Una cosa non dimenticherò mai di Domenico De Simone: il suo sorriso, la sua innata capacità di sdrammatizzare anche le situazioni più critiche con la bonomia, sintomo di una intelligenza profonda ma anche di una curiosità intellettuale straordinaria. Ho avuto modo di conoscerlo e di volergli bene soprattutto grazie alla comune amicizia con Annamaria Zampino, essendo Domenico un assiduo frequentatore delle stanze del gruppo consiliare comunista a Palazzo Dogana. Mi impressionava la dedizione con cui approfondiva i problemi sempre pronto a dare il proprio contributo per risolverli, e sempre senza salire in cattedra, con affabilità ed apertura al confronto con chi non la pensava come lui.
A volte la storia intreccia benigne coincidenze: storico dirigente del Partito Comunista di Capitanata (è stato parlamentare e sindaco di Torremaggiore) Domenico se n’è andato proprio nel giorno in cui veniva celebrato il trentacinquesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer, che con Antonio Gramsci è stato il più grande comunista italiano del XX secolo. Lo ricordiamo con il discorso funebre pronunciato in mattinata da Lino Zicca, che sta scrivendo una biografia di De Simone e con alcune fotografie dell’archivio di Matteo Carella, scattate in occasione della mostra dedicata a Luigi Allegato. La prima è esemplare dell’innata curiosità intellettuale che sorreggeva Domenico anche negli anni della sua maturità: lo vediamo mentre legge con grande interesse la didascalia di un pannello dedicato a Gramsci. Nella seconda, De Simone è in compagnia di Michele Galante, altro ex parlamentare del Pci e dirigente della federazione provinciale comunista.
Hasta siempre, caro Domenico (g.i.)
* * *
Molte cose si potrebbero ricordare; molte cose si potrebbero dire su Domenico, come uomo, come dirigente politico, come amministratore e sindaco di Torremaggiore, come parlamentare della Repubblica.
La sua esperienza di vita è stata lunga; la sua esperienza di esponente politico, uno dei massimi dirigenti comunisti della Capitanata tra il 1960 e il 1990 del secolo scorso, è stata intensa.
Non è questo il momento per richiamarle. Esse troveranno, sicuramente posto nella sua Biografia: un lavoro che è in fase avanzata di scrittura e che avremmo voluto fosse completato con Domenico ancora in vita. Continueremo nel lavoro, con impegno e maggiore determinazione, per portarlo a termine in tempi ragionevoli così da completare, come Fondazione Vittorio Foa, il quadro di storie ed esperienze di un’intera generazione di dirigenti comunisti della Capitanata, che dal secondo dopoguerra in poi hanno dato voce ai braccianti, ai contadini poveri e ai lavoratori per una società più giusta e umana, per il lavoro e lo sviluppo della Puglia e del Mezzogiorno, per la difesa e l’estensione della democrazia, valore cardine della nostra Costituzione repubblicana.
Egli era un uomo di poche parole e, in questa circostanza, mi limiterò con poche parole a richiamare alcuni elementi che costituivano il suo modo di essere.
Domenico era animato dal bisogno di conoscere, di sapere. Egli, che fu costretto ad abbandonare la scuola in terza elementare, caparbiamente, qualche hanno dopo, non solo prese la licenza elementare ma s’iscrisse alla scuola secondaria industriale, ottenendo nei primi anni di frequenza, ottimi risultati.
Era dotato di “un’intelligenza superiore alla media”: così è riportato nelle note del direttore della scuola della Federazione Giovanile Comunista Italiana di Milano, scritte a conclusione di un corso che frequentò agli inizi degli anni ’50. Un’intelligenza viva che si abbinava al desiderio di studiare, di apprendere, di conoscere.
Non si spiegherebbe altrimenti l’accordo che prese con sua madre, quando a solo quattordici anni, passato a lavorare nella squadra dei grandi e percependo una paga più alta, disse che la differenza tra la paga da lavoratore-ragazzo e quella di lavoratore-adulto, l’avrebbe trattenuta per sé per comprare libri. Infatti, uno dei primi libri che comprò fu il Dizionario enciclopedico tecnico Melzi, che consultava, come una Bibbia, ogni qualvolta voleva approfondire qualcosa.
La concretezza, il bisogno di concretezza, era un altro suo elemento distintivo. Gli interessava il dibattito, il confronto di opinioni e tesi, era capace di ascoltare e comprendere, però voleva che le conclusioni indicassero sempre cosa fare. Infatti, i suoi interventi ponevano sempre la domanda: “Ed ora che si fa?”;”Che cosa facciamo?” Una domanda alla quale egli sapeva rispondere, indicando la strada da seguire e il modo per risolvere i problemi.
Questi due elementi caratteristici, brevemente richiamati, stanno alla base della sua esperienza di amministratore della sua città, della sua Torremaggiore che ha amato intensamente.
È stato un sindaco moderno, per quei tempi e per la realtà in cui ha operato. Mi permetto di dire uno dei migliori sindaci della Capitanata e della Puglia.
Le grandi scelte e realizzazioni che le sue amministrazioni hanno portato a compimento sono il frutto da un lato della voglia di conoscere (s’informava circa progetti ed esperienze di altre realtà, li verificava con visite e sopralluoghi approfonditi e ci rifletteva su) e dall’altro della voglia di fare (studio, progettazione e ricerca del modo per trasferire quelle esperienze nella sua città). Seguendo questo metodo (“le cose che si fanno al Nord si possono fare anche da noi”: questo diceva sempre), e con l’apporto di bravi funzionari e dei consiglieri comunali, sono stati raggiunti risultati positivi. Come già detto “unici per quei tempi e per la realtà in cui ha operato”, quali: il consultorio socio-sanitario, la scuola materna, gli asili nido, la fondazione della scuola musicale, e ancora il Piano commerciale, il Piano Regolatore Generale, che ancora oggi, a distanza di tanti anni, mantengono elementi di validità.
Per concludere, sempre parlando del metodo che sentiva come naturale, ogni qualvolta occorreva compiere scelte significative per Torremaggiore, cercava e manteneva vivo il rapporto con la città: con i lavoratori, i contadini, i coltivatori diretti, i commercianti, gli artigiani, gli insegnanti, i professionisti. Ogni qualvolta c’erano problemi, girava tutti i quartieri, e per ultimo il Codacchio; si tuffava nel popolo, non solo il popolo del suo partito ma il popolo tutto. Così veniva a capo dei problemi con il confronto schietto e franco e il consenso dei cittadini.
Se ne va un dirigente comunista, conosciuto e stimato, un grande sindaco e brav’uomo, amato a Torremaggiore e in tutta la Capitanata, come stanno a dimostrare le numerosissime testimonianze che stanno giungendo ai suoi familiari, ai quali rivolgo le più commosse condoglianze.
Non mi resta che darti un caro saluto, caro Domenico. Pregandoti di portare un saluto al nostro Michele Pistillo, tuo compagno sin da ragazzo, che ti ha anticipato nel trapasso di qualche giorno, il quale ha lasciato, insieme con te, un vuoto immenso.
Lino Zicca
Torremaggiore, 12 giugno 2019
Views: 598