Il conferimento dei tre permessi di ricerca alla società Global Med Llc. per effettuare ricerche petrolifere nel mar Ionio, che tante polemiche hanno suscitato, è, tra l’altro, motivato dal direttore generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico con quanto contenuto in due rapporti scientifici, ripetutamente citati nei decreti di concessione dei permessi.
In realtà, proprio un’attenta lettura dei due rapporti solleva più di una perplessità sullo “stato dell’arte” delle attuali conoscenze in materia di impatto ambientale delle tecniche di prospezione che si avvalgono degli airgun, i cannoni ad aria compresa utilizzati per la ricerca di idrocarburi nel sottosuolo marino.
Il primo dei due documenti citati nei decreti ministeriali di conferimento dei permessi, è il “Rapporto sugli effetti per l’ecosistema marino della tecnica dell’airgun”, redatto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale”, pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente. L’edizione cui si richiama il provvedimento ministeriale è la seconda.
È un documento ampio e dettagliato, in cui, a pagina 26, si legge testualmente: “non vi sono evidenze che la sorgente di rumore “airgun” sia causa di alterazioni sensibili agli equilibri ecosistemici marini. Purtuttavia, studi e osservazioni mostrano la potenzialità che taluni effetti li minaccino. Tra questi, in particolare: alcuni mammiferi marini e pesci hanno evidenziato alterazioni comportamentali (risposta di allarme, cambiamento negli schemi di nuoto, disturbo della comunicazione acustica, deviazione dalle abituali rotte migratorie, ecc.); alcuni invertebrati, soprattutto Cefalopodi, hanno mostrato di subire danni fisiologici, in particolare a carico degli statocisti, organi di senso statico costituiti da una vescicola rivestita di cellule ciliate collegate al sistema nervoso e contenente una o più concrezioni saline organiche o inorganiche (statoliti), determinando alterazioni nel nuoto; popolamenti planctonici hanno subito mortalità causata dall’airgun sino a una distanza di circa un chilometro dalla sorgente.”
E non è tutto, nella pagina successiva si legge, nel capitolo riguardante “effetti sui pesci” che “vi sono alcune evidenze aggiuntive di effetti sui pesci rispetto a quanto riportato nel Primo rapporto, in particolare per quanto riguarda gli effetti sul comportamento. Inoltre, in conseguenza dello stress causato dal rumore, possono manifestarsi alterazioni e disturbi in alcuni ambiti della loro biologia, quali i processi riproduttivi, l’accrescimento e il tasso di sopravvivenza alla predazione.”
Gli estensori del rapporto manifestano timori anche per quanto riguarda gli effetti provocati dagli airgun sulla pesca commerciale: si rileva “in conseguenza di prospezioni sismiche, una diminuzione dei tassi di cattura da parte della pesca commerciale per risposte comportamentali di allarme, evitamento, migrazione e perdita di equilibrio.”
Il rapporto, pubblicato nel 2017, aggiorna il precedente, avvalendosi dei risultati di studi più recenti, come quello condotto da McCauley ed altri che paventano effetti negativi anche sugli ecosistemi marini, in particolare modo per quanto riguarda gli invertebrati. Lo studio ha descritto “nuove evidenze a carico dello zooplancton, una componente essenziale di ogni ecosistema marino la cui biomassa è alla base delle reti alimentari marine. Il lavoro descrive come l’uso della tecnica dell’airgun provochi significativi decrementi delle abbondanze e un aumento della mortalità degli organismi zooplanctonici entro una sfera di raggio pari a 1,2 km dalla sorgente sonora. Questa misura è ben superiore ai 10 metri stimati in studi precedenti e ha permesso agli autori del lavoro di affermare che perturbazioni su questa scala dei popolamenti zooplanctonici possono causare danni a livello ecosistemico.”
Se il rapporto dell’Ispra viene citato en passant nel decreto, ben altra rilevanza viene attribuita al rapporto tecnico finale del Gruppo di lavoro TESEO (Tecniche Eco-sostenibili per la Sismica Esplorativa Offshore), istituito dalla Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo, e pubblicato sul sito internet della stessa Direzione generale il 14 maggio 2018. Il decreto recepisce integralmente le conclusioni cui è approdata l’attività di studio del gruppo di lavoro, che di seguito riportiamo:
a) «l’Airgun è ad oggi considerata la tecnica più efficace per lo studio delle caratteristiche geologiche del sottosuolo marino, non solo ai fini della ricerca di idrocarburi ma anche a scopi scientifici e di protezione civile»;
b) «dalla disamina dei vari contributi […] e degli studi più avanzati in materia, si evince come a livello internazionale vi sia completo consenso nell’individuare nei sonar e nei battipalo per l’esecuzione di opere di fondazione in ambiente marino, le sorgenti emissive più impattanti sull’ecosistema marino e con maggior evidenza sui cetacei»;
c) «si riscontra l’assenza di una correlazione provata del tipo causa-effetto degli impatti degli Airgun sui mammiferi marini»;
d) si prende atto del riconoscimento sul piano Comunitario (“Best available techniques guidance document on upstream hydrocarbon exploration and production – Hydrocarbons BREF”) «della riduzione ad un livello minimo giudicato sufficiente degli impatti generati dalle attività di acquisizione sismica con airgun grazie all’evoluzione tecnologica degli Airgun, alle modalità di esecuzione dei rilievi sismici (tempi minori) e al rispetto delle misure di mitigazione (JNCC e ACCOBAMS)»;
e) è opportuna la consegna «al MISE ed al MATTM da parte delle compagnie dei dati registrati tramite il Passive Acoustic Monitoring e le osservazioni raccolte dagli MMO (marine mammal observers) nel corso dell’esecuzione dei rilievi sismici, al fine di una loro distribuzione a potenziali richiedenti».
