Un anno fa, il 21 gennaio del 2018, all’ età di 92 anni, si spegneva Pasquale Panico, protagonista di primo piano di quel movimento operaio e bracciantile che negli anni del secondo dopoguerra ha scritto in provincia di Foggia pagine indelebili di storia, contribuendo in maniera decisiva al riscatto dei lavoratori.
La sua luminosa storia politica si è intrecciata profondamente con quella sindacale. Formatosi nella temperie sociale della Cerignola di Giuseppe Di Vittorio, di cui è stato discepolo e amico, Panico si iscrisse giovanissimo alla Cgil e al Pci, ricoprendo incarichi direttivi nella Lega Braccianti e nelle sezioni cittadine del Partito Comunista.
Fu il primo segretario provinciale della Federazione dei Giovani Comunisti, di cui divenne anche dirigente nazionale. Segretario della Camera del Lavoro di Cerignola per diversi anni, nel 1953 venne chiamato a dirigere il sindacato di categoria dei lavoratori agricoli della Cgil, la Federbraccianti di Capitanata, che contava in quegli anni decine di migliaia di iscritti.
È stato il dirigente sindacale che più a lungo ha guidato la Camera del Lavoro di Foggia, ricoprendo per ben dodici anni, dal 1958 al 1970, l’incarico di segretario provinciale della Cgil di Foggia. Nello stesso periodo ha svolto diverse funzioni di natura amministrativa: eletto consigliere provinciale per il Pci, nel collegio di Cerignola, è stato anche assessore e vicepresidente della Provincia di Foggia, e consigliere comunale a Foggia, distinguendosi per la sua attività a favore dell’occupazione e dei lavoratori.
Anche la Regione Puglia lo ha visto protagonista, quale padre costituente: consigliere regionale dal 1970 al 1979, è stato vicepresidente del Consiglio regionale nella prima consiliatura e, nella seconda, ha presieduto la Commissione Agricoltura. In quegli anni, è stato anche presidente provinciale dell’Arci e dell’Alleanza Contadini.
Nel 1979, è stato eletto senatore nel Collegio di Cerignola. A Palazzo Madama ha fatto parte della Commissione Lavoro, promuovendo e cofirmando l’emendamento alla legge di riordino del sistema universitario che ha schiuso le porte all’istituzione dell’Università di Foggia.
A distanza di un anno dalla sua scomparsa, Lettere Meridiane lo ricorda pubblicando l’elogio funebre pronunciato il 22 gennaio 2018 dall’on. Michele Galante, nella camera ardente allestita nella Camera del Lavoro di Foggia.
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Per una di quelle insondabili e inspiegabili coincidenze della storia, Pasqualino Panico è deceduto il 21 gennaio 2018, nella ricorrenza del 97° anniversario della fondazione del Pci.
Non so come Pasqualino l’avrebbe presa, ma anch’essa è un segno del fortissimo legame stabilitosi tra lui e il partito a cui ha dedicato le sue forze fisiche, la sua intelligenza, la sua vita per quasi cinquant’anni.
E del Pci Panico è stato indubbiamente in Capitanata e in Puglia uno degli esponenti più rappresentativi e popolari, stimato e rispettato anche al di fuori.
Egli aderisce giovanissimo, a 18 anni, nel 1944, al Pci di Togliatti sulla base di due elementi:
• la volontà di contribuire a far uscire il Paese dalla fame e della miseria, dopo venti anni di un regime oppressivo e di una guerra rovinosa, quando “sopravvivere era una fortuna, come scrive nel suo bel libro di memorie, Schegge di storia. Dalla vigna di Pavoncelli a Palazzo Madama;
• l’attrazione esercitata dall’Unione Sovietica per effetto della Rivoluzione di ottobre e del ruolo avuto nella sconfitta del nazifascismo.
Pasquale si distingue subito all’interno dell’organizzazione dei giovani comunisti, e ben presto è chiamato ad assolvere a importanti funzioni di direzione, come segretario di sezione.
Sono anni turbolenti, soprattutto nella sua Cerignola, segnati da conflitti sociali sanguinosi, ma anche dalla straordinaria lezione di Di Vittorio, che il giovane Panico assimila subito: quella, cioè, di trasformare la lotta dei lavoratori da una fiammata o protesta incendiaria, in un movimento di popolo, organizzato, consapevole dei propri diritti e responsabile verso il Paese intero.
