Siamo messi male (di Marcello Colopi)

Mi è arrivato il 52° rapporto annuale del Censis. Da alcuni anni, per dovere professionale, mi documento sul rapporto. Ho iniziato a leggerlo e ad un certo punto mi sono detto: ca**o, ma siamo messi proprio male. Il rapporto quest’anno è impietoso.
Da 52 anni il Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Quest’anno parla degli italiani (cioè di noi)  incattiviti e delusi. Il rapporto ci dice, tra le altre cose , che il 63,6% degli italiani è convinto che nessuno ne difende interessi e identità, e devono pensarci da soli. In questa situazione sociale, la diversità viene sempre di più percepita come pericolo da cui proteggersi: il 69,7% degli italiani non vorrebbe come vicini di casa i rom, il 69,4% persone con dipendenze da droga o alcol. C’è poi un 52% convinto che si pensi di più agli immigrati che agli italiani. Con questi dati, le prospettive per il futuro restano pessimiste: il 35,6% degli italiani è infatti pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura.
Circa il disagio , il rapporto ci parla di un paese che vive una condizione di solitudine e di amara rassegnazione: il disagio, oltre ad essere economico, è un disagio psicologico quasi di isolamento sociale. Per gli italiani, la risposta migliore al disagio resta la creazione di nuovo lavoro vero, con retribuzioni appropriate. In alcune aree territoriali il disagio si sente maggiormente: tra le province il cui tasso di occupazione presenta un divario rilevante rispetto al tasso di occupazione nazionale troviamo Reggio Calabria (-20,4%), Foggia (-19,8%) e Agrigento (-18,2%).
Secondo il Rapporto, la società italiana vive una crisi di spessore e di profondità.  “Gli italiani sono incapsulati in un Paese pieno di rancore e incerto nel programmare il futuro.”

In una situazione come questa, gli spazi lasciati vuoti dalla dialettica politica si riempiono di risentimento.

La considerazione generale dell’Istituto è che l’Italia sta andando: “da un’economia dei sistemi verso un ecosistema degli attori individuali ovvero verso un appiattimento della società”. “Ciascuno afferma un proprio paniere di diritti e perde senso qualsiasi mobilitazione sociale”.  
In sostanza, il nostro paese risulta essersi incattivito ed è diffuso un sentimento di rancore sociale che non si registrava da molti decenni. Per dirla in soldoni, guardandoci allo specchio come paese facciamo schifo. Sì, bisogna avere il coraggio di dirsi la verità. Non siamo competitivi (forse non lo siamo mai stati) ma storicamente eravamo il paese della solidarietà e dell’umanità. Adesso non solo non siamo competitivi ma siamo chiusi e vediamo “ gli altri” come potenziali nemici.

In sintesi, emerge un Paese incattivito, più povero e più anziano, che trova il capro espiatorio delle proprie difficoltà negli immigrati: infatti per il 75% degli italiani gli immigrati fanno aumentare la criminalità, per il 63% sono un peso per il nostro sistema di welfare.
Per fotografare ciò che sta accadendo, il Censis ricorre alla consueta, azzeccata metafora parlando di “sovranismo psichico”, che può assumere i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria, dopo e oltre il rancore, diventa leva cinica di un presunto riscatto .
Secondo il Censis, nel Bel Paese è andata proprio così: gli italiani hanno trasformato il rancore in cattiveria. Sentimento che si riversa su coloro i quali sono più indifesi . Il rapporto traccia di noi, popolo e paese, un ritratto sconfortante, che è l’esatto contrario di quello che settant’anni fa si rimise faticosamente in piedi dai disastri della guerra: pieno di speranza, di voglia di vivere meglio, di crescere e di consegnare un futuro migliore ai figli. Un’Italia vigorosa e coraggiosa dove tutti, dagli operai immigrati dal Sud alla classe dirigente, si rimboccarono le maniche, e i risultati dei tanti sacrifici non tardarono.

Noi invece siamo chiusi in questa bolla di rancori, rabbia, paura, delusione e sconforto, quasi annichiliti .
La percezione sembra essere supportata anche dai numeri reali. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane infatti è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. Questo significa anche che la forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata. Nel periodo 2014-2017, si legge nel Rapporto, le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6%.
Tutti dati che dovrebbero far rizzare le antenne alla politica. I partiti però non sembrano riuscire a cogliere le esigenze dei cittadini e questo si denota dall’area di non voto: le persone che si sono astenute o hanno votato scheda bianca alle ultime elezioni sono state 13,7 milioni di persone alla Camera e 12,6 milioni al Senato. Un quadro quindi che fotografa un Paese disilluso ed arrabbiato, una rabbia però che per ora viene sfogata contro gli “stranieri” e contro i più deboli, mentre verso la politica sembra ci sia solamente grande disillusione.
Ma come affrontare questa situazione ? Secondo il Censis, serve una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vicoli di rancore o in ruscelli di paure, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi. Quindi più che mai serve una “élite” politica capace di svolgere la propria azione in un paese dilaniato e solo e francamente se questa è la soluzione non ci resta che piangere.
Marcello Colopi

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