Il sindaco di Biccari, nonché caro amico, Gianfilippo Mignogna, mi gratifica di una lunga citazione al termine dell’ennesimo, interessante articolo pubblicato sul suo blog Melascrivo, per denunciare i drammatici problemi che angustiano i piccoli comuni delle aree interne, e quelli dei Monti Dauni, in particolare.
Commentando il libro a cura di Sabrina Lucatelli e Francesco Monaco “La Voce dei Sindaci delle Aree Interne – Problemi e prospettive della Strategia Nazionale”, uscito recentemente per i tipi di Rubettino editore, Mignogna prende in esame le risposte date dai sindaci, suoi colleghi, alla domanda dei curatori del volume circa i bisogni loro rappresentati dai cittadini.
È quasi un coro: la strada dissestata, i lampioni che mancano. Manca una visione del futuro, che vada oltre il “qui ed oggi”.
Gianfilippo, che è uno che vede sempre molto lontano, sottolinea l’importanza di forme associative tra i piccoli comuni, manifestando particolare fiducia nella costituenda Federazione delle Aree Interne, che costituisce il naturale approdo della Strategia Nazionale delle aree interne, e del movimento – non solo culturale, ma anche istituzionale – che da essa è scaturito.
Ma come conciliare questa strategia di largo respiro con la difficoltà, che si intravede nella cittadinanza, di mobilitarsi per progetti di medio e lungo periodo?
“Non saprei dare una spiegazione a questo “sentimento” – scrive il sindaco Mignogna con la consueta onestà intellettuale – , ma so che occorre fare qualcosa. L’ordinaria amministrazione, per quanto importante, non può bastarci. Ed allora deve scoccare l’ora della partecipazione. Quella vera, reale. Solo così ci si può salvare. Il futuro dei Piccoli Comuni non può essere una questione da addetti ai lavori.
La Strategia Nazionale delle Aree Interne deve coinvolgere maggiormente le popolazioni locali e farsi capire, perché senza di loro non c’è storia. Ma anche noi dal basso dobbiamo lavorare di più e meglio. È necessario riaccendere entusiasmo, partecipazione, voglia di fare tra i residenti. I progetti e gli adempimenti burocratici non bastano. Ci vogliono anima, passione, fiducia. È urgente trovare il modo di coniugare sogni e bisogni. I cittadini non devono sentirsi sopravvissuti, ma pionieri. Non devono galleggiare, ma cavalcare le onde… Abbiamo bisogno più di luce negli occhi, che di lampadine nelle strade…”
Gianfilippo cita come modello da imitare la Marcia dei Trentamila, la grandiosa mobilitazione popolare che, mezzo secolo fa, sostenne la sacrosanta rivendicazione che il metano, da poco scoperto nelle viscere dei Monti Dauni, venisse utilizzato in loco, per alimentare l’industrializzazione di quelle aree.
Il popolo scese in piazza, occupò i pozzi, costrinse il Governo a venire a patti.
Qualche mese fa, i sindaci dei comuni metaniferi hanno duramente protestato verso la Regione che ha dirottato altrove le royalties versate dalle compagnie che sfruttano i pozzi.
La protesta è finita lì, anche perché la popolazione si è limitata a qualche protesta sui social…
Per dirla brutalmente, i sindaci sono lasciati soli.
Nella lettera meridiana citata da Gianfilippo (Perché il Subappennino è stato sconfitto) motivavo la contraddizione tra allora ed oggi proprio nell’assenza di tensione ideale e morale (battersi per il futuro proprio e delle generazioni a venire è prima di tutto una questione morale e poi politica), di partecipazione, di desiderio di essere protagonisti: “Oggi il Subappennino perde perché le masse hanno smesso di essere protagoniste”.
Il problema non riguarda solo le aree interne. È anche la conseguenza dei durissimi colpi inferti ai corpi intermedi, alla fine dei Partiti, alla crisi di rappresentatività del Sindacato, è il prezzo che si paga alla suggestione della democrazia diretta dove basta un clic per decidere, all’illusione di fare politica restando dietro lo schermo di un computer senza più “scendere in piazza”.
Ma c’è un’altra, drammatica differenza tra cinquant’anni fa ed oggi. Allora c’era un futuro a portata di mano. Oggi non più. Non c’è più tempo.
All’analisi del sindaco Mignogna mi permetto di aggiungere sommessamente un’altra possibile causa della domanda “qui e oggi” che giunge dalla popolazione residente nei piccoli comuni. Si chiede di affrontare i problemi del quotidiano semplicemente perché si è più vecchi, e quindi con minori aspettative di vita.
Il 24% circa dei residenti ha più di 65 anni (a fronte del 19% dei residenti in altri comuni).
Con il ridursi dell’aspettativa di vita, si riduce anche la speranza.
Lo spopolamento e la desertificazione sono il problema più drammatico che i sindaci devono affrontare, a prescindere dal sentire dei loro concittadini.
Dal canto suo, Gianfilippo Mignogna ce l’ha messa tutta. Biccari è diventata una sorta di isola felice, un modello di buone prassi.
Così come Monteleone di Puglia, dove il primo cittadino, Giovanni Campese, ha messo in atto (coinvolgendo l’intera popolazione) politiche di accoglienza sul modello Riace che sono una concreta risposta allo spopolamento, o ancora Accadia, il cui sindaco Pasquale Murgante negli scorsi giorni a Roma ha illustrato il sogno di recuperare l’antico Rione Fossi, il borgo medievale che costituisce uno degli angoli più belli di Puglia.
Sperare non è impossibile. Si può, si deve. Tornando in piazza, tornando alla partecipazione.
Geppe Inserra
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