Ci sono tanti modi di esternare sentimenti antimeridionali.
Si può farlo in maniera diretta e greve, come il ministro della Pubblica Istruzione Marco Bussetti, che alla domanda di un cronista su cosa necessiti alla scuola meridionale per recuperare il gap con quella settentrionale ha risposto che non servono più finanziamenti ma “più sacrificio, più lavoro, più impegno” dei meridionali, implicitamente additandoli quali scansafatiche.
Oppure in maniera più lieve e subdola, come il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, secondo il quale “il problema sta nell’attenzione che le famiglie rivolgono alla scuola. Al Nord hanno maggiormente capito che l’investimento in istruzione è fondamentale per i loro figli. Questo avviene in misura minore al Sud, dove conta di più il titolo formale che non quanto si è effettivamente imparato. (La Repubblica, 10 febbraio 2019)”
La tesi sostenuta da Gavosto sembra più uno stereotipo estratto di peso da un film di Checco Zalone (“studiare è come andare al bagno: alla fine il pezzo di carta serve sempre”) che non il risultato di una indagine sociologica vera e approfondita.
E poi, che c’accocchia? Vuoi vedere che l’endemica mancanza di asili nido, il tempo scolastico molto più breve al Sud che al Nord, la dispersione scolastica alimentata dalla povertà e dalla sfiducia nello Stato, la sistematica sperequazione nella distribuzione delle risorse per l’istruzione, sono il frutto del presunto attaccamento dei meridionali al pezzo di carta?
Quanto sta accadendo in questi giorni, alla vigilia della “secessione dei ricchi”, che con l’autonomia differenziata del lombardo-veneto sancirà la fine dell’Unità nazionale, dovrebbe indurre i sinceri meridionalisti ad un’attenta riflessione.
Forse è giunto il momento di ribaltare la strategia d’ingaggio.
Si sono spesi decenni, anzi secoli, di studi e riflessioni sulla genesi della questione meridionale. Ma sarebbe più corretto e, chissà, fruttuoso, interrogarsi sulle ragioni dell’antimeridionalismo viscerale che alberga nell’anima degli italiani non meridionali.
Un fenomeno profondo, radicato, assai poco investigato.
A proposito, tutti si indignano (giustamente) per i “buu” razzisti che piovono da certe curve all’indirizzo dei calciatori di colore.
Ma non è altrettanto razzista inneggiare alle eruzioni del Vesuvio? Solo che di questo fenomeno, più diffuso ma meno mediatico, non parla nessuno.
Geppe Inserra
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