Quando Di Vittorio disse no alla sanità regionalizzata: “penalizzerebbe il Sud”

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Ci sono idee e pensieri che non muoiono mai e che, come avviene per i classici nella letteratura, restano sempre utili a riflettere sull’oggi, a trarre indicazioni e suggestioni per l’avvenire. Sono le idee e i pensieri degli uomini e delle donne che hanno scritto la storia, come Giuseppe Di Vittorio, il grande sindacalista di Cerignola che guidò la Cgil e la Federazione Sindacale Mondiale.
Come accadeva nel secolo scorso, spesso i dirigenti sindacali facevano anche politica attiva. In questa veste, Di Vittorio è stato uno dei Padri Costituenti. Fu infatti deputato per il Pci nell’Assemblea Costituente, e non fece mai mancare il suo contributo di proposta e, quando si rendeva necessario, anche di critica.
L’8 luglio del 1947, Di Vittorio svolse nell’assemblea riunita in seduta plenaria un intervento che non esito a definire profetico, pensando alla famigerata autonomia differenziata invocata in questi mesi dalle regioni Veneto e Lombardia. Se verrà trasformata in legge, trasferirà loro funzioni nevralgiche quali la sanità, sottraendo alle regioni meridionali risorse preziose, con un’irrimediabile accentuazione del divario. Ringrazio per la preziosa segnalazione Michele Galante, presidente dell’Anpi della provincia di Foggia, scrittore e cultore di storia contemporanea.
Quel lontano giorno di settantuno anni fa, l’assemblea costituente doveva pronunciarsi proprio sulla possibilità di attribuire alle Regioni la delega in materia sanitaria. Era all’ordine del giorno un emendamento che proponeva di aggiungere, all’ elenco dei compiti riconosciuti alle Regioni, anche “igiene e sanità pubblica”.

Di Vittorio (che, come il resto del suo partito, votò contro) svolse un intervento breve, ma lucido ed appassionato. Eccolo.

“Vorrei osservare che se c’è un principio sul quale le varie correnti che si occupano di problemi sociali sono d’accordo, è proprio quello di basare tutta la materia dell’assistenza sanitaria sulla più completa solidarietà nazionale. Noi abbiamo in Italia provincie e Regioni le quali hanno una attrezzatura sanitaria presso a poco sufficiente per i bisogni della popolazione.
Ne abbiamo altre nelle quali una vera e propria assistenza sanitaria non esiste. Se deleghiamo alla Regione l’assistenza sanitaria, rischiamo di condannare le zone più povere, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, a non uscire mai da questa inferiorità. Invece lasciando al Paese intera la responsabilità dell’assistenza sanitaria, si deve fare in modo che tutto il Paese, con tutti i suoi mezzi e le sue risorse, concorra a creare o a sviluppare l’assistenza sanitaria anche nelle Regioni più povere, dove questa non esiste. Perciò qui non si tratta della Regione o dell’anti-Regione; si tratta di un problema tecnico e di un problema sociale di grandissima importanza, che dobbiamo risolvere secondo le sue esigenze intrinseche e non secondo determinate pregiudiziali estranee al problema stesso.”

Ogni commento è superfluo. La salute (ma lo stesso discorso vale per la scuola, l’ambiente, la sicurezza) sono beni primari garantiti e tutelati dalla Costituzione, e dallo Stato che ha il dovere di assicurarli in maniera equa a tutti i cittadini.
L’emendato fu votato dall’Assemblea Costituente, che lo bocciò, riaffermando il carattere nazionale dell’assistenza sanitaria.
A settant’anni e passa di distanza, il tema resta quanto mai attuale.  Oggi si vuole ribaltare la scelta saggia ed equa che i Padri Costituenti assunsero, in nome dell’unità nazionale.
C’è però un modo per tentare di fermare questo scempio: sottoscrivere l’appello lanciato dall’economista Gianfranco Viesti e dallo scrittore Pino Aprile. Lo trovate a questa pagina web:

  https://goo.gl/AwQTFT

Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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