Ma l’ottimismo che trapela dalle conclusioni cui è pervenuto il gruppo di ricerca trova una conferma soltanto parziale in quanto gli esperti scrivono nel Rapporto stesso. Nel capitolo riservato agli effetti degli airgun sui mammiferi marini si legge infatti che “l’Airgun usato durante le prospezioni geologiche, a scopo industriale e scientifico, è una sorgente sonora spesso ritenuta dannosa, non solo per i cetacei ma anche per altri gruppi tassonomici (fauna bentonica, invertebrati, pesci, zooplankton; Weilgart, 2013). Quello che emerge è che a fronte di alcuni resoconti relativi agli effetti di questa tecnologia sui cetacei, che riportano alterazioni del nuoto e dei comportamenti alimentari e sociali; sia nei misticeti (Gordon et al., 2004; Di Iorio & Clark, 2010) sia negli odontoceti (Stone & Tasker, 2006; Weir, 2008; Miller et al., 2009), e a volte correlati a spiaggiamenti di massa, soprattutto per le specie che compiono immersioni profonde (deep divers) dalla letteratura scientifica (Hildebrand, 2005) e dall’opinione pubblica, esistono pochi dati relativi a cambiamenti significativi nello stato di salute dei cetacei a seguito dell’esposizione ad Airgun (Romano et al., 2004; Gray & Van Waerebeek, 2011). Questo anche perché la relazione tra le attività di esplorazione e produzione e la conservazione dei cetacei è ancora poco studiata (Thomsen et al., 2011). Un unico rapporto, stilato da una commissione internazionale, stabilisce un nesso spaziale e temporale tra uno spiaggiamento di un gruppo di peponocefali (Peponocephala electra) e prospezioni geologiche in Madagascar nel 2008, ma in quel caso non furono eseguite indagini post-mortem (Southall et al., 2013) per accertarne l’effetto. Forse anche per questo motivo non si hanno ancora prove certe dell’impatto degli Airgun: condurre ricerche approfondite sugli effetti sia a breve che a lungo termine sia a livello di individui colpiti che di effetti sulle popolazioni è quindi indispensabile.”
Come a dire che non esistono prove certe dei rischi sull’ecosistema marino connessi all’uso dei cannoni ad aria compressa, ma non esistono neanche prove in senso opposto, ossia sull’assoluta assenza di rischi, perché ad oggi non sono stati effettuati studi approfonditi e decisivi. (E sarebbe dunque il caso di procedere con maggiore cautela.
Approfondendo la questione, sono però gli stessi tecnici del gruppo di lavoro TESEO a manifestare qualche preoccupazione: “Le prospezioni con Airgun, anche potendone limitare gli effetti diretti attraverso opportune operazioni di mitigazione, producono un campo sonoro che si estende per circa 100 km (Nieukirk et al., 2012; Sciacca et al., 2016, 2017; Nowacek et al., 2015). All’interno di questo campo sonoro gli animali subiscono un livello di rumore che può indurre alterazioni comportamentali (Castellote et al., 2012), spingere ad abbandonare un’area a loro utile per l’alimentazione o a muoversi verso aree per loro pericolose come bassi fondali (specifiche norme di mitigazione richiedono una attenta pianificazione delle aree di prospezione e della successione delle linee di sparo), mascherare e limitare le loro possibilità di comunicazione (Clark & Ellison, 2004; Clark et al., 2009; Di Iorio & Clark, 2009) o di ecolocalizzazione per la cattura delle prede, provocare stress con effetti cumulativi che possono esplicare effetti negativi nel corso del tempo.”
Ma c’è un altro passaggio dello studio TESEO che fa riflettere (il punto interrogativo è il nostro, e non dei tecnici): “Gli Airgun sono considerati pericolosi non solo per i cetacei, ma anche per altri organismi marini. Ad esempio, sono stati effettuati alcuni studi per capire quale possa essere il loro effetto sui pesci, evidenziando danni al sistema nervoso centrale (Popper et al., 2005), orecchio interno (Song et al., 2008), soglia uditiva (Hastings et al., 2008) ed effetti più generici (Popper et al., 2016). I danni prodotti sui pesci e su altri gruppi zoologici, pur sollevando minori problemi etici (?), possono avere un significativo impatto sulla produttività economica delle aree colpite e sulle condizioni ecologiche generali, con ripercussioni sull’intera rete trofica e in definitiva anche sugli stessi mammiferi marini.”
Vale la pena di ribadire che queste perplessità e questi rilievi non si trovano scritti in un documento redatto da esponenti del movimento no-triv o da scatenati ambientalisti, ma nelle carte ufficiali del Governo e dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico.
È quanto meno paradossale che vengano acriticamente citati proprio nel provvedimento che ha rilasciato i permessi.
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