Tecnica e tecnologia non si limitano a modificare il territorio nei suoi aspetti morfologici, ambientali, naturali e paesaggistici. Influenzano profondamente anche la comunità che quel territorio abita: il suo modo di relazionarsi al territorio stesso, di trasformarlo, di adattarlo alle proprie necessità.
In questo senso tecnica e tecnologia producono storia, e il tecnico, che attraverso la tecnologia modifica il territorio, è un agente della storia di particolare importanza.
È per questo che il lavoro del tecnico non dovrebbe essere mai disgiunto dalla comprensione e dalla previsione delle conseguenze che le sue opere produrranno sul corso della storia. Tra tecnica ed umanistica non dovrebbe esservi quella contrapposizione che spesso trapela nel sentimento comune. Per fortuna si tratta di stereotipi. Conosco ottimi ingegnere che sono anche appassionati umanisti. Uno di questi è stato sicuramente il compianto Giuseppe d’Arcangelo, passato a miglior vita da qualche giorno: nella sua vita professionale è stato apprezzato direttore del Consorzio di Bonifica di Capitanata, uno dei più grandi e importanti d’Europa, in quella civile ha diretto il Centro Culturale Polivalente di Ascoli Satriano. Suppongo che tra le cause della passione storica e culturale di d’Alessandro debba esservi stata l’amicizia con Salvatore Ciccone, giornalista, saggista, uomo di cultura che ha diretto per lunghi anni l’ufficio stampa del Consorzio, facendo della rivista Bonifica un modello nel suo genere.
Lettere Meridiane ricorda Giuseppe d’Arcangelo pubblicando l’importante relazione che svolse il 5 maggio del 2004, al convegno organizzato dal “suo” Consorzio su Ammodernamento e innovazione tecnologica nelle reti irrigue e delle opere di bonifica, durante la 55sima edizione della Fiera Internazionale dell’Agricoltura di Foggia. Il tema della relazione, I comprensori irrigui, non rende giustizia alla ricchezza del racconto dell’autore, che va ben oltre la pura analisi tecnica dello stato dell’arte delle opere e dei servizi irrigui in Capitanata, raccontando un pezzo importante – e non troppo conosciuto – della storia del Tavoliere.
In un certo senso, proprio la storia della bonifica in Capitanata testimonia del complesso equilibrio tra tecnica, ambiente e società di cui si diceva all’inizio. D’Alessandro lo ricostruisce con il rigore del tecnico e la passione dell’umanista. Il risultato è eccellente. Buona lettura. (g.i.)
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Il territorio storico
I motivi e i contenuti di questo incontro sono illustrati idealmente nel manifesto di annuncio: una rappresentazione cartografica antica con l’aggiornamento grafico di uno dei simboli del progresso informatico che ha investito il territorio.
L’antica rappresentazione del territorio è rimasta immutata sino agli anni ’30 del secolo passato.
In epoche storiche e protostoriche, il Tavoliere è stato sede di numerosi insediamenti umani, nel periodo neolitico, nelle età del bronzo e del ferro. Si conoscono con certezza i centri urbani in epoca Dauna e Romana: Passo di Corvo, Herdonia, Saipia Vetus, Salapia, Sipontum, Arpi, S. Giusta, Collatia Carmeia, Ergitium e Cupola.
A partire dall’alto medioevo VII e VIII secolo, tali centri urbani sono completamente scomparsi per il peggioramento della vivibilità territoriale. Il disordine idraulico si presentava diffuso allorché la maggior parte del Tavoliere con la formazione di estesi acquitrini, lagune e interramento di fiumi navigabili, in corrispondenza dei porti, divenne inospitale e insalubre. La barra duna-le creatasi con l’apporto di torbide di fiumi e torrenti sfociami nel Golfo di Manfredonia impediva all’acqua scolante proveniente dal Preappennino di defluire a mare. Tale situazione si è perpetuata fino agli inizi del XIX secolo. L’estensione degli acquitrini e delle paludi fluttuavano con le stagioni, massima estensione durante l’inverno e minima durante le prolungate e caldissime stagioni estive e autunnali.
L’esteso territorio, idraulicamente disordinato, venne utilizzato economicamente nell’unico modo utile e redditizio: la pastorizia transumante.