Sono anche gli anni in cui il “partito nuovo” di Togliatti si radica nei territorio, nei paesi come nelle campagne, per aderire a tutte le pieghe della società, apre porte e finestre non per fare come in Russia, ma per operare una profonda trasformazione della società italiana, attraverso le riforme di struttura e avendo come stella polare l’attuazione della Costituzione da poco approvata.
Panico diventa subito un protagonista assoluto di questa fase politica. È eletto prima segretario provinciale della Fgci, la federazione dei giovani comunisti, all’epoca diretta da Enrico Berlinguer, e poi viene chiamato a fare il funzionario a tempo pieno della Cgil, diventando, come si diceva allora, un “rivoluzionario di professione”. All’interno del sindacato esercita funzioni di primissimo piano per venti anni, come segretario della Camera del Lavoro di Cerignola, poi come segretario provinciale della Federbraccianti, la categoria più numerosa e più sindacalizzata, ed infine, per dodici anni, dal 1958 al 1970, come segretario generale provinciale della Cgil.
Panico è un protagonista assoluto in questo periodo delle battaglie per la riforma agraria, per far uscire il paese da rapporti feudali nelle campagne, della lotta per l’imponibile di manodopera e per il diritto al lavoro, così come sancito dall’art.1 della nostra Costituzione.
Egli guarda non soltanto al mondo delle campagne, ma a anche ad insediare il sindacato tra i lavoratori delle fabbriche e del pubblico impiego, come alla Cartiera, alle Ferrovie, alle Municipalizzate.
Pasquale in questa fase è non soltanto il robusto dirigente sindacale che abbiamo conosciuto, ma anche un dirigente politico di spicco, anche perché a quel tempo non c’era l’incompatibilità tra incarichi sindacali e di partito, che verrà sancita solo agli inizi degli anni ’70.
Insieme a personalità più grandi di lui come Allegato, Carmine Cannelonga, Di Virgilio, Pelosi, Gigino Conte, Michele Magno, Pasquale Specchio, Paolo Martella, Federico Kuntze, Peppino Papa e alla generazione del ‘26 (Pistillo, Berardi, De Simone, Nicola Di Stefano, Vincenzo Pizzolo) e ai quasi coetanei Donato Fragassi, Peppino Iannone, Pietro Carmeno, Mario Di Gioia e all’ancor più giovane Angelo Rossi – la cosiddetta “leva togliattiana”) è protagonista di una fase straordinaria della vita del Pci di Capitanata, che, per forza organizzata e consenso elettorale, si avvicina in quegli anni ad alcune province emiliane.
Al di là di alcune insufficienze e di qualche forma di settarismo, essi hanno insegnato a tenere sempre la schiena dritta, che la democrazia è un bene in sé, che va difesa non solo dal terrorismo e dai rigurgiti neofascisti, ma anche dai malversatori di ogni specie.
Dirigente sanguigno, non le ha mai mandate a dire, conservando nello stesso tempo una lealtà di fondo ed un incrollabile spirito unitario.
Accanto alle battaglie in difesa della democrazia e della Costituzione, vanno ricordate quelle per il lavoro, contro le gabbie salariali, per l’acqua, l’irrigazione, le trasformazione agrarie, con al centro il destino della “seconda pianura d’Italia” che suscita un ampio dibattito anche a livello nazionale, al fine di realizzare un moderno e competitivo comparto agro-alimentare.
Sono lotte, altresì, che danno alla massa dei lavoratori agricoli coscienza della propria forza, e che incanala il conflitto sociale nell’alveo del confronto politico spesso aspro, ma sempre rispettoso della democrazia.
Sono questi, anche, gli anni della centralità del Mezzogiorno, come chiave di volta per tenere unita e coesa l’Italia. Un tema, ahimè, colpevolmente abbando-nato e silenziato anche in campagna elettorale, con un’area del Paese considerata politicamente irrilevante e socialmente desertificata da una nuova, massiccia emigrazione di cervelli e di braccia.
Panico è stato una grande risorsa non solo del Pci, ma dell’intera sinistra, non soltanto come dirigente della Cgil, ma anche presidente dell’Arci e dell’Alleanza Contadini. Perché Pasquale spesso viene mandato dove nasce un’emergenza, per risolvere una crisi o rilanciare il ruolo di un’organizzazione.
