Il cuore antico di Vico nella bottega di Michelina e Giovanni

Ogni città, ogni paese, non quartiere, ogni strada è mondo. L’importante è saperli raccontare. È attraverso la narrazione che diventa memoria, che diventano universali, e vengono consegnati al tempo.

Perché, come diceva Guimarães Rosa, raccontare è resistere.

Nella storia di Michelina e Giovanni, e della loro bottega al Trappitello di Vico del Gargano, Francesco A.P. Saggese riesce a dare senso alla “resilienza” della scrittura meglio di quanto potrebbe fare un saggio o manuale. Impreziosita dalle accorate e partecipate immagini di Pasquale D’Apolito (è incredibile come Pasquale riesca a farti sentire dentro e assieme le scene che fotografa), è una storia da leggere dalla prima all’ultima parola. Da custodire. Da tramandare.

Eccovela, cari amici e lettori di Lettere Meridiane. Potete scaricarla in versione pdf utilizzato il link che trovate in cima al post. Buona lettura e buone emozioni. (geppe inserra)

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La parola “resilienza” appare tatuata sulle braccia di molte persone, altre le hanno costruito dei versi poetici intorno.

C’è chi la ripete sui post di Facebook e chi se l’è fatta stampare sulla propria maglietta, come se fosse una moda.

C’è chi invece la resilienza la vive e la fa ogni giorno, ogni mese, ogni anno di questi ultimi decenni, in cui l’emigrazione e la globalizzazione hanno provato a portasi via tutto dai piccoli paesi, a cominciare dalle botteghe di alimentari che ognuno di noi aveva sotto casa o a pochi passi.

Hanno così resistito Michelina e Giovanni.

Lo fanno da 43 anni, compresi questi ultimi, più complicati e controversi, e lo fanno tenendo aperta la propria bottega di alimentari in un quartiere popolare di Vico del Gargano, quello del Trappitello; lo fanno con il sorriso in bocca e con il grembiule al collo.

Lo fanno ascoltando la gente che va a fare la spesa, lo fanno portando la spesa a casa a chi non può uscire fuori, o perché anziano, o perché malato, o semplicemente perché fuori è brutto tempo.

Gli scaffali con la pasta, lo zucchero, la farina, il caffè, i biscotti, quelli riservati ai detersivi, il frigo per il latte fresco e le mozzarelle, un altro bancone dove spiccano la mortadella, il salame, ed altri salumi; i caciocavalli sospesi al soffitto, le casse d’acqua, l’odore del pane fresco, sono tutti elementi di una scenografia di altri tempi, altrove scomparsa. 

Eppure ne sono passate di macchine cariche di valige e di “addii”, ora per Torino, ora per la Germania o chissà dove; eppure, se ne sono spente di luci negli appartamenti dei palazzi che circondano questo negozio, come pure di altre botteghe alimentari che qui operavano.

Ma non è stato così per il negozio di Michelina e Giovanni, che proprio qui, in questo angolo di paese, rappresentano un’istituzione, un punto d’incontro, un luogo.

Mi dice Michelina che “solo in questo quartiere c’erano tre negozi, e nel quartiere del Carmine altri tre ancora. Adesso qui siamo rimasti solo noi”.

Una bottega di quartiere che ha aperto al pubblico il 2 maggio 1976: “dopo un periodo di lavoro in Germania, abbiamo deciso di aprire questo negozietto, e da allora, è stato sempre bello venire a lavorare”, mi racconta Michelina.

In questo negozio, così come in altri negozietti ormai scomparsi, c’era il “quaderno dei conti”, dove chi non poteva pagare faceva “segnare” la propria spesa sul quaderno, poi a fine settimana o a fine mese si saldava tutto, o quasi tutto.

Quanta fiducia, quanto amore saranno passati da qui, mi chiedo mentre ascolto questa storia.

E per un attimo mi commuovo di fronte a gesti simili, ormai scomparsi, perduti, a fronte di una realtà nuova che forse è arrivata troppo in fretta, portandosi via la parte migliore di noi.

C’è una signora anziana che sopraggiunge e mi sussurra: “a me portano l’acqua fino a casa, dillo”.

Mi racconta ancora Michelina che nel quartiere “non ci sono più molti bambini come una volta, ora sono grandi, molti se ne sono andati all’estero o al Nord, poi si sono sposati, ma quando tornano con i figli, vengono sempre a trovarci”.

Giovanni mi racconta orgoglioso del suo “panino alla Giovanni”, che spopola tra i vichese e fuori: “mortadella, salame piccante, formaggio (caciocavallo, provolone, galbanino, a seconda del gusto)”.

Più mi guardo intorno, più li sento parlare tra di loro e più mi accorgo che questa storia non è una storia d’altri tempi, ormai passata, destinata all’estinzione, al contrario, è una storia attualissima, dove si possono leggere tante sfaccettature di una realtà positiva, che può e che vuole dare il proprio contributo al paese.

Questa bottega è il racconto di un paese nel mondo.

Questa bottega è un manifesto.

“Questo è il negozio del quartiere, la gente viene anche in pigiama a fare la spesa; non dovrebbe sparire mai, qui si scambia qualche parola, qualche consiglio, le preoccupazioni”, aggiunge infine Michelina, “e noi non abbiamo intenzione di chiudere: vogliamo lavorare fino a 85 anni e gli altri 15 anni vogliamo goderci la pensione”.

Così, mentre Pasquale scatta le sue foto, ancora una volta mi guardo intorno: ritrovo intimità.

Penso a quando ero piccolo anch’io, alle volte in cui sono venuto qui con la cartella sulle spalle a comprare il panino per andare a scuola, alla suonata di clacson che faccio ogni volta che riparto, penso alla gente che è passata da qui, a chi se n’è andato, a chi è rimasto, ai racconti di paese che hanno popolato queste mura, a chi non poteva comprare il pane, a chi gli ha detto “non preoccuparti me li dai quando puoi”, a chi qui ci viene ancora, a tutti quelli che verranno ancora, e ancora, per sempre.

Francesco A.P. Saggese

Le foto sono di Pasquale D’Apolito (28 mm Studio).

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Author: Francesco A.P. Saggese

2 thoughts on “Il cuore antico di Vico nella bottega di Michelina e Giovanni

  1. a ricordare tutti gli amici vichesi che non ci sono più. Come Bergantino, che tanto hanno fatto per questa città. ha detto:

    Bel racconto quello di Saggese. Una memoria che resta ed insegna, con la speranza che possano farla propria le nuove generazioni del mondo, a prescindere, perché emozioni e sentimenti che esprimono appartengo all’intera umanità. Inoltre, il racconto mi spinge a ricordR

  2. Vivere in queste località non è come vivere in città. La gente vive il movimento del paese anche stando a casa propria. Quello che succede in poco tempo viene alle orecchie di tutto il paese. il punto d’incontro è dal “quaratino”, il negozio di generi alimentari do il paesano ogni mattina va a comperare il necessario del giorno anche se non ha i soldi per farlo. Tutto questo in città non è possibile. Vivere in questi posti vuol dire vivere fuori dal mondo, anche se il mondo lo si vede alla televisione di casa. Complimenti.

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