L’attività economica storica
Il territorio, di proprietà regia, nella metà del XV secolo, dal primo Re aragonese fu trasformato in una perfetta macchina fiscale, con regole dure e precise che mutarono il Tavoliere in un deserto, soggetto a una pura economia di rapina e conseguente diffusione della cultura del pastore, che si sa, non mette mai radici e si appropria di tutto quello che trova sulla via.
Il puntuale prelievo fiscale avveniva all’ingresso delle greggi nel territorio della Dogana. L’amministrazione doganale non si preoccupò mai di programmare ed eseguire una seria ed efficace politica di bonifica e valorizzazione del territorio. Salvo qualche strada strategica, la mobilità territoriale era assicurata dalla rete fratturale con cui si muovevano le greggi di pecore.
Nel periodo invernale, un enorme numero di pecore svernava nel Tavoliere e tornava sulla montagne abruzzesi, campane e lucane durante il periodo estivo. Con l’Unità d’Italia, i piemontesi affrancarono al privato questa estesa proprietà pubblica e inizia una lentissima evoluzione dell’utilizzo agricolo del territorio in senso moderno. Si iniziarono a formare quelle classi di imprenditori necessarie allo sviluppo demografico e sociale del territorio, che a tutti oggi non si è compiutamente formato.
La bonifica
Sta di fatto che sterminati pascoli venivano spazzolati sistematicamente da milioni di pecore. Ancora nel 1930, 65 anni dopo l’Affrancazione del territorio da parte dei privati, gli animali da pascolo ammontavano a circa 410.000.1 pascoli erano estesi per poco meno di 120.000 ettari (27%), mentre le aree boscate erano poco più di 3500 ettari (0,8%). La situazione rimase tale fino all’epoca dei dissodamenti e della battaglia del grano del fascismo.
Il risanamento delle aree malsane, mediante il prosciugamento delle aree paludose e la regimazione idraulica delle acque meteoriche, ha comportato un mutamento del paesaggio e, al tempo stesso, effetti sulla demografia. Si è assistito ad un progressivo incremento della popolazione dei principali centri abitati di pianura. Questi, riassestati e rimessi dal punto di vista igienico e sanitario, offrivano agli abitanti delle cittadine situate nelle aree collinari e montane, fino allora preferite per la loro salubrità, maggiori prospettive di crescita economica e di sviluppo. Dal 1931 al 1998 la densità della popolazione all’interno del comprensorio di bonifica è passata da 55 abitanti per Km2 a 155 abitanti per Km2. Sono stati i centri abitati di pianura a crescere e tra questi, sorvolando sui comuni minori, Foggia che ha visto triplicare i suoi residenti, passati da 55.000 a 155.000, Lucerà da 18.000 a 26.000, Manfredonia da 19.000 a 58.000, San Severo da 36.000 a 55.000 e Cerignola da 33.000 a 56.000.
L’irrigazione
A partire dalla metà degli anni ’50, il Consorzio, parallelamente alla prosecuzione del Programma previsto dal Piano Generale di Bonifica, ha iniziato a realizzare le opere principali dei grandi comprensori irrigui a servizio della pianura di Capitanata.
Nel 1952 l’Ente irrigazione di Puglia e Lucania inizia la costruzione della Traversa di S. Venere sul fiume Ofanto, nel 1956 il Consorzio parte con la costruzione dello sbarramento sul torrente Osento affluente del fiume Ofanto negli agri di Monteverde e Aquilonia in Alta Irpinia. Nel 1958 il Consorzio avvia la costruzione della diga di Occhito in agro di Cariammo nel Preappennino Dauno. Nel 1969 iniziano i lavori della diga sulla Marana Capacciotti in agro di Cerignola e Ascoli Satriano. Nel 1989 si iniziano i lavori di realizzazione della diga sul torrente Celone in agro di Lucerà e nel 2001 si è realizzata la traversa sul torrente Vulgano in agro di Lucera.
Alla fine degli anni ’60 si incomincia la costruzione delle reti irrigue del Comprensorio Fortore, nel 1976 quelle del Comprensorio in sinistra Ofanto. Il primo impianto irriguo è stato del tipo a canalette nei territori comunali di Lesina e San-nicandro Garganico nella piana di Sagri. Il malfunzionamento, lo spreco della risorsa e l’antieconomicità determinarono la chiusura e la dismissione dell’impianto a metà degli anni ’90.