Nel lavoro del sindacato e delle organizzazioni di massa, egli, con la sua autorevolezza e con il suo temperamento, dà non soltanto prova di capacità di direzione, ma preserva e rafforza il pluralismo e l’unità di queste strutture cui aderiscono comunisti, socialisti, senza partito, convinto che questi principi e questi valori si possono affermare non con l’arroganza dei numeri, ma dando ascolto alle idee e alle ragioni di tutti, e realizzando quella sintesi condivisa che dà forza all’organizzazione, intimamente persuaso che tutti devono avere possibilità di esprimersi liberamente per concorrere unitariamente alla formazione delle decisioni.
Panico non è stato solo un uomo di movimento ma un eminente rappresentante delle istituzioni.
Consigliere provinciale del collegio di Cerignola, assessore e vicepresidente della Provincia di Foggia, consigliere comunale di Foggia, è stato uno dei padri costituenti della Regione Puglia, dove è chiamato a ricoprire incarichi prestigiosi quali quelli di vice presidente del Consiglio regionale e di presidente della Commissione agricoltura.
Nel 1979 è eletto senatore del collegio Cerignola-Manfredonia rimanendovi fino al 1983 come membro della Commissione Lavoro, attento non solo ai problemi dei lavoratori e dei pensionati, ma anche alle aspirazioni più profonde e moderne della sua terra.
Si deve alla sua iniziativa se nel 1982, si riapre la partita dell’università a Foggia con la presentazione di un emendamento al progetto di legge sul piano quadrien-nale di sviluppo dell’Università, approvato a larga maggioranza dopo un lavoro di squadra con i rappresentanti degli altri gruppi politici, che prevede l’istituzione di nuove università anche in Puglia, oltre al Piemonte, all’Emilia-Romagna e alla Campania,
Dopo l’esperienza parlamentare torna al lavoro di partito come presidente provinciale e regionale della Commissione di garanzia e partecipando in modo appassionato al dibattito forte e serrato, ai congressi del 1990 e 1991, in cui si decide la trasformazione del Pci in una nuova formazione politica.
Panico come migliaia di militanti vive momenti difficili sul piano politico ed emotivo, perché ritiene che venga messa in discussione la storia stessa del Pci. Ma non è il passato in discussione, quanto la prospettiva, dopo la crisi del “socialismo reale“.
Contrasta vivacemente la svolta di Occhetto, schierandosi con la mozione di Ingrao, Natta, Cossutta, Tortorella.
Non aderisce al Partito democratico della sinistra e nemmeno a Rifondazione Comunista, per la quale esprime simpatia, ritenendo conclusa la sua esperienza politica, ma ripetendo con fierezza e orgoglio: “io ero, sono e resto comunista”.
La sinistra di Capitanata deve essere grata a Pasquale, così come a tanti altri dirigenti, per i suoi insegnamenti il primo dei quali è che la politica non si declama, ma la si fa e ha senso se la si pratica in mezzo alle persone, ai lavoratori, ai cittadini, nuotando nel mare dei loro bisogni e necessità, delle loro aspettative e speranze, mettendo l’orecchio a terra, ricevendo anche contestazioni, attenti alle necessità immediate, ma capaci, altresì, di indicare una prospettiva di cambia-mento, un orizzonte più largo.
E soprattutto che la sinistra – una sinistra di popolo – può vivere un futuro non se riparte dai salotti, più o meno buoni, ma dai più deboli, dai giovani senza lavoro, se torna ad abitare tra quanti non sopportano più corruzione, illegalità, prepotenze, ingiustizie, discriminazioni, intolleranze di ogni tipo.
Caro Pasquale,
Noi ti ringraziamo per quello che hai fatto e della traccia forte del tuo impegno che hai lasciato. Cercheremo di fare tesoro dei tuoi insegnamenti e della tua lezione.
Sei stato testimone e protagonista di una grande, nobile storia collettiva in cui contava soprattutto il noi, fatta di vittorie e sconfitte, di avanzate e di arretramenti, e della quale sentiamo tutti la fierezza.
Ricordando i tuoi amori (la cara Dina, la famiglia, e poi il Pci, i braccianti, Cerignola), ci uniamo al dolore di Giuseppe, di Silvana, dei nipoti Walter e Laura e di tutti i tuoi familiari.
Che la terra ti sia lieve, così come lieve è stata la tua esistenza, accompagnata sempre dal gusto per la battuta, da quella giovialità e ironia che conquistava la simpatia dei tuoi compagni e di chiunque ti incontrava.
Michele Galante
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