi petardi.
Il capotreno scese dal convoglio ma sulle prime, forse anche per il buio, non rinvenne altro che la lanterna che illuminava il disco rosso. Ordinò quindi la ripartenza. Secondo il cronista de La Stampa, se il ferroviere avesse guardato meglio, avrebbe probabilmente rinvenuto un cartello minatorio dello stesso tipo e tenore di quello che, qualche minuto dopo l’evento foggiano, avrebbe bloccato il treno che da Ancona si stava dirigendo verso Foggia. Anche il Corriere della Sera si occupò della vicenda, fornendo però una versione diversa e parlando di “un rozzo fanale rosso posto in mezzo al binario, portante appiccicato il solito bigliettino colle stesse parola minacciose” di quello rinvenuto nelle Marche, ovvero: “
Il post sulla stazione di Arpi, originaria (ed originale) denominazione dell’attuale stazione di Rignano Garganico, ha suscitato molte reazioni e tanto interesse in amici e lettori di Lettere Meridiane, spingendomi a fare ulteriore ricerche.
Ho così appreso che la stazione di Arpi fu teatro di un episodio di protesta sindacale piuttosto clamoroso, che richiamò l’attenzione della stampa nazionale. Ne parlarono, in particolare, il Corriere della Sera e La Stampa.
Sono le 22.30 di lunedì, 23 gennaio 1911, quando il diretto 58 partito dalla stazione di Foggia viene costretto a fermarsi dopo aver percorso 5 o 6 chilometri, nei pressi della stazione di Arpi.
A costringere il macchinista alla brusca manovra fu “un imperativo segno di arresto”: un disco rosso luminoso, accompagnato dall’esplosione di diversi petardi.
Il capotreno scende dal convoglio ma sulle prime non rinvenne altro che la lanterna che illuminava il disco rosso. Ordinò quindi la ripartenza. Secondo il cronista de La Stampa, se avesse guardato meglio, avrebbe probabilmente rinvenuto un cartello minatorio dello stesso tipo e tenore di quello che, qualche minuto dopo l’evento foggiano, avrebbe bloccato il treno che da Ancona si stava dirigente verso Foggia. Anche il Corriere della Sera si occupò della vicenda, fornendo però una versione diversa e parlando di “un rozzo fanale rosso posto in mezzo al binario, portante appiccicato il solito bigliettino colle stesse parola minacciose” di quello rinvenuto nelle Marche, ovvero: “On.Sacchi, siamo pronti ad affrontarvi”.
Se La Stampa attribuisce senza tentennamenti il movente della cosa alla protesta sindacale dei ferrovieri che in quei giorni attraversava il Paese (episodi dello stesso tipo si registrarono anche a Roma e a Pisa), il quotidiano milanese è più prudente. “Il fatto è commentato in vario modo, ma i più propendono a credere che si tratta di qualche bello spirito che vuol divertirsi a spaventare il pubblico, approfittando dell’agitazione promossa dai ferrovieri per il noto progetto dell’on.Sacchi”.
Il Sacchi in questione è l’on. Ettore Sacchi, fondatore e leader del Partito Radicale, all’epoca Ministro dei Lavori Pubblici, e parlamentare per ben undici legislature. Sacchi aveva presentato un disegno di legge di riforma delle ferrovie, che erano da poco diventate statali, e rappresentavano di conseguenza la maggiore Azienda dello Stato.
Le nascenti organizzazioni sindacali di categorie chiedevano la riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore, aumenti salariali, la soluzione del problema del precariato e il condono per i colleghi raggiunti da provvedimenti disciplinari per le proteste degli anni precedenti (che a Foggia erano state particolarmente violente e sanguinose: il cosiddetto Eccidio di Foggia, nel 1905, aveva tratto origine proprio da un’agitazione dei ferrovieri). Il progetto di riforma di Sacchi recepiva solo in parte le richieste sindacali, e aveva dunque provocato profondi malumori. La scelta della sera di lunedì 23 gennaio per la singolare protesta delle “proiezioni luminose”, così come venne definita da La Stampa, non è casuale: il lunedì era infatti il giorno utilizzato da Deputati e Senatori per far ritorno a Roma dalle loro città, e molti di loro vennero coinvolti nel blocco dei treni e nei rallentamenti che ne seguirono. In ogni caso, la protesta non ebbe seguito, né raggiunse i risultati sperati: la Camera e il Senato approvarono la riforma che diventa legge a giugno di quello stesso anno.
Il buon Sacchi si riscatterà negli anni successivi presentando e facendo approvare la legge sulla condizione giuridica delle donne che rappresenta l’avvio del percorso di parità tra i sessi: con quella legge venne infatti abolita l’odiosa “autorizzazione maritale” per le donne che volessero esercitare una professione.
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