Allo stato sono state attrezzate aree irrigue per 105.000 ha nel Fortore e 39.000 ha nella sinistra Ofanto. Le reti entrate in esercizio regolare a partire dal 1975 nel Fortore e dal 1983 nella sinistra Ofanto hanno assolto e assolvono alla funzione di supporto strategico allo sviluppo dell’agricoltura in particolare, e a quello economico della Capitanata.
L’innovazione tecnologica
L’esigenza di contenere i costi di gestione manutenzione delle opere irrigue e di bonifica ha indotto il Consorzio a cercare sistemi innovativi di gestione e manutenzione degli impianti sia essi dighe, impianti di sollevamento, idrovore, reti irrigue.
Nella gestione delle reti irrigue fin dagli anni ’80 si è pensato di automatizzare alcuni segmenti dei processi di trasporto e distribuzione delle acque irrigue. Infatti, si sono realizzati impianti di teleregolazione e telecomando sulla rete di trasporto, funzioni che permettono di monitorare e tenere sotto controllo tutte le strutture idrauliche e relativi apparecchi di intercettazione di un unico centro di controllo telematico per la maggior parte dei distretti del nord Fortore 9-10A-1 OB-1 OC-1 OD ella partire dal nodo idraulico di Finocchito, su circa 36000 ettari.
Analoghe innovazioni tecnologiche sono state realizzate nel sud Fortore sulle reti chiuse ad anello, a partire dalle torri piezometriche P1-P2-P3 e dei distretti 6B-12 e 13 su una superficie di circa 30.000 ettari. Per svincolare la lettura dall’operatività manuale dell’operaio letturista, il Consorzio ha promosso la sperimentazione di messa a punto di un dispositivo elettronico che abilita alla chiusura, all’apertura delle erogazioni di acqua ai consorziati e di registrare la lettura in maniera elettronica e rilevare automaticamente i consumi irregolari. Il Consorzio ha già in normale esercizio con questa tecnologia tutta l’area della sinistra Ofanto. Contestualmente nei distretti irrigui del Fortore 6B e 12 si sta sperimentando anche la lettura e la trasmissione telematica delle letture: ciò permetterà di realizzare notevoli economie di scala.
Infine, l’innovazione tecnologica ha anche interessato manufatti complessi: gli sbarramenti, gli impianti di sollevamento irriguo e le idrovore che dominano i polder di bonifica, inoltre il rilevamento e la diffusione in tempo reale dei dati agrometeorologici provenienti dalla rete delle capannine completamente automatizzate.
Di tutte queste sperimentazioni, installazioni, utilizzo e gestione di tutti gli approfondimenti informatici parleranno i protagonisti di queste iniziative: ovvero i tecnici del Consorzio siano essi tecnici in senso stretto o amministrativi. Non vi sono relatori esterni perché, nella realtà della Capitanata non sono presenti società o tecnici esterni che possano relazionare in merito alla sperimentazione effettuata e alla gestione della stessa, esclusiva iniziativa del Consorzio sia in termini di know-how, sia di risorse umane e finanziarie.
I siti e le attività consorziali
Numerosissimi sono i siti su cui sono dislocate le opere e su cui l’organizzazione consortile svolge le sue attività:
- Opere di bonifica 1800 Km di corsi d acqua e canali, 15 idrovore, 84 valvole fluviali, 10 polder, 3 acquedotti rurali;
- Opere di irrigazione: 4 dighe, 2 Traverse, 24 Km di galleria, 41 Km di canali artificiali, 1010 Km di adduttori di grande diametro, 8000 Km di rete distributiva irrigua, 140,000 ha attrezzati all’irrigazione, 13 centri di irrigazione, 35 distretti irrigui, 8 impianti di sollevamento, 6 grandi torri piezometriche.
Nel comprensorio di bonifica, comprendente gli agri di 39 comuni, il Consorzio assicura la presenza continua e puntuale sul territorio.
Tale presenza e l intensa attività istituzionale sono quasi sconosciute e sottostimate dalla società civile. Ci si accorge del Consorzio solo in occasione di disastri naturali, quando comunque e senza ragioni o motivazioni oggettive si cercano colpevoli o, in ogni caso, capri espiatori a giustificazione di inerzia e inadempienze delle istituzioni territoriali che hanno la responsabilità del governo territoriale.
In questo incontro corre l’obbligo di rimediare a questa disfunzione rnediatica affermando, senza timore di smentita, che a partire dal 1928, questa lungimirante istituzione ha recuperato alla vivibilità e alla utilizzazione economica oltre mezzo milione di ettari nel territorio della Capitanata, portando ordine idraulico, eliminando la insalubrità territoriale costruendo una moderna rete stradale e una rete elettrica rurale, affrancandoli da un agricoltura agro -zootecnica di stampo medievale. In breve, il Consorzio ha trasformato estese plaghe di acquitrini in fiorenti campi coltivabili e realizzando, infine, grandi strutture irrigue che hanno permesso alle aziende agricole di inserirsi nel moderno mercato.
Conclusioni
Lo sforzo attuale del Consorzio è quello di porsi come obiettivo la gestione delle opere consortili, di bonifica, di irrigazione, dell’ambiente, in maniera massima-mente economica con l’aiuto dell’innovazione tecnologica. Pertanto, riconoscenza va alle generazioni di operatori consortili che hanno prestato la loro opera, siano essi amministratori o dipendenti.
Non senza qualche punta di orgoglio constatiamo che il Consorzio è oggetto di alta attenzione di Istituzioni di ricerca internazionali, nazionali e locali per i compiti che svolge, per le iniziative che attiva e per la vasta collaborazione con le Istituzioni che coinvolgono l’Ente per la competenza, l’affidabilità e la disponibilità e soprattutto per la preparazione delle risorse umane di cui dispone.
Queste sono le motivazioni della partecipazione come partner a numerosi progetti internazionali finanziati dalla Comunità Europea, partecipazione sostenuta dalla notevole esperienza acquisita in 80 anni di attività internazionali sia nel campo strettamente tecnico della bonifica, dell’irrigazione, dell’ambiente, e sia come modello di gestione diretta da parte dei beneficiari finali delle attività consortili: gli agricoltori
Si è ritenuto di non fare relazioni di carattere generale ma di parlare delle effettive esperienze maturate per informare e partecipare l’importanza della presenza nel territorio della Capitanata; del Consorzio; e, in particolare, evidenziare quelle risorse di capacità per l’aggiornamento tecnologico che altrimenti rimarrebbe nascosto e non darebbe il giusto rilievo al personale artefice di queste innovazioni che non hanno niente da invidiare ad altre aree che sembrano essere molto più avanti della realtà in cui viviamo.
Giuseppe d’Arcangelo
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Caro Ingegnere. L’altra mattina sono venuto al Suo funerale ma non ho potuto parlare con nessuno dei Suoi cari. Avrei voluto dire loro tante cose. Mi resta il ricordo delle infinite lacrime che ho versato dal momento che ho appreso la triste notizia. Lacrime vere per una Persona Speciale che ho conosciuto troppo tardi e per breve tempo. Ogni volta che mi veniva a trovare in Biblioteca per me era una gioia e lo sapevo perché sapevo che anch’io ero entrato piano piano nelle Sue simpatie.
Ora il caffè non potrò più offrirglielo ma ho l’obbligo di dirLe che la mia ricerca storica sui morti dei bombardamenti su Foggia del 1943, che tanto appassionò anche Lei, quando sarà (presto) resa pubblica sarà dedicata alla Sua memoria. Le sarò sempre profondamente grato per l’aiuto certosino che profuse per la ricerca sugli sfollati ad Ascoli. Grazie infinite per la Sua smisurata cultura, per la viva umanità, per la passione vera che metteva a titolo gratuito in ogni cosa. Almeno in quest’ultimo aspetto ci siamo somigliati un po’!
Appena sarà possibile, tornerò ad offrirle il Buon caffè che si aspettava da me.
Sincere condoglianze alla Sua cara famiglia.
Sig. Maurizio De Tullio
(Biblioteca Provinciale di Foggia)